Commento al Vangelo di domenica 8 Dicembre 2019 – Comunità di Pulsano

Lectio Divina di domenica 8 Dicembre 2019 a cura della Comunità monastica di Pulsano.

CONCEZIONE IMMACOLATA DELLA BEATA MARIA VERGINE

Antifona d’Ingresso Is 61,10

Esulto e gioisco nel Signore,

l’anima mia si allieta nel mio Dio,

perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza,

mi ha avvolto con il manto della giustizia,

come una sposa adornata di gioielli.

Nel testo cantato di oggi tratto da Isaia parla la Città di Dio, la Sion nuova dopo l’esilio, la Sposa divina, e il suo canto è un inno di azione di grazie al Signore per i fatti mirabili operati per il suo popolo. Dopo il Dono inconsumabile dello Spirito del Signore sul Re messianico (Is 61,1-9, che comporta l’intera efficacia redentrice), Sion esulta di gioia messianica nel Signore (Is 61,10-11). Infatti lo Sposo finalmente adorna la sua Sposa diletta con le vesti solenni e con i monili nuziali. Da queste Nozze divine verrà la fecondità salvifica. Nella solennità di oggi è ovvia l’applicazione a Maria che appare come la Sposa bella, la sempre benedetta poiché dopo il Figlio suo a lei più che a ogni altra creatura conviene la gioia e l’esultanza nel Signore, che come la Sposa diletta la rivestì della veste nuziale che è lo Spirito Santo, il divino splendore degli abiti della salvezza, l’abbellì del manto della Misericordia, e l’ornò dell’inaudita ricchezza dei monili nuziali. Adesso da lei può nascere nella carne il Figlio di Dio preeterno. Nella Divina Liturgia (non solo oggi ma sempre) si applica anche all’assemblea che esulta, infatti celebrando in Cristo Signore Risorto e nello Spirito Santo essa fa proprio il testo di Isaia secondo la lex orandi e diventa la Sposa dell’Agnello ed è così anche per ogni battezzato che con tutti gli altri costituisce la Chiesa, la Sposa adorna per lo Sposo, che è chiamata dallo Sposo e discende risplendente della gloria di Dio incontro allo Sposo che viene. La Grazia del Signore è su tutti. Questo crediamo nella fede, e con sovrana certezza, senza esitare, lo troviamo e lo fondiamo nella Tradizione divina apostolica, che è portata dalla Santa Scrittura, dalla Chiesa dei Padri e dei secoli.

Canto all’Evangelo Cfr. Lc 1,28

Alleluia, alleluia.

Rallègrati, piena di grazia,

il Signore è con te,

benedetta tu fra le donne.

Alleluia.

Anche questo versetto è da rileggere nel contesto della pericope evangelica. Esso è il celebre aspasmós, il saluto dell’Angelo del Signore (v. 29). La versione letterale suona così: «Gioisci (chàire) o Gratificata! Il Signore con te. Benedetta tu tra le donne!» Il “gioisci” è l’anticipo dell’imperativo che Cristo Risorto indirizzò alle Donne fedeli alla Resurrezione (Mt 28,9). È la rivelazione che la pienezza della Grazia divina dello Spirito Santo (Le 1,35) riposa ormai sulla Vergine di Nazaret. E che inoltre il Signore, l’Immanuel, ha posto la sua divina dimora in lei. Così dalla Prescelta il Disegno divino comin­cia a operare gli effetti finali della redenzione. Il versetto è anche la dichiarazione del vincolo incontestabile che la “benedizione” divina ha stretto con la Benedetta più che tutte le altre donne, e con cui Maria è resa la Sposa tra tutte le spose. La Chiesa accoglie cantando la proclamazione dell’Evangelo come l’accolse l’umile e sublime Vergine Maria. Infatti la Madre di Dio accolse il prodigio della Parola divina che giunse a lei dall’Angelo annunziante, e manifestò la sua fede e il suo amore per il Signore, nella docile sua accettazione di esistere ormai come «la schiava del Signore», che alla Volontà di Lui offre e dona la totalità della sua esistenza. Così desidera anche la Chiesa!

In questo grandioso impianto liturgico si proclama l’Evangelo di questa solennità che è la narrazione dell’Annunciazione dell’Angelo a Maria, la Vergine di Nazaret. Questa preziosa pericope evangelica per la sua eccezionale importanza, oltre che per l’Immacolata Concezione, l’8 dicembre, è proclamata anche diverse altre volte durante l’Anno liturgico: per la Domenica IV d’Avvento, Ciclo B; per l’Annunciazione del Signore, il 25 marzo; per la festa della Beata Maria Vergine Regina, il 22 agosto; per la festa della Beata Maria Vergine del Rosario, il 7 ottobre; a scelta, per il Comune della B. V. Maria; e a scelta, per la consacrazione delle vergini e per la professione religiosa.

Dell’evento dell’Annunciazione del Figlio a Maria Vergine, si ebbero dall’età patristica numerose e monumentali omelie, e quindi nei secoli interi trattati, ma anche oggi esso è oggetto preferito di studi e approfondimenti. Qui se ne possono indicare solo alcune linee schematiche.

Luca nel cap.1-2 del suo Evangelo vuole narrare degli “inizi” della Vita del Signore tra gli uomini. Cosi, e probabilmente da Maria, e per altri dati come la genealogia, dagli archivi del tempio ancora in funzione, raccoglie preziose notizie, che espone in esclusiva. Quindi traccia poi le linee iniziali del divino Disegno, la cui geometria è evidente: il tempio e la liturgia sacerdotale; Nazaret e la Vergine consacrata in seno ad Israele, la sua Concezione del Figlio di Dio dallo Spirito Santo; Betlemme e la culla della stirpe reale davidica; il tempio per l’offerta consacratoria del Primogenito; la vita nascosta ancora a Nazaret, il tempio per le feste, ma preludio per il divino Ragazzo: “Si deve che Io stia nelle Realtà del Padre mio“; ancora Nazaret per la preparazione ultima alla Vita pubblica.

Con i cap. 3-19 poi traccia le linee di adempimento finale del medesimo Disegno, che nonostante riprese e ritomi è una “salita” lineare: da Nazaret alla Galilea per il Battesimo e il primo ministero; dalla Galilea al Monte alto per la Trasfigurazione; dal Monte alto a Gerusalemme per compiervi l”‘esodo” finale al Padre (Lc 9,31).

Infine, con i cap. 20-24 narra l’ultimo ministero pubblico a Gerusalemme, la Cena, il processo e la Passione, la Croce e la sepoltura, la Resurrezione e la presenza da Risorto ai discepoli, e la Promessa dello Spirito del Padre per l’invio dei discepoli al mondo, fino ai confini della terra, Infine, l’Ascensione da Gerusalemme al Padre.

Se si guarda bene, l’Annunciazione è come l’enunciato di questo immane Disegno e l’anticipo dei suoi effetti finali nella Vergine di Nazaret. Non a caso i Padri chiamavano l’Annunciazione (con il Natale, i Magi, il Battesimo e Cana) i primordio redemptionis nostrae, il primo farsi della redenzione degli uomini.

Il cosiddetto «evangelo dell’infanzia» (Lc 1-2), a cui appartiene la nostra pericope, è dunque una sezione caratteristica, propria di Luca, elaborata con molta accuratezza in un continuo confronto tra la figura del Battista e quella di Gesù.

All’annuncio della nascita di Giovanni Battista segue l’annunzio a Maria; al racconto della nascita del precursore corrisponde quello molto più articolato della nascita di Gesù. Ma, grazie a questo accostamento letterario, risaltano più marcate le differenze di contenuto e di significato:

  1. non più un uomo, Zaccaria, al centro dell’attenzione, e in secondo piano Elisabetta, ma una donna, Maria (che rimarrà ormai al centro dell’azione fino a 2,52), e in secondo piano Giuseppe (cfr. Mt 1,18-25, dove i fatti sono narrati dall’evangelista dal punto di vista di Giuseppe);
  2. non si tratta più della nascita di un uomo, benché grande, ma della promessa di un uomo-Dio, della venuta del messia-salvatore.

Il genere letterario è quello biblico degli annunzi di nascite prodigiose, come quella di Isacco (Gen 18,10), di Sansone (Gdc 13,3), di Samuele (1 Sam 1,9), che contengono generalmente i seguenti elementi:

  • presentazione dei personaggi, di solito colti in una situazione di difficoltà;
  • apparizione d’un messaggero celeste;
  • turbamento della persona intervistata;
  • messaggio;
  • obiezione da parte del destinatario del messaggio;
  • segno offerto come convalida dell’annuncio.

Mentre il quarto evangelo si apre con la solenne ouverture del Prologo, un inno stupendo per annunciare l’incarnazione del Verbo eterno di Dio, qui viene descritta in modo semplice e narrativo la stessa verità.

La descrizione dell’annunciazione, più che a livello cronachistico, va dunque letta come drammatizzazione d’un profondo intento cristologico.

Quest’anno la CEI concedendo l’indulto per sostituire la celebrazione della 2a Domenica di Avvento con la solennità dell’Immacolata ha tuttavia conservato come seconda lettura quella dell’Avvento.

Esaminiamo il brano

26-27 – «Nel sesto mese»: (liturgico “In quel tempo”) è un dato cronologico che congiunge l’annuncio a Maria con quello fatto dal medesimo angelo Gabriele a Zaccaria.

«Nazaret»: La scena si svolge in un insignificante villaggio della Galilea, noto nella tradizione per la composizione ibrida e poco ortodossa della sua popolazione.

Il contrasto con l’apparizione a Zaccaria è palese: là un sacerdote integerrimo, a Gerusalemme, nel tempio, durante il momento culminante della liturgia; qui una ragazza di un paese e una regione senza rilievo.

Se Zaccaria era socialmente un povero (cfr. Lc 1,6-7 e Sof 2,3), Maria inaugura un’altra serie di poveri, quelli che offrono spazio all’iniziativa di Dio (v. 34).

«vergine»: il termine ebraico “almah” designa sia una ragazza vergine sia una donna appena sposata, senza esplicitare ulteriormente.

L’intezione di Luca nel nostro contesto è di sottolineare l’integrità di Maria; infatti più avanti (v. 34) rimanda al testo di Is 7,14 che parla di «vergine» (parthénos) nel testo greco. Nel testo dei LXX il vocabolo greco parthénos che opera la scelta di indicare una fanciulla che non ha avuto rapporti (cfr tradizione patristica).è un testimone prezioso dell’interpretazione giudaica antica, che sarà consacrata dall’evangelo: Mt 1,23 trova qui l’annunzio della concezione verginale del Cristo.

«Giuseppe»: la menzione di Giuseppe, discendente di Davide, serve a giustificare, sul piano storico, e legale, la promessa riguardante il figlio di Maria: Dio gli affiderà il trono di Davide suo antenato (v.32; cfr 1 a lettura),

28-33 – Il racconto centrale è dominato dal messaggio dell’angelo Gabriele, al quale fanno da contrappunto una riflessione e una domanda di Maria.

L’intervento dell’inviato divino si sviluppa in tre momenti progressivi, nei quali il messaggio viene ripreso e approfondito. Prima un saluto ricco di significato; l’angelo non aveva salutato Zaccaria, come ora fa con Maria. Ogni espressione del saluto è carica di risonanze bibliche, con evidenti allusioni messianiche.

«Ti saluto»: altre traduzioni portano «salve» o l’«ave» latino, un imperativo (ave, avete) di cui si è ormai perso il senso originale. Non è il semplice e quotidiano saluto greco «sta bene»; tutto il contesto invita a leggere l’espressione greca in un’altra chiave: «Rallegrati – Gioisci» (chàirò, verbo della Resurrezione, il quale sta già in funzione anticipati va). In questo saluto si può ascoltare un’eco degli inviti profetici rivolti alla «figlia di Sion», rappresentante del popolo di Dio (Sof 3,14-15; cfr. Zc 2,14; 9,9; Gl 2,21-27; Is 12,6), È un appello gioioso che proclama il favore della benevolenza di Dio e lascia intravedere la sua prossima visita, annunciata già dai profeti e non un saluto convenzionale (Luca avrebbe usato «La pace sia con te» corrispondente appunto all’ebraico shalòm; cfr 24,36 e Gv 20,19.26).

«piena di grazia»: come salve non traduce bene chaire cosi piena di grazia non traduce esattamente kecharitomènè . Non si riferisce semplicemente al fascino fisico e non si tratta di grazia santificante, ma del favore divino riversato su Maria. E titolo non designa soltanto l’elezione di Maria alla maternità del Messia, ma anche la sua preparazione con un cumulo di benedizioni celesti per tale compito sublime, come viene esplicitato nel dogma dell’immacolato concepimento di Maria. Maria in altri termini è stata prevenuta dalla grazia, è una privilegiata appunto perché ricolmata di grazia da parte di Dio.

«resa già graziata»: il participio è al perfetto perché Maria è stata da sempre e resta per sempre l’oggetto del favore eccezionale che il carisma della maternità messianica suppone. «il Signore è con te»: anche questa parte supera il valore di un semplice saluto o di un generico augurio. Essa indica il motivo di quella gioia messianica: la presenza di Dio-salvatore. Dio si è impegnato a stare con tutti coloro con i quali ha intrecciato un rapporto di alleanza (cfr; Es 3,12; Gs 1,5; Gdc 6,12-17; ecc.) e con il suo popolo, di cui Mose, Giosuè e Gedeone sono rappresentanti e guide.

Iddio è con colei che sarà la madre del Dio-con-noi (l’Emmanuele; cfr. Is 7,14 e Mt 1,23).

Alcuni manoscritti greci secondari aggiungono «benedetta tu sei fra le donne» che indica la scelta imperscrutabile di Maria tra tutte le donne ebree fedeli, le quali nella santità avevano atteso, o attendevano (cfr. Elisabetta, Anna) il Messia promesso.

«Non temere»: il secondo intervento dell’angelo dà un contenuto più preciso a quello che il saluto lasciava solo presagire.

Con un collage di riferimenti alle promesse messianiche dell’AT (cfr. i rimandi sul testo biblico), Maria sarà la madre del messia atteso e annunciato.

Il turbamento di Maria, più che per l’apparizione, come accade a Zaccaria, è per il senso del saluto rivoltole.

Quando Dio affida a qualcuno una missione importante, difficile o addirittura superiore alle capacità umane, colui che è chiamato è colto da timore ed è tentato di sottrarsi. Mose deve liberare il suo popolo, ma si sente inadeguato e si schermisce; il Signore lo rassicura: Io sarò con te (Es 3,12). Giosuè è incaricato di introdurre Israele nella terra promessa e Dio lo incoraggia: Come sono stato con Mose, così sarò con te (Es 1,5.9). Gedeone deve salvare il suo popolo dagli oppressori e l’angelo lo saluta: Il Signore è con te (Gdc 6,12). Geremia è giovane ed è chiamato a fare il profeta in una situazione drammatica, si sente incapace, non ne ha le forze, vuole rinunciare, ma il Signore lo rinfranca: Io sarò con te (Ger 15,20).

Il compito di Maria – di Israele e poi anche della Chiesa che lei raffigura -è più straordinario di tutti quelli che sono stati affidati ai servi di Dio che l’hanno preceduta. Gabriele la rassicura con un’espressione a lei ben nota perché è stata rivolta ai grandi personaggi della storia del suo popolo: Il Signore è con te.

«Ecco concepirai…»: è una formula stereotipa, tipicamente biblica (cfr. Gen 16,11; 17,19; Gdc 13,5-7). Seguono una serie di titoli messianici [ “sarà grande” (lo stesso titolo è dato a Giovanni Battista); “Figlio dell’altissimo” (figli di Dio sono tutti coloro che si trovano in speciale rapporto di intimità con Dio: l’angelo Sal 29,1; il popolo eletto Sap 18,13; Os 11,1; il messia 2 Sam 7,14; Sal 2,7; 89,27; una simile applicazione si vede anche nel NT in Lc 6,35) ] che preparano al significato teologicamente più pregnante che avrà l’espressione Figlio di Dio del v. 35.

34 – Maria non esprime un dubbio, non pretende un segno, come fece Zaccaria, ma espone un desiderio, esprime un proposito, quello di rimanere vergine (come l’esegesi dei Padri sapeva).

Un ideale certo difficile per il suo tempo, frutto sicuramente della grazia di Dio, ed una nascita da lei avrebbe sconvolto umanamente la sua oblazione.

Tale è lo stato di Maria, ma ciò che ella considerava come un ostacolo per questa maternità gloriosa è, nel pensiero divino, la condizione necessaria.

Dio le ha ispirato di rimanere vergine, Dio le domanda oggi di diventare madre: Dio non si contraddice. Come fu necessario che Abramo, perché potesse effettivamente diventare il padre di una posterità numerosa come le stelle del cielo e l’arena del mare, rinunciasse, accettando di immolarlo, all’unico figlio, sul quale riposavano le promesse divine. Salva la sua vita colui che accetta di perderla (cfr. Mc 8,34ss e sinottici); in altri termini l’uomo possiede solo ciò che ha donato.

Allora anche la verginità di Maria assume un significato nuovo; non è un valore a sé stante, in quanto fatto biologico, ma è l’espressione della radicale povertà e disponibilità nella fede al progetto di Dio.

35-37 – Quello che sta per accadere è ricondotto all’iniziativa diretta di Dio, indicata prima con lo Spirito Santo e poi dalla potenza dell’Altissimo , ed è definito come una ‘ presenza speciale di Dio, indicata prima con scenderà su di te e poi con ti coprirà con la sua ombra .

Non si tratta di una presenza qualunque, come quella che nell’AT Dio riservava ai grandi uomini, ma di una presenza divina speciale: lo indica il verbo episkiazein , assai raro nell’AT e denso di significato, come quando in Es 40,35 indica la nube che fa ombra sopra il Tabernacolo e simboleggia la gloria di Dio che riempie la Dimora.

È la prima casa del Dio fatto uomo; Maria è l’arca di quella alleanza definitiva che sarà ratificata sulla croce e che, sacramentalmente, noi riviviamo nella celebrazione eucaristica.

L’espressione richiama dunque la presenza misteriosa di Dio nei luoghi a lui consacrati: la tenda del deserto e il tempio di Gerusalemme (cfr. 1 Re 8,10).

Un altro possibile riferimento biblico, degno di attenzione lo troviamo nei Sal 17,8; 57,2; 91,4; 140,8 dove Dio è paragonato ad un uccello che protegge coprendo con l’ombra delle sue ali. Questi due temi sono entrambi presenti in Es 25,20 e 1 Cr 28,18 dove il gesto dei Cherubini che coprono con le loro ali l’Arca dell’alleanza è espresso col verbo quasi identico (su) skiazein. L’uccello che copre con le sue ali può semplicemente proteggere i suoi piccoli, ma può anche covare le uova per farne schiudere la vita, come evoca l’altra immagine biblica dello Spirito creatore alle origini del mondo (Gen 1,2). L’angelo fa riferimento alla presenza in Maria dello Spirito di Dio, della forza divina creatrice, quella potenza che all’inizio del mondo aleggiava sulle acque (Gen 1,2) e che ora è di nuovo richiamata perché, nel suo grembo, Dio stava per realizzare un nuovo atto creativo.

Poi l’ombra e la nube: nell’Antico Testamento sono i segni della presenza divina. Durante l’esodo il Signore precedeva il suo popolo in una colonna di nube (Es 13,21), una nube copriva la tenda dove Mose entrava per incontrare Dio (Es 40,34-35) e, quando il Signore scendeva sul Sinai per parlare con Mose, il monte era coperto da una nube densa (Es 19,16).

L’immagine della nube è ripresa da Luca – sempre come segno della presenza di Dio – nel racconto della Trasfigurazione di Gesù sul monte: venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo! (Lc 9,34-35).

Affermando che su Maria è sceso lo Spirito Santo e su di lei si è posata l’ombra dell’Altissimo, l’evangelista dichiara che in lei si è reso presente lo stesso Signore. Siamo di fronte alla professione di fede di Luca e delle comunità primitive nella divinità del figlio di Maria.

«anche Elisabetta…»: a Maria viene dato un segno: la concezione di Giovanni da parte di Elisabetta nella sua vecchiaia. Questa è la norma del comportamento di Dio con l’uomo: offrire dei segni che rendano credibile, e in qualche modo accettabile, la proposta divina.

«nulla è impossibile a Dio»: L’angelo conclude il suo discorso ricordando l’efficacia garantita ad ogni parola uscita dalla bocca del Signore: Nulla è impossibile a Dio (v. 37). È un’espressione che si trova nella Bibbia sulla bocca di vari personaggi:

  1. La pronunciano i tre angeli che appaiono a Mamre e che, a Sara e ad Abramo, increduli all’annuncio della nascita di Isacco, assicurano: C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore? (Gen 18,14).
  2. Giobbe la rivolge a Dio: Tu puoi tutto e nessun progetto per te è impossibile (Gb 42,2).
  3. La richiama il Signore stesso a Geremia: Ecco, io sono il Signore, Dio di ogni essere vivente; c’è forse qualcosa di impossibile per me? (Ger 32,27).

Maria conosce bene e ha meditato questa frase, l’ha udita nella sinagoga e certo l’ha sentita ripetere dai familiari e dalle persone pie che frequentavano la sua casa. È l’espressione della fede più pura del suo popolo e l’angelo gliela richiama perché risponda alla chiamata del Signore con la gioia di chi si fida di Dio.

38 – L’accettazione di Maria è strettamente legata alla rivelazione contenuta nel dialogo con l’angelo; Maria di Nazaret ha accettato che il proprio progetto scomparisse in quello di Dio.

«Eccomi»: È frequente questa esclamazione e ricorre ben 178 volte nell’Antico Testamento. È la risposta che troviamo sulla bocca di chi dichiara la propria completa disponibilità a compiere la volontà di Dio:

  1. Eccomi! – risponde Abramo al Signore che gli chiede il sacrificio del figlio (Gen 22,1).
  2. Eccomi! – esclama Mose quando Dio lo richiama perché si era avvicinato troppo al roveto (Es 3,4).
  3. Eccomi! – risponde Samuele quando, nella notte, ode la voce del Signore (1 Sam 3,4).
  4. Eccomi, manda me! – dice Isaia a Dio che cerca qualcuno da inviare ad annunciare la sua parola.

Da Maria – autentica figlia di Abramo – non ci si poteva attendere risposta diversa da quella dei suoi migliori antenati: Eccomi! Con un atto di fede e di obbedienza è iniziata la storia della salvezza (Gen 12,lss: Abramo); con un atto di fede e di obbedienza la storia della salvezza continua nella pienezza dei tempi (Maria).

«sono la serva»: Ancora una volta ritoma l’immagine del “servo”, quale simbolo di umiltà e di disponibilità. Compare qui un terzo nome dopo quelli che abbiamo rilevato – Maria e Amata da Dio – Serva del Signore, quello con cui la comunità cristiana l’ha identificata. Questa qualifica non significa – come qualcuno infelicemente traduce – umile ancella, ma è il titolo di sommo onore che nell’Antico Testamento è riservato ai grandi personaggi, agli uomini fedeli a Dio (mai a una donna!) che hanno messo la loro vita completamente a disposizione dell’opera del Signore. Servi del Signore sono chiamati i patriarchi, Mose, Samuele, Davide, i profeti, i sacerdoti che nel tempio notte e giorno benedicono Dio (Sal 134,1-2) e, soprattutto, il misterioso personaggio dei 4 celebri Canti del Servo del Signore che si trovano nel libro di Isaia.

L’offerta al Signore si fa ancora più totale; l’esistenza verginalmente consacrata per atto umano, adesso accetta di esserlo ad opera dello Spirito.

Questo è «essere la serva del Signore» fino alla fine; questo è accettare tutto da Dio, e solo da Dio, ma «secondo la Parola» onnipotente.

«Avvenga di me quello che hai detto»: avvenga non significa affatto accondiscendenza rassegnata. Il verbo greco gínomai è un ottativo ed esprime un desiderio gioioso. Sulla bocca di Maria rivela la sua ansia di vedere presto realizzato il progetto del Signore. Dove entra Dio, lì giunge sempre anche la gioia.

La stessa ansia e gioia che la Chiesa vive nella celebrazione dei divini misteri, come recita anche la colletta:

Colletta

O Padre, che nell’Immacolata Concezione della Vergine

hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio,

e in previsione della morte di lui

l’hai preservata da ogni macchia di peccato,

concedi anche a noi, per sua intercessione,

di venire incontro a te in santità e purezza di spirito.

Per il nostro…

Fonte: Abbazia di Santa Maria a Pulsano

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