I versetti del Vangelo secondo Luca su cui oggi meditiamo, a prima vista possono apparire molto eterogenei, senza unitarietà. La prima parte del brano segue la parabola dell’amministratore accusato di sperperare i beni del padrone. Uno dei temi che legano i versetti che seguono è proprio l’uso del denaro e il rapporto con il denaro contrapposto al rapporto con Dio.
Si parla di amicizia, di fedeltà, di servizio, della verità del cuore dell’uomo. Proviamo a leggere questi versetti a partire dall’affermazione di Gesù che si trova al centro del testo. Sono parole lapidarie che Gesù rivolge ai farisei attaccati al denaro: “Voi siete coloro che mostrano giusti se stessi dinanzi agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori” (v. 15).
Più avanti nel racconto evangelico Luca ci consegnerà una parabola che Gesù dice proprio per coloro che ritenevano se stessi giusti e disprezzavano gli altri (cf. Lc 18,9-14).
Non sono il denaro in sé o la ricchezza che vengono demonizzati quanto l’uso che ne facciamo, e soprattutto quanto noi ci facciamo determinare nelle nostre scelte e nei nostri atteggiamenti da ciò che possediamo, dai beni, dal successo, da come ci mostriamo agli altri.
All’inizio del brano Gesù ci esorta: “Fatevi amici con la disonesta ricchezza” (v. 9). È la relazione con l’altro che viene posta al centro, la ricchezza, i beni sono funzionali a questa relazione.
Ciò che interessa all’autore del vangelo non è stabilire con criteri umani un’etica della ricchezza o del buon uso del denaro, quanto il fatto che questo è sempre e solo uno strumento, è dato a noi scegliere se usarlo per costruire ponti, relazioni umane, per accogliere e vedere l’altro nel suo bisogno, o se arroccarci nella nostra ricchezza per disprezzare e giudicare l’altro, forti della nostra presunta giustizia. Nella parabola del ricco stolto Dio chiede al ricco: “Quello che hai accumulato per chi sarà?” (Lc 12,20).
La fedeltà che viene richiesta nelle cose piccole e grandi, nell’amministrazione della ricchezza, può essere compresa come la fatica, lo sforzo per purificare il nostro cuore dalla tentazione egocentrica volta ad accumulare tutto per sé, volta ad agire esclusivamente in relazione a se stessi. Allora possiamo giungere a una comprensione della legge nella sua totalità che sempre ci chiama alla relazione con l’altro, a una relazione basata sul riconoscimento, sulla fedeltà, sul rispetto dell’altro, solo così in verità possiamo servire Dio nel profondo del nostro cuore. Questo servizio si manifesta in un reale desiderio dell’altro, della relazione, nel riconoscimento della sua ferita, della sua povertà, non come il ricco epulone che, accecato dall’ostentazione della sua ricchezza non poteva vedere il povero Lazzaro seduto alla sua porta (cf. Lc 16,19-31).
È fedeltà nelle relazioni quotidiane, nell’amore degli sposi che può essere più forte di ogni minaccia di divisione solo se riconosce nell’amore di Dio la sua origine. Solo in essa è racchiusa la volontà profonda che fa percorrere cammini di amore e fedeltà.
L’immagine della ricchezza che sovente Luca usa nel vangelo deve far riflettere sul fatto che questa ricchezza ci viene donata, non viene da noi, ci è affidata perché noi ne facciamo qualcosa in vista di un cammino comune, in vista della costruzione di qualcosa per il futuro, per un futuro di amore e comunione, questo è il fine ultimo e autentico di quella legge che non verrà mai meno.
fratel Nimal
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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 2, 13-22
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».
Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Parola del Signore