“La preghiera dell’umile penetra le nubi, finché non sia arrivata, non si contenta”. Queste parole del libro del Siracide (35,17), che aprono la liturgia di questa domenica, ci pongono in continuità con quanto abbiamo ascoltato domenica scorsa. La preghiera resta l’orizzonte nel quale la Parola di Dio ci immette.
Ma non è più l’insistenza nel rivolgersi a Dio, come nell’episodio della povera vedova, bensì l’atteggiamento che l’uomo deve avere nella preghiera. L’evangelista Luca (18,9-14) inizia la narrazione della notissima parabola del fariseo e del pubblicano che si recano al tempio, con una premessa che ne mostra la ragione: “Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Si tratta in verità di una situazione nella quale tutti possiamo ritrovarci. Ognuno di noi, in fondo, ha una buona considerazione di sé, accompagnata, invece, da un senso piuttosto critico verso gli altri. E credo sia opportuno sottolinearlo nei nostri tempi, perché è diventato fin troppo facile puntare il dito contro gli altri, senza guardare se stessi. Storture e deviazioni avvengono anche perché l’ambiente spesso le permette o le tollera. Non c’è dubbio che la caduta della tensione morale ci vede tutti corresponsabili, seppure in diverso grado, per cui è difficile tirarsene totalmente fuori.
La parabola di questa domenica è, perciò, davvero attuale: sono davvero molti coloro che si sentono più giusti degli altri; potremmo dire che il “tempio” di questo mondo è stracolmo di gente che “presume di essere giusta e disprezza gli altri”. Il fariseo, che sta ritto in piedi davanti all’altare e ringrazia Dio per la vita buona che conduce, non è solo, è circondato dalla maggioranza. Il fariseo ha da vantare cose che la maggioranza difficilmente può presentare. In effetti ha qualcosa di esemplare: che vada al tempio è cosa buona; è anche bello che non si nasconda da una parte e non si metta in fondo vicino alla porta, come accadeva e accade ancora in molte nostre chiese. Inoltre, quel che il fariseo dice è vero: non è un ladro, non è un imbroglione, non tradisce la moglie ed è diverso da quel pubblicano che si è fermato in fondo.
Poi digiuna veramente due volte la settimana e paga le offerte. Non sono cose da poco; non tutti le fanno. È quindi anche giusto che ringrazi Dio. Insomma sembra davvero a posto in tutto. Quanto al pubblicano, c’è da dire la stessa cosa, sebbene in tutt’altro senso. Che si fermi in fondo al tempio non è poi così esemplare; e se non ha il coraggio di alzare gli occhi al cielo è certo per buoni motivi. Se si batte il petto, lo fa a ragione. Si chiama peccatore e lo è veramente. Insomma, non è una persona che possiamo definire “perbene”. Ma lo sa ed è pentito. Ed è proprio qui il motivo che fa rovesciare il giudizio della parabola. Gesù dice chiaramente che davanti a Dio non contano le opere che uno può accampare, bensì l’atteggiamento del cuore.
Questa parabola è certo una lezione sulla preghiera, ma ancor più lo è circa l’atteggiamento da avere davanti a Dio. Il peccato del fariseo non è sul piano delle pratiche religiose (le osserva tutte e con scrupolo), ma su quello della presunzione, dell’autosufficienza, della grettezza e della cattiveria, che lo spinge a giudicare con disprezzo il pubblicano peccatore. Lo si vede che è un peccatore da come giudica il pubblicano: senza pietà. Il fariseo sale al tempio non per chiedere aiuto o per invocare il perdono; anzi si sente in grado di fare lui le sue offerte a Dio. Ha un cuore pieno di sé.
Il pubblicano, pur avendo raggiunto un notevole benessere nella vita magari è anche temuto al contrario, si sente bisognoso. Egli sale al tempio non a mani colme ma vuote, non per offrire ma per chiedere. Il suo atteggiamento davanti a Dio è quello di un mendicante che tende la mano (profittiamo per ricordare che i mendicanti davanti alle chiese sono il segno della nostra condizione davanti a Dio, come scrive sant’Agostino). Per l’evangelista, il pubblicano è il prototipo del vero credente: questi non confida in sé e nelle proprie opere, anche buone, ma solo in Dio. È ancora una volta il paradosso evangelico: “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (v. 14). Sta anche scritto: “Chi è povero cerca il Signore”, non chi si sente giusto. È una grande verità e una grande saggezza che il Vangelo oggi propone alla nostra riflessione.
Qui tutti i commenti al Vangelo delle domeniche precedenti di mons. Vincenzo Paglia
Letture della
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Prima Lettura
La preghiera del povero attraversa le nubi
Dal libro del Siràcide
Sir 35,15b-17.20-22a
Il Signore è giudice
e per lui non c’è preferenza di persone.
Non è parziale a danno del povero
e ascolta la preghiera dell’oppresso.
Non trascura la supplica dell’orfano,
né la vedova, quando si sfoga nel lamento.
Chi la soccorre è accolto con benevolenza,
la sua preghiera arriva fino alle nubi.
La preghiera del povero attraversa le nubi
né si quieta finché non sia arrivata;
non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto
e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Dal Sal 33 (34)
R. Il povero grida e il Signore lo ascolta.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. R.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce. R.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia. R.
Seconda Lettura
Mi resta soltanto la corona di giustizia.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
2 Tm 4,6-8.16-18
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Parola di Dio
Vangelo
Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 18,9-14
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Parola del Signore