Il fariseo e il pubblicano
Il Vangelo di questa Domenica è la parabola del fariseo e del pubblicano. La frase iniziale assolve il compito che ha, in un dramma, la presentazione dei personaggi:
“Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano”.
Una frase altrettanto lapidaria descrive, alla fine, l’esito della vicenda:
“Questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro”.
Al momento di entrare nel tempio, i due personaggi, pur appartenendo a categorie religiose e sociali diverse, erano, in fondo, molto simili tra loro. Al momento di uscirne, essi sono due persone radicalmente diverse. Uno è “giustificato”, cioè reso giusto, perdonato, in pace con Dio, fatto creatura nuova; l’altro è rimasto quello che era all’inizio, anzi ha forse peggiorato la sua posizione davanti a Dio. Uno ha ottenuto la salvezza, l’altro no.
Cosa hanno fatto di tanto diverso i due, nel breve tempo trascorso nel tempio, da giustificare un risultato così opposto? Gesù ce lo spiega, presentandoci i due personaggi in azione. Egli fa come l’operatore televisivo quando, dopo aver fatto un totale sulla scena, inquadra separatamente, uno dopo l’altro, i due principali attori, con dei primi piani ora sull’uno ora sull’altro. L’obbiettivo si appunta anzitutto sul fariseo.
“Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo”.
Analizziamo un po’ questa descrizione. Il fariseo comincia dicendo: “O Dio, ti ringrazio…”. L’inizio è buono. Cominciare a pregare, ringraziando Dio è cosa sommamente raccomandabile. Ma facciamo bene attenzione. Perché il fariseo ringrazia Dio? A motivo di Dio? No, a motivo di sé: “perché -dice- non sono come gli altri, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano”. Al limite, la sua preghiera potrebbe ancora salvarsi ed essere degna di lode, se attribuisse tutto questo alla grazia di Dio. Invece no; egli attribuisce il suo “non essere come gli altri” alle proprie opere: al fatto che digiuna e paga la decima.
Di solito si pensa che il fariseo è un uomo a posto, “irreprensibile quanto all’osservanza che deriva dalla legge” e che il suo solo errore è che manca di umiltà. Ma forse ciò non è del tutto esatto. Gesù -si legge nell’introduzione¬- disse questa parabola “per alcuni che presumevano di essere giusti”. Non che erano giusti, ma che si ritenevano tali. In realtà, cosa ha fatto il fariseo? Egli si è, per così dire, ritagliato una morale come un vestito su misura. Ha stabilito per conto suo quali sono le cose intorno alle quali si decide chi è giusto e chi è ingiusto, chi è buono e chi è cattivo. Per lui esse sono: non essere ladri, non essere ingiusti, non commettere adulterio, digiunare due volte la settimana e pagare le tasse. Le cose importanti sono quelle che fa lui e che gli altri non fanno. Si è fatto l’autoritratto. In questo modo, uno finisce per uscire sempre vincitore dal confronto.
Il fariseo non si accorge, per esempio, che ha lasciato fuori del suo quadro un punto importantissimo della Legge e cioè l’amore del prossimo. Questo non ha alcun posto nel suo ideale di perfezione, se egli può qualificare indiscriminatamente tutti gli altri come ladri, ingiusti e adulteri e riferirsi con tanto disprezzo al pubblicano che gli sta accanto. Eppure come tutti gli studiosi della legge, egli sapeva bene che amare il prossimo come se stessi era il più importante dei comandamenti (cfr. Luca 10,25 ss.).
Ma l’atteggiamento del fariseo è sbagliato per un motivo ancora più serio. Egli ha invertito completamente le parti tra sé e Dio. Ha fatto di Dio un debitore e di se stesso un creditore. Egli ha compiuto alcune opere buone e ora si presenta a Dio per ricevere quello che gli è dovuto. Cosa fa Dio, di grande e di straordinario in questo caso? Niente di più di quello che fa un venditore che consegna la merce a chi gli presenta lo scontrino.
Spostiamo ora l’obbiettivo sul pubblicano:
“Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Quest’uomo è solo davanti a Dio, non si commisura con gli altri, come faceva il fariseo, ma soltanto con se stesso e con Dio. Non osa avvicinarsi all’altare, ritenendosi indegno di accostarsi a Dio e neppure osa alzare gli occhi al cielo. Si batte il petto. Dal suo cuore sgorga una preghiera molto più breve di quella del fariseo, in cui però c’è tutto il suo cuore contrito e umiliato: “O Dio, abbi pietà di me peccatore!”.
Gesù ci ha prospettato così due modi radicalmente diversi di concepire la salvezza: o come qualcosa che l’uomo pretende realizzare da solo, o come dono della grazia e della misericordia di Dio. L’esempio più celebre di conversione dal primo al secondo di questi modi è quello dell’apostolo Paolo. “Fariseo quanto alla legge”, come si definiva lui stesso, dal giorno che incontrò Cristo, egli considerò “perdita e spazzatura” la sua giustizia derivante dall’osservanza della legge, in confronto alla santità che deriva dalla fede in Gesù (cfr. Filippesi 3, 5-9).
Tali due modi di concepire la salvezza sono ancora presenti e operanti nel panorama religioso odierno. Molte delle cosiddette “nuove forme di religiosità”, oggi in voga, concepiscono la salvezza come conquista personale, dovuta a tecniche meditative, alimentari, o a particolari conoscenze filosofiche. La fede cristiana la concepisce come dono gratuito di Dio in Cristo, che esige certamente lo sforzo personale e l’osservanza dei comandamenti, ma più come risposta alla grazia che come sua causa.
L’aver illustrato, come abbiamo fatto fin qui, la parabola del fariseo e del pubblicano non ci servirebbe molto, se ora non cercassimo di applicarla alla nostra vita personale. Sarebbe semplicistico identificare il pubblicano con i cristiani e il fariseo con gli altri. La differenza è molto più sottile. Anche tra i cristiani, ci sono alcuni che appartengono alla categoria dei farisei, altri a quella dei pubblicani.
Un cristiano si comporta, per esempio, da fariseo quando stabilisce per conto suo la misura del bene e del male, in modo che essa corrisponda esattamente a quello che fa lui. Un marito o un padre di famiglia dirà: “Il marito ideale, un ottimo padre di famiglia, è quello che si comporta così e così…”, e giù a descrivere tacitamente se stesso. Anch’io che vi parlo posso dire, o pensare tra me: “Il sacerdote ideale è quello che fa così e così, che predica così e così, che impiega il tempo così e così…”, cioè come faccio io. La Scrittura chiama tutto questo autogiustificazione (impariamo la parola, per disimparare il fatto!). Ma chi si giustifica da solo non farà mai l’esperienza di “tornare a casa giustificato” da Dio, come il pubblicano.
Nessuno, o pochissimi, sono o sempre dalla parte del fariseo, o sempre dalla parte del pubblicano. I più abbiamo un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, nel senso che a volte ci comportiamo come il fariseo, a volte come il pubblicano. La cosa peggiore sarebbe comportarci come il pubblicano nella vita e come il fariseo nel tempio. Mi spiego. I pubblicani erano considerati, ed erano in realtà, dei peccatori, uomini senza scrupoli che mettevano il denaro e gli affari al di sopra di tutto. I farisei, al contrario, erano, nella vita pratica, molto austeri, osservanti della Legge e (pur con il limite sopra segnalato) assai pii. Somigliamo dunque al pubblicano nella vita e al fariseo nel tempio, se, come il pubblicano, siamo dei peccatori e, come il fariseo, ci crediamo giusti.
Ci sono persone che nella vita ne fanno di tutti i colori, ma poi, quando si presentano davanti a Dio, non trovano assolutamente nulla da accusare e da farsi perdonare. Quante confessioni, ancora oggi, cominciano così: “Io non ho rubato, non ho ammazzato, non ho fatto del male a nessuno”. Chi parla così, si è ritagliato, come il fariseo, una morale di comodo che gli permette di sentirsi a posto con se stesso e con Dio. Si è assolto da solo, precludendosi la possibilità di essere assolto da Dio.
Se proprio dobbiamo rassegnarci ad essere un po’ l’uno e un po’ l’altro, allora che sia almeno il rovescio: farisei nella vita e pubblicani nel tempio! Come il fariseo, cerchiamo, nella vita di ogni giorno, di non essere ladri, ingiusti ed adulteri, di osservare meglio che possiamo i comandamenti di Dio; come il pubblicano, riconosciamo, quando siamo al cospetto di Dio, che quel poco che abbiamo fatto è tutto dono suo ed imploriamo, per noi e per tutti, la sua misericordia.
Il pubblicano ci suggerisce un modo semplice ed efficace per fare tutto questo; dire: “O Dio, abbi pietà di me peccatore!”. Nella sua brevità, questa è una preghiera completa. Ci sono, uno di fronte all’altro, Dio e l’uomo, ognuno con quello che ha di più proprio: l’uomo con il suo peccato, Dio con la sua misericordia. Una preghiera piena, nello stesso tempo, di umiltà e di fiducia, che va dritta al cuore di Dio. “Dopo queste tre o quattro parole -dice Dio- l’uomo può dirmi ciò che vuole. Sono disarmato” (Péguy).
Perché non provare a ripeterla qualche volta anche noi?
Qui tutti i commenti al Vangelo domenicale di p. Cantalamessa
Letture della
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Prima Lettura
La preghiera del povero attraversa le nubi
Dal libro del Siràcide
Sir 35,15b-17.20-22a
Il Signore è giudice
e per lui non c’è preferenza di persone.
Non è parziale a danno del povero
e ascolta la preghiera dell’oppresso.
Non trascura la supplica dell’orfano,
né la vedova, quando si sfoga nel lamento.
Chi la soccorre è accolto con benevolenza,
la sua preghiera arriva fino alle nubi.
La preghiera del povero attraversa le nubi
né si quieta finché non sia arrivata;
non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto
e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Dal Sal 33 (34)
R. Il povero grida e il Signore lo ascolta.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. R.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce. R.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia. R.
Seconda Lettura
Mi resta soltanto la corona di giustizia.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
2 Tm 4,6-8.16-18
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Parola di Dio
Vangelo
Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 18,9-14
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Parola del Signore