Papa Francesco – Omelia e Angelus del 13 Ottobre 2019 – Il testo, il video e il file mp3

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PAPA FRANCESCO

SANTA MESSA PER LA GIORNATA MONDIALE MISSIONARIA

CAPPELLA PAPALE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
XXIX Domenica del Tempo Ordinario, 20 ottobre 2019

Dalle Letture ascoltate vorrei cogliere tre parole: un sostantivo, un verbo e un aggettivo. Il sostantivo è il monte: ne parla Isaia, profetizzando di un monte del Signore, alto sopra i colli, a cui affluiranno tutte le genti (cfr Is 2,2). Il monte ritorna nel Vangelo, dato che Gesù, dopo la sua risurrezione, indica ai discepoli come luogo di ritrovo un monte della Galilea, proprio quella Galilea popolata da molte genti diverse, la «Galilea delle genti» (cfr Mt 4,15). Sembra, insomma, che il monte sia il luogo dove Dio ami dare appuntamento all’umanità intera. È il luogo dell’incontro con noi, come mostra la Bibbia dal Sinai al Carmelo fino a Gesù, che proclamò le Beatitudini sulla montagna, si trasfigurò sul monte Tabor, diede la vita sul Calvario e ascese al cielo dal Monte degli Ulivi. Il monte, luogo dei grandi incontri tra Dio e l’uomo, è anche il posto dove Gesù trascorse ore e ore in preghiera (cfr Mc 6,46), a unire terra e Cielo, noi suoi fratelli al Padre.

Che cosa dice a noi il monte? Che siamo chiamati ad avvicinarci a Dio e agli altri: a Dio, l’Altissimo, nel silenzio, nella preghiera, prendendo le distanze dalle chiacchiere e dai pettegolezzi che inquinano. Ma anche agli altri, che dal monte si vedono in un’altra prospettiva, quella di Dio che chiama tutte le genti: dall’alto gli altri si vedono nell’insieme e si scopre che l’armonia della bellezza è data solo dall’insieme. Il monte ci ricorda che i fratelli e le sorelle non vanno selezionati, ma abbracciati, con lo sguardo e soprattutto con la vita. Il monte lega Dio e i fratelli in un unico abbraccio, quello della preghiera. Il monte ci porta in alto, lontano da tante cose materiali che passano; ci invita a riscoprire l’essenziale, ciò che rimane: Dio e i fratelli. La missione inizia sul monte: lì si scopre ciò che conta. Al cuore di questo mese missionario chiediamoci: che cosa conta per me nella vita? Quali sono le vette a cui punto?

Un verbo accompagna il sostantivo monte: salire. Isaia ci esorta: «Venite, saliamo sul monte del Signore» (2,3). Non siamo nati per stare a terra, per accontentarci di cose piatte, siamo nati per raggiungere le altezze, per incontrare Dio e i fratelli. Ma per questo bisogna salire: bisogna lasciare una vita orizzontale, lottare contro la forza di gravità dell’egoismo, compiere un esodo dal proprio io. Salire, perciò, costa fatica, ma è l’unico modo per vedere tutto meglio, come quando si va in montagna e solo in cima si scorge il panorama più bello e si capisce che non lo si poteva conquistare se non per quel sentiero sempre in salita.

E come in montagna non si può salire bene se si è appesantiti di cose, così nella vita bisogna alleggerirsi di ciò che non serve. È anche il segreto della missione: per partire bisogna lasciare, per annunciare bisogna rinunciare. L’annuncio credibile non è fatto di belle parole, ma di vita buona: una vita di servizio, che sa rinunciare a tante cose materiali che rimpiccioliscono il cuore, rendono indifferenti e chiudono in sé stessi; una vita che si stacca dalle inutilità che ingolfano il cuore e trova tempo per Dio e per gli altri. Possiamo chiederci: come va la mia salita? So rinunciare ai bagagli pesanti e inutili delle mondanità per salire sul monte del Signore? La mia strada è in salita o in “arrampicamento”?

Se il monte ci ricorda ciò che conta – Dio e i fratelli –, e il verbo salire come arrivarci, una terza parola risuona oggi come la più forte. È l’aggettivo tutti, che prevale nelle Letture: «tutte le genti», diceva Isaia (2,2); «tutti i popoli», abbiamo ripetuto nel Salmo; Dio vuole «che tutti gli uomini siano salvati», scrive Paolo (1 Tm 2,4); «andate e fate discepoli tutti i popoli», chiede Gesù nel Vangelo (Mt 28,19). Il Signore è ostinato nel ripetere questo tutti. Sa che noi siamo testardi nel ripetere “mio” e “nostro”: le mie cose, la nostra gente, la nostra comunità…, e Lui non si stanca di ripetere: “tutti”. Tutti, perché nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua salvezza; tutti, perché il nostro cuore vada oltre le dogane umane, oltre i particolarismi fondati sugli egoismi che non piacciono a Dio. Tutti, perché ciascuno è un tesoro prezioso e il senso della vita è donare agli altri questo tesoro. Ecco la missione: salire sul monte a pregare per tutti e scendere dal monte per farsi dono a tutti.

Salire e scendere: il cristiano, dunque, è sempre in movimento, in uscita. Andate è infatti l’imperativo di Gesù nel Vangelo. Tutti i giorni incrociamo tante persone, ma – possiamo chiederci – andiamo incontro alle persone che troviamo? Facciamo nostro l’invito di Gesù o ce ne stiamo per i fatti nostri? Tutti si aspettano cose dagli altri, il cristiano va verso gli altri. Il testimone di Gesù non è mai in credito di riconoscimento dagli altri, ma in debito di amore verso chi non conosce il Signore. Il testimone di Gesù va incontro a tutti, non solo ai suoi, nel suo gruppetto. Gesù dice anche a te: “Va’, non perdere l’occasione di testimoniare!”. Fratello, sorella, il Signore si aspetta da te quella testimonianza che nessuno può donare al tuo posto. «Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita, […] così la tua preziosa missione non andrà perduta» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 24).

Quali istruzioni ci dà il Signore per andare verso tutti? Una sola, molto semplice: fate discepoli. Ma, attenzione: discepoli suoi, non nostri. La Chiesa annuncia bene solo se vive da discepola. E il discepolo segue ogni giorno il Maestro e condivide con gli altri la gioia del discepolato. Non conquistando, obbligando, facendo proseliti, ma testimoniando, mettendosi allo stesso livello, discepoli coi discepoli, offrendo con amore quell’amore che abbiamo ricevuto. Questa è la missione: donare aria pura, di alta quota, a chi vive immerso nell’inquinamento del mondo; portare in terra quella pace che ci riempie di gioia ogni volta che incontriamo Gesù sul monte, nella preghiera; mostrare con la vita e persino a parole che Dio ama tutti e non si stanca mai di nessuno.

Cari fratelli e sorelle, ciascuno di noi ha, ciascuno di noi “è una missione su questa terra” (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium,, 273). Siamo qui per testimoniare, benedire, consolare, rialzare, trasmettere la bellezza di Gesù. Coraggio, Lui si aspetta tanto da te! Il Signore ha una sorta di ansia per quelli che non sanno ancora di essere figli amati dal Padre, fratelli per i quali ha dato la vita e lo Spirito Santo. Vuoi placare l’ansia di Gesù? Vai con amore verso tutti, perché la tua vita è una missione preziosa: non è un peso da subire, ma un dono da offrire. Coraggio, senza paura: andiamo verso tutti!

Il testo dell’Angelus

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La seconda Lettura della liturgia di oggi ci propone l’esortazione che l’apostolo Paolo rivolge al suo fedele collaboratore Timoteo: «Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento» (2Tm 4,2). Il tono è accorato: Timoteo deve sentirsi responsabile dell’annuncio della Parola.

La Giornata Missionaria Mondiale, che si celebra oggi, è un’occasione propizia affinché ogni battezzato prenda più viva coscienza della necessità di cooperare all’annuncio della Parola, all’annuncio del Regno di Dio mediante un impegno rinnovato. Il Papa Benedetto XV, cento anni orsono, per dare nuovo slancio alla responsabilità missionaria di tutta la Chiesa promulgò la Lettera apostolica Maximum illud. Egli avvertì la necessità di riqualificare evangelicamente la missione nel mondo, perché fosse purificata da qualsiasi incrostazione coloniale e libera dai condizionamenti delle politiche espansionistiche delle Nazioni europee.

Nel mutato contesto odierno, il messaggio di Benedetto XV è ancora attuale e stimola a superare la tentazione di ogni chiusura autoreferenziale e ogni forma di pessimismo pastorale, per aprirci alla novità gioiosa del Vangelo. In questo nostro tempo, segnato da una globalizzazione che dovrebbe essere solidale e rispettosa della particolarità dei popoli, e invece soffre ancora della omologazione e dei vecchi conflitti di potere che alimentano guerre e rovinano il pianeta, i credenti sono chiamati a portare ovunque, con nuovo slancio, la buona notizia che in Gesù la misericordia vince il peccato, la speranza vince la paura, la fraternità vince l’ostilità. Cristo è la nostra pace e in Lui ogni divisione è superata, in Lui solo c’è la salvezza di ogni uomo e di ogni popolo.

Per vivere in pienezza la missione c’è una condizione indispensabile: la preghiera, una preghiera fervorosa e incessante, secondo l’insegnamento di Gesù proclamato anche nel Vangelo di oggi, in cui Egli racconta una parabola «sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). La preghiera è il primo sostegno del popolo di Dio per i missionari, ricca di affetto e di gratitudine per il loro difficile compito di annunciare e donare la luce e la grazia del Vangelo a coloro che ancora non l’hanno ricevuta. È anche una bella occasione oggi per domandarci: io prego per i missionari? Prego per coloro che vanno lontano per portare la Parola di Dio con la testimonianza? Pensiamoci.

Maria, Madre di tutte le genti, accompagni e protegga ogni giorno i missionari del Vangelo.

Dopo l’Angelus

Cari fratelli e sorelle,

ieri, a Crema, è stato proclamato Beato il martire Don Alfredo Cremonesi, sacerdote missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere. Ucciso in Birmania nel 1953, fu infaticabile apostolo di pace e zelante testimone del Vangelo, sino all’effusione del sangue. Il suo esempio ci spinga ad essere operatori di fraternità e missionari coraggiosi in ogni ambiente; la sua intercessione sostenga quanti faticano oggi per seminare il Vangelo nel mondo. Facciamo tutti insieme un applauso al Beato Alfredo!

E ora rivolgo un cordiale benvenuto a tutti voi, pellegrini provenienti dall’Italia e da vari Paesi. In particolare, saluto e benedico con affetto la comunità peruviana di Roma, qui radunata con la venerata Immagine del Señor de los Milagros – ¡conserven siempre la fe y las tradiciones de su pueblo! –; le Suore Infermiere dell’Addolorata che hanno celebrato il loro Capitolo Generale; i partecipanti alla marcia “Restiamo umani”, che negli ultimi mesi ha percorso città e territori dell’Italia per promuovere un confronto costruttivo sui temi dell’inclusione e dell’accoglienza. Grazie per questa bella iniziativa!

Un pensiero speciale rivolgo ai ragazzi dell’Azione Cattolica, venuti con i loro educatori da tutte le diocesi italiane, in occasione dei 50 anni dell’ACR. Cari ragazzi e ragazze, voi siete protagonisti nell’evangelizzazione, specialmente tra i vostri coetanei. La Chiesa ha fiducia in voi; andate avanti con gioia e generosità!

A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.