Due donne accolgono Gesù in casa loro, ciascuna con il proprio temperamento, mostrando due attitudini diverse nei confronti dell’ospite: la sollecitudine e la premura del servizio in Marta, l’attenzione dell’ascolto in Maria. Entrambi i due atteggiamenti sono importanti.
“Gesù entrò in un villaggio e una donna di nome Marta lo accolse”. Nell’incipit troviamo già un insegnamento importante: l’accoglienza verso chi, volto amico o pellegrino sconosciuto, irrompe inaspettato nella nostra routine; il desiderio di aprirsi alla sua umanità, al suo mondo, alla sua alterità. Numerosi scritti biblici ricordano il dovere dell’ospitalità: “Siate premurosi nell’ospitalità” (Rm 12,13); “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo ha accolto voi” (Rm 15,7).
Maria compie due azioni: siede ai piedi di Gesù, ascolta la sua parola. Sedersi: un gesto che ripetiamo nel corso della giornata senza pensarci troppo, con cui tuttavia Maria esprime la propria libertà (“ha scelto”, v. 42) di interrompere le attività ordinarie per riservare del tempo al Signore. Il tempo offerto all’altro è un tempo che in noi si dilata.
Quella di Maria è la posizione tipica del discepolo nei confronti del maestro: accoglie in sé la parola del Signore, predisponendo uno spazio interiore all’ascolto. Essa non agisce e il non fare è altrettanto vitale perché impegna la nostra interiorità e ci apre a un significato più alto, all’ascolto della Parola che può unificare cuore, mente e azione, senza lasciarci dominare dai molteplici impegni in cui possiamo disperderci. È importante “fermarsi” per capire dove conduce il nostro agire e dare il giusto peso alle cose.
Marta ha piuttosto uno spirito pratico, appare tutta presa nei molti servizi di casa, quasi “tirata” da essi. Desidera predisporre un’ospitalità la più attenta possibile, ma questa eccessiva preoccupazione le impedisce di vivere l’essenziale del tempo presente, di perdere di vista ciò che in quel momento conta.
Il molto fare, per quanto generoso, può condurci ad alienarci e a isolarci anche dal fratello, dalla sorella: ci sentiamo soli, pensiamo che tutto ricada sulle nostre spalle, non riconosciamo l’altro nella sua diversità e anzi lo giudichiamo a partire da quello che noi riteniamo sia giusto: “Maestro, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciato sola a servire?” (v. 40). Centrale non è il servizio in sé, ma la qualità della relazione che sappiamo instaurare, il come siamo presenti all’altro; l’ospitalità ha bisogno di compagnia.
Marta ha scelto la parte buona, ha aperto al Signore che ha bussato alla porta del suo cuore, e può dire con il salmista: “Il Signore è mia parte di eredità, mia porzione” (cf. Sal 16). Amare non significa soltanto fare del bene a una persona, ma consentire che questa persona possa raggiungerci con il suo bene.
Ogni ospite, ricorda Benedetto nella sua regola, è sacramento di Cristo. “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Eb 13,2). Anche a noi è dato di ricevere in dono questa “porzione”. È il dono sacro dell’ospitalità.
fratel Salvatore
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Marta lo ospitò. Maria ha scelto la parte migliore.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10, 38-42
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Parola del Signore.