Quante energie spendiamo per dimostrare di essere i migliori. Quanti pensieri e quante preoccupazioni noi mettiamo in campo per potere fare vedere che siamo i più grandi. Quante crisi viviamo di fronte al fatto che le cose non sembrano vadano come avevamo voluto o avevamo previsto. Quanto bisogno viviamo per dimostrare che non siamo piccoli. Bisogno non rivolto solo a noi stessi ma pieno di una carica di negatività, dove tutto o quasi o molto sembra vada a rotoli. Quanto tempo e quanto spazio giocato per dipendenza dal pensiero degli altri e per potere dimostrare a loro che noi siamo bravi, che dico: i migliori.
Il vangelo oggi ci presenta la Parola, il Figlio dell’uomo, che si mette nelle mani degli uomini per servirli, vale a dire per volere il loro bene, per ricercare quel bene comune tanto smarrito ma tanto necessario ad ogni società e ad ogni individuo.
Nel cuore di ognuno di noi, suo discepolo, domina ancora una parola contraria a tutto ciò: io voglio mettere le mani sugli uomini, sull’altro, per potere primeggiare e per potere dominare, per poterli dominare. Gesù si mette nelle mani degli uomini, non mette le sue mani su di loro. Ci dice, in fondo, che è tempo che noi guardiamo bene in faccia a questo bisogno tanto naturale ma altrettanto terribile e distruggente che è il bisogno di primeggiare e di dominare. Un bisogno che porta con sé la rovina in ogni dove domina e in ogni dove riesce ad infiltrarsi.
Noi abbiamo paura di rimanere senza dominio e senza qualcuno che ci ascolti: non è importante non avere paura, è importante accorgerci che ne abbiamo e avere il coraggio di tremare. Non è importante tacere, è importante essere silenzio perché possiamo ritornare a cogliere e a comprendere che il tremare ci parla di noi, ci parla di quello che noi siamo e abbiamo. Fare silenzio, anziché discutere su chi è il più grande, per ritornare capaci di accoglierci in verità.
Sono bravo a non arrabbiarmi pur avendone ogni diritto e pur avendo buoni motivi per esserlo. Fare silenzio, guardare la mia rabbia e attendere che il fuoco dell’amore, della gratuità, della libertà dalla dipendenza dal mio bisogno di dominio, avvolga la mia rabbia e contemplare questo fuocherello che poco a poco brucia le scorie di cui il mio cuore è ripieno. Un fuoco che illumini e diventi luce per comprendere quanto voglio tenere fra le mani gli altri e quanto sono disponibile a consegnarmi nelle loro mani per essere fuoco che brucia la rabbia del grande e luce che illumina la bellezza del piccolo. Non mi basta accettare ho estremo desiderio di accogliere me e il prossimo in verità, per essere sveglio pronto a rispondere secondo bellezza e secondo bontà. Il mio bisogno di fare il male lo vorrei illuminato per concedermi di vedere quanto il mio bisogno di dominare, di essere grande, sia male e faccia male. Sia male per me e faccia male al prossimo, alla vita, al mondo.
Avere il coraggio di dirmi che mi faccio male e che tu mi fai male non per diventare migliore illudendomi che io sono più in là, sono più bravo, sono santo, sono autocosciente, ho il dono di capire le cose, ma per trovare il coraggio di sorridere al mio peggio, per essere sorridente al peggio dell’altro che tanto mi crea fastidio e che tanto ho bisogno di criticare sbandierandolo ai quattro venti.
Una delle illusioni che pervadono le nostre giornate è l’illusione di volere pacificare tutto, di volere risolvere tutto, di volere fare del bene. Tutto questo troppo spesso è pervaso dalla volontà di potenza che diventa malvagità di dominio. Forse abbiamo bisogno di ritornare a vedere la bellezza di quello che siamo per potere esplorare in libertà quello che molto ci fa male di noi, la bellezza del trattarci in verità.
Forse il bisogno di insegnare continuamente è un atteggiamento che uccide la nostra capacità di accompagnare. Accompagnare significa non opporci più a chi si oppone al male solo perché non è dei nostri. Il bene è dono assoluto del Padre a tutti i suoi figli, a tutti gli uomini. Non interessa la provenienza, interessa la verità dello stesso. Non importano le targhe di provenienza, interessa la libertà da quegli interessi beceri che tanto pervadono le nostre relazioni e il nostro lavoro facendo diventare il nostro esistere una tristezza deambulante sempre più di corsa.
L’orgoglio personale come l’orgoglio collettivo, l’orgoglio di parte come l’orgoglio di gruppo, l’orgoglio di religione come l’orgoglio di congregazione, è un dominatore delle nostre relazioni: cominciamo a metterci in cammino per vivere e per godere di quella piccolezza che tanto ci manca ma che è tanto vitale e umanizzante.
Non per essere migliori, ma semplicemente per essere, per essere più veri.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore
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Chi è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9, 46-50
In quel tempo, nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande.
Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande».
Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».
Parola del Signore