Mons. Costantino Di Bruno – Commento alle letture del 29 Settembre 2019

Il commento alle letture del 29 Settembre 2019 a cura di  Mons. Costantino Di Bruno, Sacerdote Diocesano dell’Arcidiocesi di Catanzaro–Squillace (CZ).

Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso

Am 6,1a.4-7; Sal 145; 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31

Prima che Gesù facesse parlare il ricco cattivo dall’inferno per manifestarci quali sono le pene e le sofferenze dell’inferno eterno, il Signore Dio aveva già fatto parlare i dannati per rivelarci la profondità, l’ampiezza, la larghezza della loro stoltezza e insipienza. Per un attimo di tempo, anzi per un secondo di tempo consegnato alla malvagità, sono condannati alle pene dell’inferno che sono eterne. Ogni stolto è invitato a pensare, riflettere, decidersi a prestare ogni obbedienza alla Parola di Dio.

Allora il giusto starà con grande fiducia di fronte a coloro che lo hanno perseguitato e a quelli che hanno disprezzato le sue sofferenze. Alla sua vista saranno presi da terribile spavento, stupiti per la sua sorprendente salvezza. Pentiti, diranno tra loro, gemendo con animo angosciato: «Questi è colui che noi una volta abbiamo deriso e, stolti, abbiamo preso a bersaglio del nostro scherno; abbiamo considerato una pazzia la sua vita e la sua morte disonorevole. Come mai è stato annoverato tra i figli di Dio e la sua eredità è ora tra i santi? Abbiamo dunque abbandonato la via della verità, la luce della giustizia non ci ha illuminati e il sole non è sorto per noi. Ci siamo inoltrati per sentieri iniqui e rovinosi, abbiamo percorso deserti senza strade, ma non abbiamo conosciuto la via del Signore. Quale profitto ci ha dato la superbia? Quale vantaggio ci ha portato la ricchezza con la spavalderia? Tutto questo è passato come ombra e come notizia fugace, come una nave che solca un mare agitato, e, una volta passata, di essa non si trova più traccia né scia della sua carena sulle onde; oppure come quando un uccello attraversa l’aria e non si trova alcun segno del suo volo: l’aria leggera, percossa dal battito delle ali e divisa dalla forza dello slancio, è attraversata dalle ali in movimento, ma dopo non si trova segno del suo passaggio; o come quando, scoccata una freccia verso il bersaglio, l’aria si divide e ritorna subito su se stessa e della freccia non si riconosce tragitto. Così anche noi, appena nati, siamo già come scomparsi, non avendo da mostrare alcun segno di virtù; ci siamo consumati nella nostra malvagità». La speranza dell’empio è come pula portata dal vento, come schiuma leggera sospinta dalla tempesta; come fumo dal vento è dispersa, si dilegua come il ricordo dell’ospite di un solo giorno. I giusti al contrario vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore e di essi ha cura l’Altissimo (Sap 5,1-15).

La spavalderia, la forza come regola di giustizia, la morte inferta ai giusti non producono alcuna vita per quanti se ne lasciano conquistare il cuore. Forse la ricchezza vissuta come fine a se stessa ci giova o ci salva? Neanche questa modalità di condurre la nostra vita produce salvezza. La ricchezza vissuta in modo egoistico è furto a Dio dei suoi beni a noi elargiti perché con essi dessimo conforto a tutti i poveri della terra. Abbiamo defraudato il Signore. Non c’è posto per noi nei suoi cieli santi.

C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Oggi non solo non si crede in queste voci che parlano a noi dal luogo della loro perdizione. Neanche si può credere in essa. Noi abbiamo stabilito, mentendo e ingannando, che l’inferno è vuoto e che il Paradiso è dato a tutti. Menzogna eterna.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che nessun cristiano dica menzogne al prossimo.

Fonte@MonsDiBruno

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