Amos nella sua azione di profeta denuncia gli spensierati, seduti in letti d’avorio, che canterellano, bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati. E’ modo di vivere di chi rimane insensibile alla miseria degli impoveriti che nel medesimo tempo vivevano nella miseria e nell’oppressione. Amos grida la sua protesta che proviene dalla chiamata ad annunciare la parola del Signore: ‘finirà l’orgia dei buontemponi’.
La parabola del ricco e del povero Lazzaro, il cui nome ‘El azar’, significa ‘Dio aiuta’, è un racconto proprio del vangelo di Luca, attento in modo particolare alla questione della povertà.
La parabola nella prima parte presenta due quadri opposti: la situazione del ricco descritto con i caratteri di uno spensierato che gode nell’abbondanza, reso insensibile dal lusso e dell’agiatezza. Vive come in una bolla e non si rende nemmeno conto del dolore di chi alla sua porta non ha nemmeno il cibo indispensabile per sfamarsi.
Alla sua porta, vicino e distante, sta Lazzaro, povero, coperto di piaghe, allontanato dalla casa dove si banchettava lautamente e la sua unica compagnia sono i cani randagi. E’ un situazione di contrasto che già nella presentazione diviene accusa di un modo di vivere che Gesù vedeva attorno a lui nel divario tra la ricchezza dei potenti e la miseria degli sfruttati, nell’ingiustizia che esso rappresenta.
Il momento della morte comporta un totale rovesciamento della situazione: Lazzaro è portato dagli angeli accanto ad Abramo mentre il ricco è immerso nei tormenti. Abramo è padre della fede d’Israele e diviene padre dei poveri. E il ricco invece sperimenta la rovina.
Questa descrizione non intende essere una sorta di descrizione della vita dell’aldilà per suscitare strane immaginazioni, di cui si trova attestazione nell’iconografia di questo racconto. Il motivo centrale della parabola sta altrove. La questione al cuore della parabola non è un invito ad immaginare un futuro lontano e fuori della nostra portata, è piuttosto un appello rivolto al presente in cui scorgere come orientare la propria vita per trovare il suo senso più profondo: a questo ci guida la seconda parte del racconto.
La seconda parte della parabola infatti presenta un dialogo tra il ricco e Abramo. Il ricco chiede di andare ad avvisare i suoi cinque fratelli, perché non abbiano a subire la medesima sorte. Si rende conto che una vita spesa nell’indifferenza senza farsi carico degli altri è una vita fallita. Ma la sua richiesta trova in modo sorprendente un rifiuto. Abramo gli risponde: “Hanno Mosè e i profeti: li ascoltino… Se non ascoltano Mosè e i profeti, anche se uno risuscitasse dai morti non si lascerebbero convincere”. E’ una parola dura, un richiamo forte a chi ascolta.
Siamo qui di fronte al punto verso cui tutto il racconto converge: l’espressione ‘Mosè e i profeti’ indica le Scritture, rinvia alla storia della comunicazione di Dio con Israele. Lì Dio si manifesta come colui che si volge alla sofferenza del povero. La risposta di Abramo, padre dei credenti, richiama ad un ascolto che va vissuto nella vita, che interpella il presente. Non è quindi questione di miracoli sorprendenti e di invii celesti: il progetto di Dio per l’umanità è sogno di comunione, di raduno di popoli, di condivisione. Le Scritture sono via per ascoltare la volontà di Dio sulla propria vita e per agire responsabilmente. Solamente l’ascolto che provoca a cambiare il cuore è forza che conduce a vincere l’insensibilità e la cecità del ricco. Tale ascolto della parola dei profeti e del grido dei poveri può generare un diverso rapporto con gli altri perché la vita si apra al suo compimento che è incontro e comunione.
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Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia. Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.