p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 26 Settembre 2019

Iniziamo la nostra meditazione con una domanda, domande che pervadono questo vangelo: chi è Erode e cosa c’entra questo brano con noi?

Noi siamo Erode! Erode è il prototipo di ogni discepolo che ascolta la Parola e cerca di vedere il Signore. Erode sentì in quel tempo parlare di Gesù e cercava di vederlo. Due atteggiamenti belli, due atteggiamenti da discepolo. Ma sono due atteggiamenti che cambiano di valore a partire da quello che ci mettiamo dentro. Sentimenti belli se sinceramente alla ricerca della verità, atteggiamenti omicidi se vogliamo usare la religione per sostenere il proprio potere. Comunque sia atteggiamenti da discepoli del Signore che possono avere un fine buono o una fine dove tutto finisce.

Le domande. Abbiamo incontrato il Battista che chiedeva a Gesù se era veramente Lui quello che stavano aspettando. Gesù chiede agli apostoli chi Lui sia per la gente prima e per loro poi. Da queste domande scaturisce il dialogo tra Gesù e il Battista prima e tra Gesù e i discepoli poi. Non è tutto risolto, ma la base iniziale per uno sviluppo vitale è stata posta. Anche Erode si pone e pone delle domande. Domande che non aprono al dialogo che viene abortito dall’atteggiamento di Erode: lui non aspetta la risposta da parte di nessuno, si risponde da sé, impedendosi di potere accogliere una qualsivoglia risposta che venga da fuori di lui. Ascoltare e vedere, atteggiamenti essenziali per un discepolo, vengono abortiti e usati in modo autoreferenziale, non per mettersi in rapporto con la Parola.

Tutti si chiedono chi è Gesù, ma non può andare oltre una morbosa curiosità e dunque non può capire la Parola, chi uccide chi la dice, il Battista Voce di uno che grida nel deserto. Ma la testa tagliata del profeta rimane più eloquente di qualsiasi discorso, anche se Erode rimane chiuso alla risposta vera perché interessato solo a salvaguardare il proprio potere anche a costo di uccidere il Battista, anche a costo di uccidere i bimbi di Betlemme pur di disfarsi di una presenza scomoda, quella di Gesù, come ha fatto Erode il Grande, il padre di questo Erode.

Noi cristiani possiamo ascoltare la Parola e cercare di vedere Gesù ma possiamo farlo con il cuore di Zaccheo o con la malvagità di Erode. È importante ascoltare e vedere ma ciò che fa la differenza è lo spirito che ci mettiamo dentro, è il fine per cui lo facciamo. lo vogliamo fare per accogliere il seme che germoglia in noi e porta frutti di vita o lo vogliamo accogliere solo per poterlo soffocare con le spine e con le pietre che abitano la nostra vita? Vogliamo essere partorienti di Gesù o vogliamo averlo fra mano per poterlo uccidere e togliere ciò che è solo scomodo per la nostra esistenza?

Il seme che caduto in terra può portare frutto germogliando oppure può seccare senza fruttare nulla: è l’esperienza della nostra vita di tutti i giorni, non stupiamocene. Non guardiamo a questo brano del vangelo come cosa inutile, accogliamolo mentre lo ascoltiamo e facciamolo nostro per potere discernere ciò che porta vita e ci fa vivere e ciò che invece vita non dà. È utile per comprendere come l’ascolto della Parola, tanto importante, non è cosa magica ma è cosa vitale che può portare frutto ma che può anche essere soffocata.

Noi siamo fatti per ascoltare il Padre: l’ascolto è un atteggiamento vitale, non è cosa né secondaria né tantomeno di passaggio. L’ascolto della Parola è cosa vitale che chiede a noi un’accoglienza vitale e non di uso a proprio consumo. Adamo ricevette il soffio e ascoltò la Parola del Creatore che lo ha plasmato ed è per questo venuto alla vita a immagine e somiglianza del Creatore. La terra (Adamo) fatta da Dio è cosa buona e la Parola è il seme di Dio, seme di vita immortale. Abbiamo fra mano ogni giorno queste due cose buone – terra/Adamo e Parola – eppure tante volte queste due bontà vitali non portano vita perché ascoltate per essere rifiutate e negate nella loro bellezza. Non scandalizziamoci, prendiamo coscienza del nostro essere tanto o poco Erode e scegliamo come volere vivere la nostra umanità di fede: aperti o chiusi, vivi o morti. I frutti indesiderati che nascono in noi dal seme della Parola non debbono essere motivo di scandalo, non serve a nulla, debbono invece essere motivo di ascolto e di visione vera, di revisione e di presa di coscienza per divenire più capaci di accoglienza che fa crescere e non morire.

Erode non è un estraneo vissuto 2.000 anni fa. Erode rappresenta la maschera del male sempre in azione nella storia della chiesa e dei cristiani, dell’umanità. La domanda che vogliamo lasciarci è la seguente: a noi che ascoltiamo il vangelo ogni giorno cosa ci impedisce di essere portatori di frutto? Come mai non riusciamo a lasciare che la Parola porti frutto in noi? A noi la risposta!

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore

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Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9, 7-9


In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti».
Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.

Parola del Signore

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