Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 26 Settembre 2019

“Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e l’amore; ma di tutte più grande è l’amore!” (1Cor 13,13) Forse è questo il cuore del cristianesimo, ma anche il cuore dell’uomo, dell’umanità. “Sono stato colpito dall’infinita bontà e dalla capacità di amare che si nascondono in ogni essere umano”, così sintetizzava la sua vita, a pochi giorni dalla morte, Jean Vanier.

Il vangelo odierno ci svela però come l’amore, così semplice, profondamente al cuore degli umani, sia anche paradossalmente, scandalosamente difficile. Forse inarrivabile?

I discepoli hanno ricevuto da Gesù forza e potere, annunciano girando di villaggio in villaggio la buona novella, operano con successo guarigioni, tornano infine da Gesù a riferire sul ministero svolto. Gesù li porta con sé in disparte, in ritiro, per portare in profondità, nello spirito, nel silenzio, nell’intimità della sua persona, il faticoso lavoro svolto. 

Quel ritiro però è interrotto dalla folla che li raggiunge, e Gesù nuovamente la accoglie. Solitudine di Gesù. Differenza di Gesù. L’amore è più grande! E non si tratta anzitutto di un fatto quantitativo, operativo, bensì qualitativo, interiore. 

Qui qualcosa si rompe tra Gesù e i discepoli, che si rivolgono a lui non senza aggressività (frutto avvelenato di quel ritiro!): “Congeda la folla!”. Gli chiedono di licenziare quanti aveva accolto (come chiedergli di licenziare se stesso..!), mettendo in avanti motivi logistici… perché è tardi e rischiano di non trovare cibo e alloggio nei villaggi e nelle campagne dei dintorni. 

Risposta provocatoria di Gesù: “Date loro voi stessi da mangiare!”. Reazione su un piano diverso, numerico, dei discepoli che continuano a non capire: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci”, e restituiscono la provocazione: “A meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente!”. 

La richiesta di Gesù però non era di tipo organizzativo o meramente alimentare, era più interiore: “Dov’è il vostro cuore capace di dono?”. Non è la quantità di cibo che conta, ma il fare spazio, l’accogliere, il condividere con animo libero e grato il poco o niente che si ha. Ancora Jean Vanier:“In un mondo che incoraggia costantemente le persone a salire i gradini della scala sociale, lo Spirito santo ci insegna a scendere in fondo alla scala per trovare la luce nel cuore dei poveri”.

Nelle mani di Gesù levate verso il cielo, nella sua benedizione, lo sguardo verso l’alto, verso il volto del Padre, quel poco si rivela sufficiente a sfamare tutti, nei mille modi ineffabili in cui l’ospitalità concretamente può esprimersi, con gesti da nulla che mettono tanto balsamo sulle ferite. 

“Se anche dessi in cibo tutti i miei beni ma non avessi l’amore, a nulla mi servirebbe” (1Cor 13,3). La moltiplicazione è la comprensione, per grazia, di questa parola, e le dodici ceste di pezzi avanzati sono una misura sovrabbondante di talenti, di creatività, di generosità, d’intelligenza che rimane, a disposizione di tutti.

fratel Lino

Fonte

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Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9, 7-9


In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti».
Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.

Parola del Signore

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