C’ERA UN UOMO RICCO
In quel tempo Gesù disse ai farisei: 19. “C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti.
In questa Domenica la liturgia sofferma la nostra attenzione sulla parabola del ricco e del povero Lazzaro. Siamo invitati a considerare l’errato uso della ricchezza, riflettendo l’esempio di un uomo che sfrutta i suoi beni ad esclusivo vantaggio personale.
I protagonisti della parabola sono tre: il ricco senza nome, il povero Lazzaro e Abramo. Il ricco: è senza nome e rappresenta l’ideologia dominante dell’epoca.
Abramo: rappresenta il pensiero di Dio.
Il povero Lazzaro: “rappresenta bene il grido silenzioso dei poveri di tutti i tempi e la contraddizione di un mondo in cui immense ricchezze e risorse sono nelle mani di pochi” (papa Francesco).
“Un uomo ricco”: di costui non si dice il nome. L’uomo viene definito dal suo comportamento e dal suo lusso, che esibisce perché da essi riceve sicurezza e piacere. La sua vita si basa sull’avere, sull’esteriorità, anziché sull’essere e sulla confidenza in Dio, ma è solo. Viene ricercato solo per avere dei vantaggi.
“Vestiti di porpora e di lino finissimo”: l’abbigliamento serve per ostentare se stesso e incutere riverenza sugli altri.
“Lauti banchetti”: il banchetto è l’anticipazione della festa escatologica, quanto di meglio uno possa desiderare, in contrasto con la povertà vigente. Il ricco non bada a spese per godersi la vita, per darsi ai piaceri dell’esistenza. Papa Francesco, in una sua omelia mattutina, ha definito mondanità l’atteggiamento di chi “è solo con il proprio egoismo, dunque è incapace di vedere la realtà”.
Non viene detto nulla circa la moralità della persona ricca. Non sappiamo se il suo patrimonio sia stato accumulato in modo onesto o meno. Qui importa solo riflettere sull’egoismo dell’utilizzo dei beni e sull’indifferenza verso chi vive negli stenti.
20. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe,
Per contrasto ora viene descritto un povero, “ricco” di piaghe (viene in mente Giobbe 2,7), senza casa, che sta, cioè giace, alla porta, chiusa, del possidente. Questo povero ha un nome, però. Si chiama Lazzaro, che significa “colui che è soccorso da Dio”. Ha una identità, diversamente dal ricco che è privo di nome. Lazzaro è profondamente nell’afflizione, ma proprio per questo è considerato beato da Gesù, secondo il “discorso della montagna”.
21. bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Lazzaro non ha di che sfamarsi; si accontenterebbe di mangiare il pane usato dal ricco per pulirsi le mani che poi veniva gettato sotto la tavola ai cani; invece non gliene danno. Gesù si identifica nel povero Lazzaro, lacero, sofferente, rifiutato.
Si aggiunge il tormento dei cani che leccano le piaghe con le lingue ruvide, provocando ancor più fastidio, dal quale non può sottrarsi. Questo loro gesto è stato interpretato come pietà per cercare di guarire il poveretto. Per gli ebrei i cani non erano animali domestici, ma immondi. Questo indica il punto di miseria in cui versava il povero Lazzaro. Non viene detto nulla circa la sua moralità (pazienza, virtù di accettazione). Egli è presentato solo come emblema della povertà più estrema.
La parabola rispecchia la mentalità del tempo che fa corrispondere alla ricchezza i meriti della persona; alla miseria, il suo stato di peccato. È come se ognuno meritasse la situazione in cui si trova, senza possibilità di riscatto. L’indifferenza del ricco nei confronti del povero significa accettazione di questo ordine delle cose come normale e ineluttabile. Non è questa la visione di Gesù.
22. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.
Come la nascita, la morte è una condizione che accomuna tutti gli uomini. Giunge il momento in cui entrambi, sia il ricco che il povero, lasciano questo mondo. Viene tratteggiato quello che avviene dopo la morte. Nell’oltretomba la sorte è rovesciata: il povero è felice, il ricco è nei tormenti. Così esclama Maria nel suo Magnificat: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Luca 1,52-53).
“Fu portato dagli angeli”: il povero Lazzaro viene preso dagli angeli che lo conducono nel seno di Abramo, nella gloria, dove sono destinati i giusti. Il corpo sicuramente sarà stato gettato nella fossa comune. Luca parla degli angeli che hanno la funzione di accompagnare i defunti in un luogo di pace.
“Fu sepolto”: il ricco ha il privilegio e i mezzi per venire sepolto, come è consono al suo stato. Nessun commento riguardo ai rapporti con parenti e amici, nessuna parola circa la sua persona, nessuna informazione circa il suo destino nel Regno.
23. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui.
La visione ebraica dell’aldilà non è concorde fra le varie correnti di pensiero. Dal racconto si capisce che viene concepito un luogo di tormento (l’Ade o sheol) e un luogo separato di beatitudine. Per alcuni esegeti il soggiorno dei morti coincide con la Geenna, la discarica a cielo aperto vicino a Gerusalemme, nella quale venivano bruciati i rifiuti della città.
24. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Luca riferisce il dialogo del ricco con Abramo. Lo chiama “Padre” appellandosi alla sua discendenza genealogica. Il ricco, che non degnava di uno sguardo il povero, ora chiede pietà per avere una sola goccia d’acqua per alleviare il tormento del fuoco in cui si trova immerso. Colui che non ha dato amore, chiede un atto di amore.
Dal lusso sfrenato alla tortura eterna: è questo il rovesciamento a cui viene sottoposto il ricco, costretto a chiedere l’intervento del povero, per avere un minimo e passeggero sollievo. Aiuto negato in vita agli altri, aiuto supplicato in morte per se stesso.
25. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
Abramo interviene negando il sollievo al ricco, condannato al tormento eterno, pur se riconosciuto della sua stessa discendenza. Questa situazione serve a scuotere il lettore: non ci sono privilegi, non ci sono scappatoie. Ognuno riceverà il premio o la condanna in base alle sue opere. È un monito chiaro per i lettori di ieri e di oggi. Anche noi siamo chiamati a fare del bene finché siamo in tempo: saremo giudicati sull’amore.
26. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
Il grande abisso interpreta l’irrevocabilità del giudizio, un limite invalicabile. Lazzaro non può più aiutare il ricco, in quanto non c’è più il tempo di rimediare: la sorte è segnata per sempre. La morte pone fine a tutte le possibilità. Le scelte fatte in vita sono fissate per sempre.
27. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28. perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”.
Ora il ricco chiede che Lazzaro compia una missione: quella di salvare i suoi fratelli, perché non vadano a languire nella stessa pena.
Luca vuole riportare il discorso sulla terra, per far capire quanto bisogna pensare prima alle conseguenze del proprio agire: al momento della morte il giudizio verrà fissato per sempre e non sarà più possibile cambiarlo. Aveva troppo. Ora non ha nulla.
29. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”.
Luca insegna, tramite le parole che mette in bocca ad Abramo, che la Legge ha validità permanente. Nella Scrittura ci sono le direttive sufficienti e necessarie per conoscere e compiere la volontà di Dio e poter godere poi la beatitudine senza fine. Anche noi credenti non abbiamo bisogno dei miracoli. È sufficiente la Parola. Il ricco conosceva la Scrittura, ma non l’ha praticata, non ha aperto gli occhi e il cuore a concretizzare quanto aveva appreso.
30. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”.
Viene ora dichiarato che un evento soprannaturale non ottiene automaticamente la conversione di un cuore indurito. Un miracolo o un’apparizione dall’oltretomba non servirebbero a far cambiare vita a persone che non vogliono ascoltare la Legge di Dio.
Probabilmente Luca riferisce in questa parabola le problematiche sorte nella sua comunità riguardo alla non conversione dei Giudei davanti alla predicazione dei Cristiani.
31. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”.
Luca ribadisce che solo tramite la conversione è possibile sperare nella felicità della vita futura. Per vivere questo invito di Gesù a cambiare vita finché ne siamo in tempo, dobbiamo evitare di correre dietro a manifestazioni soprannaturali, ma nutrirci della Parola e dei sacramenti, che sono sempre a nostra disposizione. Sono questi i mezzi di salvezza che ci possono portare alla beatitudine eterna ed impedirci di cadere nella sorte del ricco, costretto a vivere per sempre nel tormento, che consiste, soprattutto, nell’essere separato da Dio.
Questa parabola è un salutare scossone alla nostra inerzia spirituale, alla nostra pigrizia comportamentale. È un richiamo a riconoscere Dio presente nei poveri. Ricordiamoci che nel giudizio finale il Figlio dell’Uomo dirà: “Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero […] nudo e non mi avete vestito” (Matteo 25,42-43).
Facciamo in modo che la nostra vita gridi a tutti la gioia di incontrare il Salvatore, prima nei poveri e poi nella festa della vita senza fine. Godremo i frutti di una vita spesa nel dono, nella generosa condivisione con gli ultimi, nell’utilizzo di quanto abbiamo per il bene degli altri. Il Cristo Risorto ci aprirà le porte della dimora di luce e di pace dove incontreremo tutti coloro che avranno beneficiato qui in terra della nostra magnanimità.
Suor Emanuela Biasiolo delle Piccole Suore della Sacra Famiglia
Letture della
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Prima Lettura
Ora cesserà l’orgia dei dissoluti.
Dal libro del profeta Amos
Am 6,1a.4-7
Guai agli spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano al suono dell’arpa,
come Davide improvvisano su strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati
e cesserà l’orgia dei dissoluti.
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Dal Sal 145 (146)
R. Loda il Signore, anima mia.
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. R.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. R.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R.
Seconda Lettura
Conserva il comandamento fino alla manifestazione del Signore.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
1 Tm 6,11-16
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,
che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.
Parola di Dio
Vangelo
Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 16,19-31
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Parola del Signore