I teologi usano una parola che risulta un po’ ostica a chi non conosce il linguaggio tecnico di questa disciplina: escatologia. Il vocabolo letteralmente designerebbe un “discorso” (lógos) sulla realtà “ultima” (éschaton), cioè sulla meta terminale verso cui è proteso il cammino della storia. Per alcune concezioni questo approdo sarebbe un annientamento, simile a una catastrofe. È quello che viene definito e spesso anche descritto come la fine del mondo, non di rado affidato anche alla letteratura e alla cinematografia fantascientifica.
Una simile visione era tipica – anche al tempo di Gesù – di una concezione diffusa detta apocalittica: la storia presente era vista sotto il vessillo del male e di Satana e si attendeva che una conflagrazione dissolvesse questo mondo perché Dio introducesse «nuovi cieli e nuova terra». Questa concezione appare anche nel Nuovo Testamento, soprattutto attraverso i suoi simboli molto accesi e quasi “esplosivi”, più che nel suo messaggio negativo. L’esempio tipico è il libro dell’Apocalisse che usa queste immagini drammatiche non per atterrire ma per alimentare la speranza dei cristiani che operano nella storia e che sono spesso perseguitati.
A loro non si vuole far balenare la fine del mondo, ma piuttosto il fine della storia umana che Dio sta già da ora preparando, un regno di giustizia. È ciò che annuncia Cristo nel suo discorso detto appunto “escatologico”, presente in tutti e tre i Vangeli sinottici (Matteo 24; Marco 13; Luca 21). Il terzo evangelista, però, offre un’altra pagina (17,22-37) nella quale quella meta finale, a cui sopra accennavamo, è definita come «il giorno del Figlio dell’uomo». Il profeta Amos parlava di «giorno del Signore» (5,18) come momento del giudizio sul male della storia e della salvezza per i giusti.
Ora, invece, è l’incontro con Cristo nella sua venuta finale a diventare uno stimolo alla conversione. Questa lunga premessa è necessaria per comprendere alcune immagini di tensione nelle quali appaiono delle figure femminili che vogliamo ora evocare, continuando la ricerca che da tempo stiamo compiendo nel Vangelo di Luca. La sequenza di queste immagini si apre con i «giorni di Noè», quando l’umanità – come accadrà anche «nei giorni del figlio dell’uomo» – era distratta e indifferente e «si prendeva moglie», una vicenda comune (17,27). Subentra poi la moglie di Lot (17,32), donna “nostalgica” del passato di Sodoma, che «guardò indietro e divenne una statua di sale» (Genesi 19,26).
Si succedono, poi, varie scene di quotidianità, nelle quali s’insinua all’improvviso quel “giorno” che crea una sorta di discriminante: ad esempio «due donne staranno a macinare [alla mola per la farina]: l’una verrà portata via e l’altra lasciata» (17,35). In un’altra pagina si leva un monito minaccioso: «In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo» (21,23). Questa immagine materna è “apocalittica” e vuole simbolicamente segnalare la gravità di quella frontiera ultima della storia in cui il male esploderà con tutta la sua potenza, prima che si erga il Figlio dell’uomo giudice e salvatore.
Fonte: Famiglia Cristiana