Se siamo ciechi come possiamo dirigere la nostra vita vedendo dove andiamo? Se non passiamo mai la notte sul monte come possiamo cercare di comprendere la volontà del Padre in mezzo alle vicende di questo mondo? Ci soffermiamo mai a lasciarci interrogare: ma cosa sta cercando di dirmi Dio, cosa vuole il Padre da me in questa situazione?
Siamo ciechi che vogliono guidare altri ciechi: cadremo tutti e due in una buca, pur convinti di stare facendo un servizio pastorale, un servizio per il Regno, un servizio per la gente.
Mi pare che, spesso, siamo più presi dal fatto di dovere dirigere che dal dovere vivere in verità quanto ci è dato di vivere. Vivere in verità significa non volere sfruttare la vita e il prossimo, non scegliere dove andare, ma amare il prossimo e la vita e scegliere come andare laddove dobbiamo andare.
La misericordia è l’essenza del Padre, è il codice di sanità e di santità, è il principio di ogni relazione con amici e con nemici e con amici che presto o tardi, stiamo tranquilli, diventeranno nemici. La misericordia è la vita di ogni famiglia e di ogni comunità.
Se non abbiamo misericordia siamo ciechi, secondo la sapienza del Padre, e non possiamo condurre la nostra vita navigando sui marosi della stessa, figuriamoci poi se possiamo essere guide di altri, del prossimo. Senza misericordia non c’è Samaritano Buono che tenga: facciamo tutti i leviti e i preti che di fronte all’uomo mezzo morto, si voltano dall’altra parte.
Cosa è che accieca la nostra vista? La trave nel nostro occhio che non vediamo perché troppo presi a guardare la pagliuzza che c’è nell’occhio del fratello. Come è che siamo ciechi? Quando non ci accorgiamo che senza misericordia non c’è vita, non ci può essere comunione, non ci può essere amore, non ci può essere famiglia, non ci può essere comunità cristiana, non ci può essere mondo.
La misericordia, nel vangelo di Luca, ha quattro pilastri su cui basarsi senza i quali siamo gente cieca che vaga nel buio pensando di essere nella luce.
Non giudicare è il primo di questi pilastri. Non giudicare non significa non vedere ma scegliere di vivere quanto vediamo con misericordia, non accecati dal bisogno di giudicare il prossimo. Fare la volontà del Padre divenendo gente libera e non più accecata dalla trave significa proprio questo. La trave è il giudizio, la pagliuzza è l’essere giudicato.
Il secondo pilastro è non condannare. Quanti disastri abbiamo compiuto nella storia, quanti ne compiamo ora, con l’idea che dobbiamo condannare il malvagio anziché rifiutare la malvagità. A me pare che quando mettiamo in atto il nostro bisogno di condannare noi non ce la prendiamo col male, prendiamo il male come scusa per prendercela col prossimo. Ciechi e accecati, gente che guarda senza misericordia pensando di vedere la vera realtà.
Da ultimo, se non riusciamo accogliere la bellezza dell’assolvere abbiamo tutti bisogno di intraprendere la carriera del giudice. Siamo accecati dall’invadenza del nostro bisogno di avere sotto mano il prossimo magari facendo vedere che lo assolviamo invece che condannarlo, ma con la condanna nel cuore che si esprime nella convinzione di averlo così in mano: ti assolvo ma tu fai quello che dico io, tu mi servi per questo ti assolvo. Ciechi che guidano altri ciechi verso la criminalizzazione della vita.
La misura, infine, con cui doniamo è il vero segno della nostra modalità di vivere. La volontà del Padre è che noi doniamo come Lui ci dona. La nostra cecità ci dice di non esagerare e di stare attenti. Il nostro buon senso ci spinge a non essere troppo generosi perché poi l’altro ne approfitta. La nostra cecità porta noi religiosi e la chiesa con noi ad essere attenti più alle proprietà della chiesa che al loro utilizzo per il servizio ai poveri, alla gente.
Donare con abbondanza, con l’abbondanza che ci viene dal dono del Padre, è dono di vita che è misericordia, che fa nascere la vita, che non chiude gli occhi sulla realtà di vita, che vede e vive con misericordia.
L’invito è chiaro: mettiamoci a contemplare la trave di non misericordia che alberga nel nostro occhio, forse qualcosa potremo ritornare a capire.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore
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Può forse un cieco guidare un altro cieco?
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6, 39-42
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Parola del Signore