Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 9 Settembre 2019

Nel brano di oggi l’evangelista Luca prosegue ad affrontare il tema del sabato. Il brano precedente terminava con le parole: “il Figlio dell’uomo è Signore del sabato” e oggi si esplicita ulteriormente che cosa voglia dire questa affermazione. È Signore non tanto perché dimostra il suo potere nel trasgredirlo, come interpretano farisei e scribi, ma piuttosto perché riporta il sabato alla sua identità originaria. 

Il settimo giorno colloca la vita del popolo di Dio in tre dimensioni particolari: del tempo, dello spazio e della storia. Più precisamente ricorda la creazione del cosmo da parte di Dio in cui l’essere umano è la creatura che parteciperà alla creazione attraverso il suo lavoro, lavoro da cui, però, dovrà riposarsi proprio per assumerlo in maniera libera e nella gratitudine verso Dio. Solo così la dimensione del lavoro potrà essere vissuta come strumento di libertà per tutti, che si tratti di padrone o di schiavo, di straniero o di autoctono. Infine il sabato è memoria della liberazione del popolo di Israele dall’Egitto, luogo in cui gli ebrei vissero in schiavitù e dunque non poterono vivere la dimensione sabbatica. Tutto questo esprimeva l’ampiezza e la profondità del sabato. Quello, invece, che emerge dal testo di oggi è una riduzione e un rimpicciolimento della dimensione del sabato a una precettistica che perde di vista l’orizzonte originario. Anzi lo sovverte. Se il sabato celebra la vita, la libertà e il rendimento di grazie a quel Dio che ha creato il mondo, ora scribi e farisei soffocano questo messaggio attraverso il loro sguardo ristretto. Hanno reso il sabato come giorno in cui i divieti inaridiscono questo tempo invece votato alla lode e al ringraziamento per il coinvolgimento di Dio nella storia dell’umanità. 

Lo sguardo che rivolgono a Gesù nel brano di oggi traduce il loro atteggiamento verso la Legge e verso la vita. Non sono interessati alla presenza del Verbo di vita, ma sono intenti a sopprimere quanto può accadere dal coinvolgimento del Figlio di Dio con l’uomo, cercando giustificazioni in quella Legge che hanno paralizzato, come la mano dell’uomo nella sinagoga. Gesù con il suo gesto chiaro e alla luce del sole chiama l’uomo nel mezzo della sinagoga, non solo ridà vita alla mano del malato, ma ridà vita a quella Parola che scribi e farisei avevano reso lettera morta. L’uomo del brano di oggi non era in fin di vita, dunque per la Torah non era necessario guarirlo in giorno di sabato, ma forse ad essere in fin di vita era la Legge attraverso le nostre interpretazioni che non le permettono più di essere una Parola di vita, ma di morte. Gesù attraverso il gesto di guarigione esprime la sua signoria sul sabato riportando tale giorno a occasione di ritorno alla vita e adesione, attraverso la Parola, all’opera iniziata da Dio in ciascuno di noi insegnandoci a compiere il bene e non il male, nonostante le ostilità e i tentativi di confondere il bene con il male.

sorella Beatrice

Fonte

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Osservavano per vedere se guariva in giorno di sabato.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6, 6-11


Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo.
Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo.
Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita.
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

Parola del Signore

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