IL DIGIUNO DEGLI INNAMORATI CHE CI SAZIA DI UN ALIMENTO INCORRUTTIBILE
“In quel tempo”, nel quale Gesù aveva guardato, amato e chiamato Matteo, l’uomo più odiato della Galilea, il pubblicano, come dire il politico più corrotto che ha usato dei soldi pubblici per farsi rimborsare di tutto, comprese le escort. “In quel tempo”, nel quale Gesù era sceso nel digiuno di vita e di amore di Matteo, e questi, trasformato dalla misericordia imprevista e gratuita, sazio di vita e di amore, aveva invitato Gesù a casa sua, la più impura, la più lontana dal Regno di Dio. “In quel tempo” in cui i peccatori erano stati “invitati a nozze” e “lo Sposo era con loro”, alcuni scribi farisei si indignano perché le loro “preghiere” apparivano improvvisamente come un “vestito vecchio”, e i loro “digiuni” come “otri vecchi”. Le loro “preghiere” cioè, non erano il vestito adeguato per entrare al banchetto, e i loro “digiuni” erano otri nei quali non si poteva “versare il vino nuovo” delle nozze. Erano troppo gelosi del “vino vecchio” per “desiderare” il “nuovo. Paradossalmente, le “preghiere” e i “digiuni”, li impermeabilizzavano proprio di fronte a ciò che la preghiera implora e il digiuno attende.
Il rispetto scrupoloso delle regole li rendeva giusti, e per questo avevano perso la capacità di stupirsi di fronte all’imprevedibilità di un amore che giustifica gratuitamente il peccatore. Si illudevano di non averne bisogno: “avevano zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza; poiché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio” (Rm 9,2-3). Come accade a noi, “abituati” alle nostre regole con cui cerchiamo di stabilire in famiglia, nella comunità cristiana, ovunque la nostra giustizia. Ma, come “Israele, che ricercava una legge che gli desse la giustizia, non è giunto alla pratica della legge” così anche noi falliamo su tutti i fronti. “E perché mai? Perché”, come Israele, non ricerchiamo” la giustizia – il compimento della vita – “dalla fede, ma come se derivasse dalle opere”. E così anche noi “ urtiamo contro la pietra d’inciampo” che è Cristo crocifisso, l’amore che, gratuitamente, guarda, giustifica e chiama il peccatore a seguirlo in un vita nuova. In fondo non “desideriamo” andare dietro al Signore (è lo stesso verbo), perché il “vino vecchio” avvelenato dalla superbia che il demonio “versa” nell’“otre” che è il nostro uomo “vecchio”, insieme all’“abito” religioso e onesto con cui rivestiamo ipocritamente parole e gesti, ci impediscono di aprirci con stupore alla Grazia. I “discepoli” di Gesù, invece, Matteo e i suoi amici peccatori per cominciare, non avevano altro “otre” che la loro debolezza; i loro peccati, noti a tutti, li vestivano di indegnità. Non potevano immaginare che Gesù, il famoso Rabbì di Nazaret che si diceva Figlio di Dio, fissasse lo sguardo del suo cuore su di loro. Erano esclusi dalla comunità, ingiusti, empi, corrotti e traditori dell’Alleanza.
E invece lo Sposo aveva invitato proprio loro, come continua anche oggi ad invitare i peccatori, quelli che anche tu disprezzi, disperando della loro salvezza. Non disprezzi tua moglie, tuo marito, i tuoi figli perché non rispettano le tue regole? O perché non si comportano neanche come “i discepoli di Giovanni”, mica erano ipocriti quelli, e “mangiano e bevono” invece di “digiunare” come fanno quelli della famiglia che da tempo invidi? Fermati un attimo, perché il Vangelo di oggi viene come una bomba d’amore sulle certezze che ti stanno pietrificando. Sei un peccatore come Matteo, e Dio ti ama così come sei, proprio come ha amato Matteo. Non ne sei degno, non hai nessuna credenziale da esibire… Quello che nascondi nel cuore è lì a dirtelo… Ma Gesù, che ti conosce, ti invita anche oggi al suo banchetto di nozze. Hai già “digiunato”, anche se non te ne sei accorto; sei stato a “digiuno” d’amore nei lunghi anni in cui hai giudicato tuo fratello. Hai già “pregato” tante volte, come gli ebrei schiavi in Egitto, quando hai gridato dal fondo del tuo cuore ferito incatenato al peccato.
Coraggio allora, perché Gesù non ti ha disprezzato, anzi, ha ascoltato il tuo grido e l’ha accolto come una preghiera; è sceso nella tua tomba riconoscendo in essa il tuo digiuno di vita. E’ venuto, e viene a te perché ti ha scelto per essere un suo discepolo. Allora, vuoi continuare a bere il vino vecchio o “desideri” che Gesù ti rivesta con il “vestito nuovo” della misericordia, con la candida veste battesimale che ti ridona l’immagine e la somiglianza con il Padre che ti ha creato? Coraggio, “sottomettiti alla Giustizia di Dio” e “mangia e bevi” al banchetto preparato per te nella Chiesa, perché la Grazia trasformi il tuo “uomo vecchio” in un “otre nuovo” capace di accogliere il “vino nuovo” dell’amore di Dio. Allora comprenderai che il “digiuno” al quale sei chiamato è quello che esprime il “desiderio” autentico dello Sposo quando sperimenterai che ti “è stato tolto”. Quando, infatti, ti sarai addormentato, forse sazio di “mangiare e bere”, non temere, perché il tuo cuore sanato veglierà, e saprà riconoscere l’Amato nel silenzio della notte. Ti alzerai per aprirgli, troverai le tracce del suo passaggio, ma Lui non ci sarà. Allora ti alzerai per cercarlo nella notte dell’aridità, e incontrerai le guardie che fanno la ronda, cioè il demonio che ti tenterà per rubarti l’esperienza di Cristo e del suo amore.
Coraggio, sarà quello il tempo in cui ravvivare la memoria dello Sposo e il “desiderio” di seguirlo sino a trovarlo; sarà proprio “il tempo in cui digiunare”, “rinunciando a se stessi” e “prendendo la propria croce”. Quando siamo inchiodati sulla Croce è “naturale” avere sete come Gesù: è il digiuno autentico e necessario che esprime la nostra condizione esistenziale. Non mangiare, non fumare, non parlare, digiunare da qualcosa è dunque un’esigenza, fa scendere le lacrime innamorate che sperano e “desiderano” di ritrovare e stringere l’Amato! Proprio per questo con il digiuno affermiamo di voler entrare nella storia così come si presenta, accettando il dolore e la precarietà, perché solo in essa possiamo seguire le orme che vi ha deposto lo Sposo. “Digiunare” dunque è il modo con cui esprimere, qui sulla terra, il nostro consenso alle nozze che ci attendono in Cielo perché, durante il cammino, ne pregustiamo le delizie.
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Quando lo sposo sarà loro tolto, allora in quei giorni digiuneranno.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 5, 33-39
In quel tempo, i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!».
Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».
Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».
Parola del Signore