Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 29 Agosto 2019

Oggi celebriamo il martirio di Giovanni il Battista, il precursore venuto a preparare la via al Messia (cf. Mc 1,2) e a precederlo fino alla morte e alla sepoltura; “lo posero in un sepolcro” come si dirà per Gesù (cf. Mc 6,29; 15,46).

All’inizio del vangelo incontriamo Giovanni che irrompe con la sua voce potente realizzando le profezie di Malachia (cf. Ml 3,1) e Isaia (cf. Is 40,3). La sua descrizione è molto vivida, un uomo vestito di peli di cammello che si nutre di locuste e miele selvatico, uomo del deserto, profeta che fino all’ultimo compie la propria vocazione denunciando l’ingiustizia e il male, e chiamando a conversione i peccatori, senza tacere di fronte al potere.

Dopo essere stati scossi dalla sua predicazione, incontriamo di nuovo la figura di Giovanni nel racconto paradossale del suo martirio, che ha colpito molto l’immaginario degli artisti. Il narratore ci informa del motivo del suo arresto: Giovanni è un oggetto, un corpo consegnato a chi lo arresta, all’odio di Erodiade, al pusillanime timore reverenziale di Erode e finalmente al capriccio di una ragazza e di sua madre e alla inettitudine di un re che a tal punto disprezza il suo regno da cederlo come premio di una danza; da ultimo il suo corpo è oggetto della sepoltura da parte dei discepoli. Che senso può avere una morte così? Colui che ancora nel grembo materno aveva danzato di gioia nell’incontro tra le due madri, ora per un’altra danza precede il Messia nel martirio.

Parlando di Giovanni, il più grande tra i nati da donna (cf. Mt 11,11), Gesù sottolinea la contrapposizione tra colui che rimane fedele alla verità che deve annunciare e quanti si piegano al potere di turno, vestono abiti di lusso e vivono nei palazzi dei re. Giovanni, venuto con la potenza di Elia per preparare la via al Signore come Elia perseguitato, non si difende dalla violenza, ma muore come agnello condotto al macello perché il suo sguardo era già rivolto a Gesù. Anche nella morte Giovanni prepara la via al Signore perché l’amico dello sposo gioisce alla voce dello sposo e ormai la sua gioia è piena ed è pronto a diminuire perché il Signore cresca (cf. Gv 3,29-30).

Giovanni è il primo dei monaci perché tutta la sua vita si fa attesa, sguardo fisso su Gesù, gioia alla voce dello sposo, martirio di fronte alla violenza insensata senza pretesa di difendere se stesso o la propria missione. E questo anche nel dubbio che lo attraversa (sei tu quello che deve venire?), perché egli sa che sarà il Signore con la sua morte e Resurrezione a spezzare per sempre ogni violenza.

Dirà Gesù: “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11,12). Di fronte a questa violenza che ferisce le comunità, i paesi, la società e soprattutto quei luoghi ove i cristiani sono ancora oggetto di persecuzione, noi uomini e donne discepoli di Gesù Cristo, noi monaci sul cammino tracciato da Giovanni non possiamo che volgere lo sguardo al Signore restando vigilanti, senza cessare di denunciare il male e l’ingiustizia, appassionati amanti di Dio e di ogni uomo o donna che incontriamo, pronti a seguire l’agnello ovunque vada senza voler difendere noi stessi sapendo che nella croce di Cristo tutto si compie.

Ricordo allora le parole di un altro monaco e martire, fr. Christian di Tibhirine: “Nelle nostre relazioni quotidiane prendiamo apertamente le parti dell’amore, del perdono, della comunione, contro l’odio, la vendetta, la violenza che ai nostri giorni colpiscono tutti. Entriamo così nell’atteggiamento del Dio di tenerezza e di misericordia che è con ogni uomo che soffre”.

fratel Nimal

Fonte

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«Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista».

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6, 17-29

In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.

E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Parola del Signore

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