«Questo santo cantico della benedetta Madre di Dio dovrebbe essere ben imparato e ritenuto da tutti». Così scriveva Lutero aprendo il suo Commento al Magnificat, l’inno che Maria intona durante il suo incontro con Elisabetta (Luca 1,46-55) e che la liturgia dell’Assunzione propone come lettura evangelica della solennità. Anche noi, perciò, che abbiamo in passato commentato le parole della madre del Battista (1,41-45), ci dedicheremo ora a questo cantico mariano che è ancor oggi intonato nella liturgia cattolica dei Vesperi e che ha ricevuto un’immensa serie di riprese musicali in tutti i secoli.
È questa l’unica volta in cui Maria parla a lungo. Le altre cinque volte ricorre solo a frasi brevi, quasi smozzicate. Nell’Annunciazione: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?… Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (1,34.38). Nel tempio a Gesù tra i dottori: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (2,48). A Cana: «Non hanno vino… Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Giovanni 2,3.5). Ora, invece, il suo canto si espande, tenendo in filigrana la voce di un’altra donna, Anna, che ringraziava Dio per il dono del suo figlio, il profeta Samuele (1Samuele 2,1-10).
Il Magnificat tematicamente riflette la spiritualità dei cosiddetti ‘anawîm, i “poveri” del Signore, cioè coloro che erano dediti pienamente a seguire la volontà divina, distaccandosi dal potere e dalla ricchezza ma anche aderendo alla Parola di Dio con fedeltà e amore. Dal punto di vista formale, l’inno è come se fosse per solista e coro. Infatti, il primo movimento è tutto “personale”, intonato dall’“io” di Maria che si proclama «serva del Signore» come nell’Annunciazione (1,38): «L’anima mia magnifica…, il mio spirito esulta…, mio salvatore…, mi chiameranno beata, …ha fatto per me l’Onnipotente».
Il secondo movimento è, invece, una celebrazione corale dell’opera del Signore. Egli privilegia il debole e l’ultimo; le sue scelte sono estrose agli occhi umani perché scartano chi gode di grande credito per potere, successo e ricchezza. Questa opzione divina è espressa attraverso sette verbi che in greco hanno la forma dell’aoristo, cioè di un’azione permanente e definitiva del Signore: «Ha spiegato la potenza… ha disperso i superbi… ha rovesciato i potenti… ha innalzato gli umili… ha ricolmato gli affamati… ha rimandato i ricchi… ha soccorso Israele». Nel cantico di Maria non c’è solo l’esaltazione della povertà nel senso sopra specificato.
C’è anche una forte speranza nell’azione del Signore onnipotente che ribalterà le sorti di questa sghemba e ingiusta storia umana: significativi sono, infatti, i contrasti tra potenti e umili, ricchi e affamati, superbi e fedeli. Come nella parabola, esclusiva di Luca, del ricco egoista e del povero Lazzaro (16,1931), avverrà uno stravolgimento per cui chi è nella polvere salirà nella gloria riservata da Dio ai giusti.
Maria è la prima di questa folla di «poveri del Signore» e invita tutti coloro che ripetono, cantandole, le sue parole a tenere alta la fiaccola della fiducia nel Signore giusto giudice.
Fonte: Famiglia Cristiana