COME TRALCI UNITI ALLA VITE NULLA ANTEPORRE ALL’AMORE DI CRISTO NOSTRA LINFA DI VITA
“Senza” Gesù siamo uno zero assoluto. Ma con Lui la nostra vita, semplice o complicata, afflitta da malattie, da paure, ferita dalle debolezze, questa vita è stupenda, un’avventura irripetibile donataci per disseminare di “frutti” squisiti i nostri giorni, capaci di mostrare Dio e il Cielo a ogni uomo. Basta “rimanere in Lui”, dimorare in Cristo, come sperimentò San Benedetto. Lasciarci amare, alzare bandiera bianca, gettare via da noi il pensiero “aiutati che Dio t’aiuta” che troppo spesso ci accompagna, aggrappati a Lui, alle sue braccia distese per amore, come la vite al tralcio. “Rimanere in Lui” non significa inventarsi chissà che cosa, è, semplicemente, essere crocifissi con Lui. E’ rimanere lì dove Lui ci conduce, nella storia concreta dell’unico oggi che ci appartiene, quello reale che siamo chiamati a vivere. Nell’obbedienza perché, come scriveva San Benedetto, era “il segno più evidente dell’umiltà è la prontezza nell’obbedienza. Questa è caratteristica dei monaci che non hanno niente più caro di Cristo”. Il Signore non dice che, sforzandoci, impegnandoci, anche senza di Lui potremmo cominciare a metterci del nostro, qualcosa, che so? buone intenzioni o progetti o altro, qualcosa a cui Lui, poi, darebbe compimento. No, il Signore ci dice che senza di Lui nulla possiamo. Detto in altro modo: senza di Lui anche quello che facciamo è nulla, fumo che il vento porta via, perché senza la linfa del suo Spirito non vi è fecondità. Fratelli, proprio dal non accettarlo provengono tante sofferenze: dal tentare e ritentare di farcela da soli, liberi dal giogo della Croce, staccati dalla vite che sola può trasmetterci la vita e dare pienezza a ogni cosa. E così vediamo “seccarsi” i rapporti, e dobbiamo “gettare” nel “fuoco che brucia” quelli che sembravano eterni. Pensiamo al nostro matrimonio, al fidanzamento, allo studio, al lavoro, all’amicizia. Pensiamo a una passeggiata tra i boschi, a una visita al museo, alla spesa del sabato, a una cena in pizzeria con la fidanzata, come a una dolorosa degenza in ospedale, una notte di studio alla vigilia di un esame, una discussione con la figlia che non si riesce proprio a capire, pensiamo a qualunque momento della nostra vita, pensiamolo vissuto in Cristo, alla sua presenza, illuminato dalla sua Parola, sostenuto dalla sua forza; e pensiamolo chiuso in noi stessi, schiacciato sulle nostre forze, preda dei nostri impulsi e delle nostre ispirazioni. In Cristo tutto ha un sapore, una forza, un’autenticità impensabili. In Lui anche una semplice passeggiata è tutta un’altra cosa. Anche un viaggio, anche una partita allo stadio. In Cristo ogni parola, ogni pensiero, ogni gesto “porta un frutto che rimane”, bello, buono, consistente. Per questo se stai sperimentando difficoltà e fallimenti, non mormorare. E’ il Vignaiolo che sta “potando” i rami seccati dall’orgoglio, perché abbandoniamo finalmente l’inganno di ritenerci importanti e indispensabili.
Coraggio allora, lasciamoci “potare” anche attraverso le cure della Chiesa, perché la nostra vita, libera e adulta nella fede, renda Gloria a Dio. Essa, infatti, brilla nel “frutto” squisito di un fidanzamento nel quale, “uniti a Lui come i tralci alla vite”, due ragazzi possono lottare per custodire la castità: un fidanzamento “potato”, tagliato nei rami secchi della concupiscenza e dell’egoismo impaziente, che cresce rispettoso, prudente, avvolto di santo timore, protetto dal pudore. Nel “frutto” di un matrimonio santo, aperto alla vita e nel dono libero e totale di sé, “potato” nei rami secchi dell’infedeltà quotidiana all’unica sposa e all’unico sposo che difende i propri criteri. Il “frutto” di un lavoro “potato” attraverso le difficoltà e le ingiustizie e, per questo, che diviene un’occupazione nella quale offrirsi per i colleghi, per i superiori e gli inferiori, rintracciando in ogni mansione il momento favorevole per aprirsi agli altri e far gustare il proprio sapore unico e inconfondibile dell’amore di Cristo. Il “frutto” dello studio “potato” della pigrizia e dell’idolatria di voti e risultati che lo fa offrire a se stessi, nel quale apprendere a non fare la propria volontà, a soffrire per compiere quella di Dio, la libertà di chi non è più schiavo del dover fare sempre e solo quello che piace, consola e costruisce se stessi; lo studio che prepara a un futuro di amore autentico, al lavoro e alla famiglia. Vivere nella Chiesa come San Benedetto ha scoperto e poi stabilito come fondamento per i monasteri: “ora et labora”, prega, ascolta e fai la volontà di Dio. Che in ogni aspetto della nostra vita Dio ci doni di “diventare discepoli” che “orando” seguono il Signore; che, ascoltando e “osservando” umilmente le “sue parole” che ci “purificano” dall’idolatria, possiamo “lavorare” nella sua vigna “rimanendo” nel torchio della storia: stretti alla Croce di ogni giorno, pigiati completamente dalle difficoltà, dalle sofferenze e dagli imprevisti che, proprio perché ci spremono, costituiscono l’occasione perché il succo di vita che Cristo depone in noi possa scaturire come da una sorgente alla quale chi ci è accanto possa dissetarsi. Per questo, “tutto ciò che chiederemo”, ovvero la salvezza di tuo figlio e di tua zia, l’incontro con Cristo per ogni uomo, “ci sarà donato”, perché la volontà di Dio fluisce come linfa da Cristo a noi e al mondo attraverso il legno della Croce.
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Voi che mi avete seguito, riceverete cento volte tanto.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 19, 27-29
In quel tempo, Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».
Parola del Signore.