Solennità della Santissima Trinità – Anno C
Sbilanciamento
Che ne sappiamo dell’amore? Se pensiamo di amare tenendo tutto sotto controllo e facendo quadrare i conti, saremo bravi ragionieri ed efficaci amministratori, ma non arriveremo a sperimentare l’amore. L’amore è sbilanciamento e perdita.
Lo sapeva bene Leopardi, che paradossalmente colloca L’infinito dentro la raccolta dei Piccoli idilli, come se l’immenso potesse essere contenuto nelle cose più piccole. Ma se guardiamo la metrica di quel componimento, ci accorgiamo che c’è una sfasatura, un’eccedenza: la metrica è quella di un sonetto, ma con un verso in più, perché l’infinito, come l’amore, non può essere contenuto dentro la misura di parole umane. Sconfina.
Autoreferenzialità
Che ne sappiamo dell’amore, se continuiamo a chiederci per tutta la vita: ci sarà un giorno qualcuno che mi amerà veramente? Ma non ci fermiamo mai a sfidare noi stessi con una domanda diversa: sarò capace un giorno di amare veramente?
Da chi abbiamo imparato ad amare? La nostra cultura occidentale non ha mai smesso di considerare Zeus un maestro, ognuno si crede un piccolo dio autoreferenziale. Zeus fa tutto lui, anche in amore: divora la dea Meti, per paura di essere sopraffatto dalla sua discendenza, chiedendole di trasformarsi in una goccia (secondo altre versioni in una mosca). Ma Meti ha già concepito Atena e ne tesse l’abito mentre è dentro il corpo di Zeus. E così cominciano i mal di testa di Zeus, fino a quando chiederà a Esculapio di aprirgli la testa dolorante, facendone uscire Atena, già grande e corazzata. In questa storia non c’è amore, perché ognuno lavora per sé, proprio come in molte relazioni, dove ciascuno cerca solo il proprio interesse.
Reciprocità
Ma l’amore non può essere neppure chiuso in una sterile reciprocità, dove ci siamo solo noi due. Un amore esclusivo, dove l’altro diventa semplicemente uno strumento di conferma. Sono le relazioni in cui la coppia passa una vita a scambiarsi dubbi e conferme: mi ami, amore?- Io sì e tu? E così va avanti una vita che non arriva mai a generare perché incapace di uscire dal circolo chiuso e viziato di un bisogno egoistico dell’altro. Anche Abramo e Sara sono rimasti forse bloccati in questa reciprocità: alle querce di Mamre sembrano chiusi dentro una tenda e incapaci di generare (Gen 18,1-15). Ma proprio a Mamre arriva il Signore, come tre viandanti che fanno visita a quella coppia. Dio provoca Abramo, lo invita a servire, e così lo tira fuori dalla sua sterilità. L’amore vero si diffonde e contamina: la Trinità, l’amore fecondo, rende ogni uomo capace di generare.
Eccedenza
La Trinità è dunque l’eccedenza che si dona. Amore che non cerca, né si chiude nella reciprocità. Trinità dice un modo di amare che è quello dell’eccedenza dell’infinito. La sovrabbondanza senza calcolo che si dona.
La comunione tra il Padre e il Figlio si sottrae a un modello fusionale di relazione. La comunione si fonda proprio sulla differenza: «[lo Spirito] prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (Gv 16,14). C’è un’identità che non è possesso geloso. È una comunione delle differenze: «Tutto quello che il Padre possiede è mio» (Gv 16,15). E questa comunione è lo Spirito. Il Figlio è capace di separarsi dal Padre, perché si sente amato: è inviato, esce dalla casa del Padre, sperimenta la solitudine e il silenzio del Padre, si dona incondizionatamente.
Penso che il Vangelo voglia portarci ad amare così. Solo questo amore trinitario è veramente amore. Nella vita possiamo accontentarci di surrogati dell’amore o possiamo provare a vivere la pienezza e la fecondità di un amore trinitario, di un amore cioè che ci rende divini.
Leggersi dentro
- Se guardi alle tue relazioni più significative, come definiresti il tuo modo di amare?
- In quali situazioni ed eventi il Signore ti sta chiedendo di crescere nell’amore?