Il commento alle letture di domenica 23 Giugno 2019 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.
Tutti i quattro Evangelisti dedicano una parte rilevante dei loro Vangelo a brani incentrati sul segno del pane. Nei Vangeli il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci viene raccontato addirittura sei volte[1]. Perché tutto questo? Evidentemente per l’importanza dell’Eucarestia nell’esperienza cristiana. Eucarestia come memoriale di Cristo morto e Risorto, cioè come esperienza di amore concreto.
Per capire i testi neotestamentari di istituzione dell’Eucarestia bisogna avere ben presente quel genere letterario, così frequentemente adoperato nei libri profetici, che è il “mimo”. Nel linguaggio dei profeti, infatti, un posto particolarissimo occupano le azioni simboliche: sono più di trenta, e precedono o accompagnano le esposizioni orali. Talora sono vere pantomime, piccole “scenette”, brevi “spot pubblicitari” che devono servire a imprimere bene, nella mente degli astanti, un determinato concetto o una particolare rivelazione.
Quando Gesù istituisce l’Eucarestia, opera anzitutto un mimo profetico. Quanto compie nell’ultima cena è “l’ultima parabola di Gesù” (J. Jeremias). Porgendo il pane, dice: “Questo è il mio corpo dato per voi”; offrendo il calice: “Questo è il mio sangue, versato per voi” (Lc 22,19-20): il primo significato di questa azione è che egli si è donato totalmente agli uomini, che la sua vita è stata oblazione piena per la vita dei fratelli, che si è interamente consumato per essi, e che egli è diventato, offrendosi per loro come il pane e il vino, il loro sostegno e la loro sopravvivenza. “Davanti ai suoi discepoli Gesù fa un mimo della sua morte, rappresentandola davanti a loro; è l’atteggiamento di un profeta e di un martire che porta la missione fino al suo compimento” (A. Marchadour).
Questo simbolismo era così forte che l’Eucaristia diventa subito il centro della vita cristiana, e i discepoli sono chiamati a fare questo in memoria di Lui. Cioè ricordare nell’Eucaristia che il nostro Dio è un Dio di amore che si fa mangiare dagli altri, che si svuota completamente, che si dona completamente agli altri. Quando Gesù comanda ai suoi: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19[2]), vuole innanzitutto dire che anche i suoi dovranno farsi dono totale agli altri, sacrificarsi “fino alla fine” (Gv 13,1), diventare come lui solo amore, condivisione, servizio. Celebrare l’Eucarestia allora non deve essere una pia abitudine, ma l’atto del mio proposito di diventare, come Gesù, comunione vivente con i fratelli. Non dobbiamo mai perdere questo senso primario dell’Eucarestia, perché altrimenti impoveriamo e distorciamo tutti gli altri suoi significati.
Anche dalle parole usate nei racconti delle moltiplicazioni dei pani risulta chiaro l’influsso sia della memoria dell’ultima cena, sia dell’Eucaristia celebrata dai primi cristiani come elemento fondamentale della loro vita.
13: – Date voi stessi loro da mangiare: Gesù invita i suoi ad essere veramente Pastori delle folle,
e a dare essi stessi da magiare alle folle. Dopo la predicazione, la fraternità, la condivisione.
I tre grandi momenti costitutivi della Chiesa: prima c’e la Parola: Gesù predica, la Parola porta alla conversione; poi c’è subito la comunione dei beni: “Date loro da mangiare: sfamateli, risolvete i loro problemi”; quindi l’Eucaristia.
Anche i primi cristiani, nella vita della prima comunità, erano assidui nell’ascolto della Parola, nella condivisione dei beni, e nell’Eucaristia (At 2,42-45).
Dobbiamo prendere sul serio la parola di Gesù: “Date loro da mangiare” se vogliamo celebrare l’Eucaristia senza mangiare e bere la nostra condanna, come diceva Paolo in 1 Cor 11,27-29: “27 Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. 28 Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; 29 perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna”.
La condivisione, la riconciliazione con il fratello devono precedere le nostre preghiere. Ci sarà detto: “Venite, benedetti, al banchetto del Regno, se avrete dato da mangiare agli affamati” (Mt 25). Questa è una meditazione importante, perché spesso per noi la Messa è diventata una pratica individuale: “Mi faccio la mia Comunione cosi divento più santo”, e ci dimentichiamo che Gesù ci dice: “Se stai portando la tua offerta all’altare di Dio e ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia li l’offerta davanti all’altare e va’ a fare pace con tuo fratello; poi torna e presenta la tua offerta” (Mt 5,23-24). Non se tu hai qualche cosa contro gli altri, ma se gli altri hanno qualche cosa contro di te. Se un mondo affamato dice: “Noi moriamo di fame, e voi occidentali state bene”; se un mondo ammalato dice: “Noi moriamo, invece voi avete le medicine per curarvi e le buttate persino via”; se un l’80% del mondo dispone del 20% delle ricchezze, e accusa noi che siamo il 20% ed abbiamo l’80% delle ricchezze…
Ci chiediamo veramente se possiamo fare l’Eucaristia, se prima non abbiamo lottato contro la fame nel mondo. Se prima non abbiamo compartecipato i nostri beni. Se non abbiamo operato per rapporti sociali di giustizia. Ma noi invece di metterci in un’ottica di condivisione, di dono, invece di mettere subito in comune quel poco che abbiamo, i nostri cinque pani e due pesci, facciamo subito i conti, di quanto denaro occorre per sfamare tutti. Siamo noi questi: quando si dice: “Si muore di fame, ci sono tante ingiustizie”, rispondiamo: “Oh, ma che cosa possiamo farci noi?”. Stessa cosa qui: Gesù dice: “Date loro da mangiare, dategliene voi da mangiare”, e rispondono: “Ma per carità, ci andrebbero troppi soldi, ci vorrebbero miliardi”: invece Gesù dice: “Dategli quel poco che avete”. Ciascuno di voi cominci a dare i suoi cinque pani e due pesci, e il problema della fame del mondo, le ingiustizie sociali sui poveri, si risolverebbero, se ognuno di noi mettesse i suoi pochi beni con quelli di tutti gli altri.
Perché pane e pesce? Pane e pesce figurano spesso nell’arte cristiana come simboli eucaristici. Il contesto è Pasquale e Messianico insieme: infatti i Rabbini dicevano che Mosè non aveva dato soltanto la manna durante l’Esodo pasquale, aveva dato anche le quaglie, e in alcuni libri si diceva anche i pesci; ma soprattutto l’apocalittica giudaica, che parlava di ciò che sarebbe accaduto alla fine dei tempi, diceva che alla fine dei tempi gli eletti, insieme al Messia, avrebbero mangiato il Leviatan, cioè questo grande pescione, che è simbolo del demonio, del male, del caos primordiale. Questo banchetto ricorda la Pasqua antica, e ci ricorda anche il banchetto finale. Quindi ogni nostra Eucaristia è celebrazione della Pasqua, ma anche la prefigurazione del banchetto celeste. Ecco perché viene associato il simboli dei pesci.
Quando i primi cristiani vivono in tempo di persecuzione e spesso in clandestinità, disegnano il pesce perché la parola pesce, in greco “ichtùs”, è l’acronimo di “Jesus Christòs Theou Uios Soter”, “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”.
14: – Fateli sedere per gruppi di cinquanta. La folla si divide secondo la divisione fatta da Mosè: “24 Mosè ascoltò la voce del suocero e fece quanto gli aveva suggerito. 25 Mosè dunque scelse uomini capaci in tutto Israele e li costituì alla testa del popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. 26 Essi giudicavano il popolo in ogni circostanza: quando avevano affari difficili li sottoponevano a Mosè, ma giudicavano essi stessi tutti gli affari minori” (Es 18,24-26); “15 Allora presi i capi delle vostre tribù, uomini saggi e stimati, e li stabilii sopra di voi come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine, capi di decine, e come scribi nelle vostre tribù” (Dt 1,15); cfr 1 Mac 3,55: “55 Dopo questo, Giuda stabilì i condottieri del popolo, i comandanti di mille, di cento, di cinquanta e di dieci uomini”.
16: – Qui Luca afferma: “Gesù benedisse e spezzò il pane”: è formula eucaristica della chiesa giudeo-cristiana, “dopo aver elevato gli occhi al cielo”, espressione di comunione con Dio, che troviamo più volte nei Vangeli. Gesù pronuncia la benedizione, la “berakah” in questa moltiplicazione dei pani che avviene in terra di Israele; invece nella moltiplicazione di pani che avviene in territorio pagano, Gesù non fa la benedizione, ma fa un ringraziamento (“rese grazie”: Mt 15,36): in Israele viene usato un termine che si riferisce alla tradizione ebraica, in territorio pagano invece viene usata un parola che poi e rimasta a noi: Eucaristia, che deriva dal greco che “eukarizein”, ringraziare.
In ogni caso qui compaiono quattro verbi che sono quelli propri dell’Eucaristia: 1. Prendere il pane. 2. Pronunciare la benedizione. 3. Spezzare il pane. 4. Donare il Pane. Sono gli stessi verbi che usiamo nella Messa: “Prese il pane, pronunciò la benedizione, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli”. L’Eucarestia ha plasmato il vocabolario della moltiplicazione del pane. Perché Luca era convinto che questa comunione conviviale nel deserto era anticipazione del grande segno Eucaristico lasciato da Gesù nell’ultima cena, ai suoi Discepoli.
Concretamente che cosa è successo? Il biblista Rinaldo Fabris dice che in origine il miracolo sarebbe stato una felice esperienza di cameratismo, e di solidarietà popolare: il gesto iniziale di Gesù che distribuisce il pane ed il pesce avrebbe dato avvio ad una catena di generosità tale da fare addirittura superare le provviste per tutta la folla. “In breve un pic-nic all’aperto ben riuscito per il clima di fraternità ed entusiasmo creato da Gesù” (R. Fabris)[3]. Allora il miracolo, secondo Fabris, consisterebbe nel prodigio di una Parola che crea comunione e condivisione sovrabbondante. Cioè Gesù dice: “Datevi da fare”: prende due pesci e li dà al vicino, ciascuno tira fuori quello che ha, e alla fine mangiano tutti, in questo grande entusiasmo, e ne avanzano ancora.
Questa è una lettura un po’ diversa da quella solita, perché soprattutto in Giovanni e in tutta la tradizione si parla di miracolo autentico, di un prodigio, ma certamente si deve dire che questo è un significato primo, un mimo ancora una volta: cioè ad ogni Eucaristia noi dobbiamo essere trasformati dalla Parola al punto che mettiamo in comune quel poco che abbiamo con i fratelli e si crea un grande miracolo; che i beni si moltiplicano per tutti.
Se le nostre Messe fossero così! Che cosa dobbiamo fare perché le nostre Eucarestie non siano un momento di pia relazione individuale, ma siano anticipazione del banchetto escatologico, siano veramente nell’ottica di memoriale del mimo di Gesù? In cui ciascuno di noi, “alter Christus”, altro Cristo, si fa pane e si fa vino per i fratelli, in cui ognuno di noi, mettendo insieme quel poco che ha, crea il miracolo di sfamare il mondo?
Tutto il racconto è modellato sui miracolo di Eliseo raccontato in 2 Re 4:
“42 Da Baal-Salisa venne un individuo, che offrì primizie all’uomo di Dio, venti pani d’orzo e farro che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». 43 Ma colui che serviva disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Quegli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: Ne mangeranno e ne avanzerà anche». 44 Lo pose davanti a quelli, che mangiarono, e ne avanzò, secondo la parola del Signore”.
Ma se là venti pani erano bastati per cento uomini, qui cinque pani bastano per cinquemila persone (v. 14): è un modo elegante per dire che Gesù supera lo stesso Eliseo, perché Gesù è il Profeta per eccellenza, è il Messia per i fratelli.
17: – e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste. Dodici è il simbolo della pienezza, il simbolo della perfezione, ma è anche il ricordo che questo miracolo avviene per intercessione dei Dodici: cioè Gesù riesce a sfamare la folla tramite la Chiesa che continua a celebrare I’Eucaristia. Gesù continua a salvare tramite tutti noi, che partecipiamo al Banchetto.
14: – Marco e Luca danno una cifra approssimativa: “circa cinquemila uomini”. Matteo dice: “circa cinquemila uomini, senza contare donne e bambini” (Mt 14,21): c’è una tendenza ad aumentare i numeri.
Non sappiamo bene cosa sia avvenuto: certamente il grande insegnamento dei racconti evangelici di moltiplicazione dei pani è che la condivisione dei beni è la conseguenza obbligata dell’accoglienza della Parola del Signore. Se io accolgo la Parola del Signore devo condividere il pane, e abbondantemente questo pane sfamerà tutti.
[1] Mt 14,13-21; 15,32-33…
[2] 1 Cor 11,24-25
[3] Fabris R., in AA. VV., I Vangeli, Cittadella, Assisi, 1975, pg. 723