“Lo Spirito santo vi insegnerà ogni cosa”
Il brano del vangelo di Giovanni fa parte dei “discorsi di addio” pronunciati da Gesù prima della Passione, talora intercalati da interrogativi degli Undici e imperniati su due motivi dominanti: il distacco dai discepoli e l’annuncio del suo ritorno.
Il v.23 che apre la pericope è la risposta di Gesù alla domanda di Giuda Taddeo: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?”(v.22); in essa l’evangelista sintetizza le attese messianiche dei Giudei, compresi i parenti di Gesù e i discepoli: una manifestazione del Messia in termini di trionfo, che avrebbe clamorosamente smentito i suoi nemici e si sarebbe imposta potentemente ovunque e a chiunque.
Invece Gesù aveva detto: “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete”(v.19), distinguendo chiaramente tra i discepoli e il mondo, e preannunciando la situazione postpasquale in cui si sarebbe manifestato, anzi letteralmente “si sarebbe fatto vedere”, solo a chi aveva fede in lui. Come sappiamo, si tratta delle apparizioni di Cristo risorto, ma le parole citate valgono anche per tutti coloro che, nel corso del tempo, avrebbero creduto in Gesù.
Nel contesto biblico, infatti, “vedere” non indica un banale constatare con gli occhi, ma uno sguardo attento, scrutatore, interessato, capace di penetrare profondamente una realtà e di andare oltre ciò che è visibile.
Le parole con cui Gesù risponde a Giuda, un po’ enigmatiche come spesso nei “discorsi di addio”, fanno riferimento proprio a questa nuova forma di conoscenza e comunione con Dio che si può avere solo dopo la resurrezione di Gesù. Si tratta di qualcosa di assolutamente inedito: la possibilità di fare esperienza del divino non nel modo esteriore, comune e tradizionale (Dio che si manifesta in fenomeni potenti della natura), ma intimo e personale; non un fatto oggettivo, automatico, come il vedere una nube o un roveto ardente, ma un’esperienza possibile solo se c’è una sintonia, una medesima lunghezza d’onda tra Dio e la sua creatura.
“Se uno mi ama……….” dice Gesù. L’amore è l’unica realtà che non si può comandare o imporre o carpire con lusinghe o allettamenti; sorge spontaneamente e si alimenta della presenza dell’amato. L’esperienza storica di Gesù di Nazareth ha comportato un incontro, un appello, la proposta di dialogo a persone che, poste di fronte a Lui, o l’hanno capito e amato, o l’hanno rifiutato.
“Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (v.23). Qual è la conseguenza dell’amare Gesù? E’ ancora qualcosa di assolutamente nuovo ed inedito: la possibilità di incontrarlo e di continuare a vivere la comunione con Lui grazie alla sua Parola. Anche in questo caso il termine greco “terein”- generalmente tradotto con “osservare” – non significa solo obbedire, essere fedeli, mettere in pratica (certo, anche questo ovviamente!), ma innanzitutto custodire la Parola di Gesù, considerarla come l’unica cosa preziosa, la perla della parabola per cui il mercante vende tutto.
E allora l’osservanza non sarà solo esteriore, ma nascerà dall’accordo profondo della volontà, dall’adesione spontanea dello spirito e del cuore a questa Parola, scoperta, vissuta e amata come il senso della propria vita.
“La parola che voi ascoltate – leggiamo ancora nel brano – non è mia, ma del Padre che mi ha mandato……Il Consolatore, lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che ho detto” (vv.24.26).
Siamo di fronte a una delle pagine più profonde del Nuovo Testamento, una pagina che ci apre al mistero della Trinità, ancora qualcosa di assolutamente nuovo e inedito: il massimo dei misteri cristiani, la “carta di identità” che distingue il cristianesimo da tutte le altre religioni.
“Il Padre è più grande di me” (v.28). Il Padre è più grande perché tutto quanto avviene proviene da lui e da lui viene condotto al fine, anche l’invio del Figlio e la sua glorificazione; e tutto il ministero di Gesù non tende ad altro che a far conoscere il Padre (cfr. Giov.1,18) e a glorificarlo.
Il Figlio è il Verbo incarnato, che era presso Dio e che è stato mandato agli uomini per rivelare loro l’amore del Padre.
Lo Spirito, che il Padre invia tramite del Figlio, è Colui che “insegna ogni cosa” e “ricorda tutto ciò che Gesù ha detto”; cioè fa comprendere il senso e la portata delle parole di Gesù, permette di interiorizzarle e di attualizzarle in ogni tempo.
E’ grazie al dono dello Spirito che lo stesso evangelista Giovanni ha potuto percepire la profondità della Persona e del messaggio di Gesù, che costituiscono l’oggetto del suo racconto, e la straordinaria possibilità che ci descrive in questa pagina: “Se uno mi ama……il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. (v.23)