Discorso di Papa Francesco ai Membri della Federazione Europea dei Banchi Alimentari

1656

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI MEMBRI DELLA FEDERAZIONE EUROPEA DEI BANCHI ALIMENTARI

Sala del Concistoro
Sabato, 18 maggio 2019

Cari amici,

dopo aver sentito quello che ha detto il vostro Presidente, ho sentito la tentazione di non parlare, perché ha parlato come un Santo Padre! Grazie, perché quello che Lei ha detto ho capito che erano parole dal cuore. Grazie!

Vi saluto cordialmente e, attraverso di voi, vorrei salutare tutti i membri e i volontari dei Food Bank d’Europa. Sono contento di accogliervi al termine della vostra riunione annuale, che ha avuto luogo a Roma in occasione dei trent’anni dalla fondazione del Banco Alimentare italiano: tanti auguri di buon anniversario!

Vorrei ringraziarvi per quello che fate: provvedere cibo a chi ha fame. Non è assistenzialismo, vuol essere il primo gesto concreto di accompagnamento verso un percorso di riscatto. Guardando a voi, immagino l’impegno gratuito di tante persone, che operano nel silenzio e fanno bene a molti. È sempre facile dire degli altri, difficile invece dare agli altri, ma è questo che conta. E voi vi mettete in gioco non a parole, ma coi fatti, perché combattete lo spreco alimentare recuperando quello che andrebbe perduto. Prendete quello che va nel circolo vizioso dello spreco e lo immettete nel circolo virtuoso del buon uso. Fate un po’ come gli alberi – questa è l’immagine che viene –, che respirano inquinamento e restituiscono ossigeno. E, come gli alberi, non trattenete l’ossigeno: distribuite ciò che è necessario per vivere perché sia dato a chi ne ha più bisogno.

Lottare contro la piaga terribile della fame vuol dire anche combattere lo spreco. Lo spreco manifesta disinteresse per le cose e indifferenza per chi ne è privo. Lo spreco è l’espressione più cruda dello scarto. Mi viene in mente quando Gesù, dopo aver distribuito i pani alla folla, chiese di raccogliere i pezzi avanzati perché nulla andasse perduto (cfr Gv 6,12). Raccogliere per ridistribuire, non produrre per disperdere. Scartare cibo  significa scartare persone. E oggi è scandaloso non accorgersi di quanto il cibo sia un bene prezioso e di come tanto bene vada a finire male.

Sprecare il bene è una brutta abitudine che può infiltrarsi ovunque, anche nelle opere di carità. A volte slanci generosi, animati da ottime intenzioni, vengono vanificati da burocrazie ingessate, da spese di gestione eccessive, oppure si traducono in forme assistenzialistiche che non creano vero sviluppo. Nel mondo complesso di oggi è importante che il bene sia fatto bene: non può essere frutto di pura improvvisazione, necessita di intelligenza, progettualità e continuità. Ha bisogno di una visione d’insieme e di persone che stiano insieme: è difficile fare il bene senza volersi bene. In questo senso le vostre realtà, pur recenti, ci riportano alle radici solidali dell’Europa, perché ricercano l’unità nel bene concreto: è bello vedere lingue, credo, tradizioni e orientamenti diversi ritrovarsi non per condividere i propri interessi, ma per provvedere alla dignità degli altri. Quello che fate senza tante parole lancia un messaggio: non è cercando il vantaggio per sé che si costruisce il futuro; il progresso di tutti cresce accompagnando chi sta indietro.

Di questo ha tanto bisogno l’economia. Oggi tutto è interconnesso e veloce, ma la corsa frenetica al guadagno va di pari passo con una fragilità interiore sempre più acuta, con un disorientamento e una perdita di senso sempre più avvertiti. Perciò ho a cuore un’economia che assomigli di più all’uomo, che abbia un’anima e non sia una macchina incontrollabile che schiaccia le persone. Troppi oggi sono privi di lavoro, di dignità e di speranza; tanti altri, al contrario, sono oppressi da ritmi produttivi disumani, che azzerano le relazioni e incidono negativamente sulla famiglia e sulla vita personale. A volte, quando esercito il ministero della Confessione, ci sono persone giovani che hanno dei figli, e domando loro: “Lei gioca con i suoi figli?”. E tante volte la risposta è: “Padre, non ho tempo… Quando io esco di casa per il lavoro loro ancora dormono, e quando torno sono già a letto”. Questo è disumanità: questa vertigine del lavoro disumano. L’economia, nata per essere “cura della casa”, è diventata spersonalizzata; anziché servire l’uomo, lo schiavizza, asservendolo a meccanismi finanziari sempre più distanti dalla vita reale e sempre meno governabili. I meccanismi finanziari sono “liquidi”, sono “gassosi”, non hanno consistenza. Come possiamo vivere bene quando le persone sono ridotte a numeri, le statistiche compaiono più dei volti e le vite dipendono dagli indici di borsa?

Che cosa possiamo fare? Di fronte a un contesto economico malato non si può intervenire brutalmente, col rischio di uccidere, ma occorre prestare cure: non è destabilizzando o sognando un ritorno al passato che si sistemano le cose, ma alimentando il bene, intraprendendo percorsi sani e solidali, essendo costruttivi. Occorre metterci insieme per rilanciare il bene, sapendo che se il male è di casa nel mondo, con l’aiuto di Dio e con la buona volontà di tanti come voi, la realtà può migliorare. C’è bisogno di sostenere chi vuole cambiare in meglio, di favorire modelli di crescita basati sull’equità sociale, sulla dignità delle persone, sulle famiglie, sull’avvenire dei giovani, sul rispetto dell’ambiente. Un’economia circolare non è più rimandabile. Lo spreco non può essere l’ultima parola lasciata in eredità dai pochi benestanti, mentre la gran parte dell’umanità rimane zitta.

Con questi sentimenti di preoccupazione e di speranza che ho voluto condividere con voi, vi rinnovo la gratitudine e vi incoraggio ad andare avanti, coinvolgendo quanti incontrate, specialmente i giovani, perché si uniscano a voi nel promuovere il bene, a vantaggio di tutti.

Grazie!