Commento al Vangelo di Giovedì (Santo) 18 Aprile 2019 – p. Alessandro Cortesi op

“Si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita…

…Signore tu lavi i piedi a me?”

Celebriamo anche quest’anno la pasqua. E viviamo questa atmosfera familiare propria della pasqua ebraica. Celebriamo con senso di festa. È memoriale, giorno di memoria, ‘lo celebrerete come festa del Signore…’

Celebrare significa avvertire il tempo, le cose, le occupazioni con un senso profondo e diverso: non tutto si esaurisce qui e ora, nella superficie, ma questo tempo, queste piccole cose, occupazioni hanno una dimensione più profonda. Tutto rinvia oltre. Per pochi giorni una pausa dalla rincorsa quotidiana tra lavoro, impegni, preoccupazioni e ritardi mai recuperati… in una primavera in cui c’è ancora spazio per la bellezza del fiorire degli alberi, che investe con fiori, colori e profumi. E nel profondo contrasto che si avverte tra la bellezza che ci raggiunge nel germogliare della vita della natura e i segni di disumanità che percepiamo crescere e avanzare nelle parole di spregio e di esclusione, in scelte di violenza, nell’arroganza di chi comanda nel mondo e di coloro che osannano ai vari Trump, Salvini, Orban… macchiette di una tragica commedia. Nel contrasto con le notizie di drammi vicini e lontani, della paura che attanaglia la vita, delle sofferenze palesi e nascoste di tanti cuori.

Lo sguardo della fede è capacità di vedere l’invisibile nelle cose visibili, di solcare con lo sguardo orizzonti che danno senso al quotidiano, di guardare anche nel limitato evento di ritrovarsi insieme in questa sera di primavera per celebrare la memoria di un gesto che sta alla base del nostro vivere.

Celebrerete con i fianchi cinti: è una prescrizione della liturgia pasquale ebraica. Sa di contrasto con la lentezza di un rito tutto chiuso in se stesso: sembra che celebrare la pasqua debba essere un momento di passaggio, appunto. Non c’è da sostare, bisogna partire e ripartire. I fianchi cinti, i sandali ai piedi: sono i simboli di chi si mette in viaggio. Sono i simboli di chi parte e partendo si apre alla novità al cambiamento, alla speranza. E’ di chi sa partire la capacità di rivolgere lo sguardo non già alle cose grandi ma ai piccoli semi che stanno per crescere, a ciò che sta per spuntare.

Viviamo tempi in cui siamo chiamati a non fermarci. Un ritmo accelerato di cambiamenti, di forze incalzanti da più parti ci spinge a muoverci continuamente: notizie, innovazioni, mobilità…flessibilità. Ma tutto questo il più delle volte è come un movimento di superficie del mare agitato dal vento, ma che non segna il profondo. C’è per contro un altro tipo di movimento poco visibile, ma molto più forte, interiore e esistenziale. E’ forse questo il partire a cui siamo invitati questa sera.

I sandali ai piedi sono il distintivo del viandante e del pellegrino che cammina, che compie il suo viaggio, che sa cosa significa partire, abbandonare e abbandonarsi, e sa anche la fatica di lasciare sicurezze e comodità acquisite. C’è un partire fisico e c’è un partire del cuore.

Forse la pasqua quest’anno ci chiede questo: una richiesta antica e nuova. Vivere questa pasqua come chi si mette in viaggio, non da possessori di certezze e orgogliosi gestori di potere. Nemmeno capaci di giudizio sugli altri perché sicuri (o impauriti) nella propria identità da opporre all’altro, ma un viaggio – che come ogni viaggio interiore o esteriore – fa solcare confini e barriere, fa andare al di là, oltre, e spinge a passare, a valicare. I fianchi cinti e i sandali ai piedi indicano la sobrietà del vestito di chi accetta la fatica del cammino: non troppe cose, non troppo bagaglio, ma solo l’essenziale. E’ più faticoso nella vita rintracciare l’essenziale che lasciarsi sommergere da tutto ciò che pensiamo indispensabile ma che non lo è… anche nella fede, anche nella vita di chiesa. E forse è un passaggio di autenticità da compiere prima o poi.

I fianchi cinti… ci invita a pensare con fiducia al futuro: solo chi ha un sogno può mettersi in cammino. Troppo spesso ci lasciamo costringere ad invecchiare pensando che la disillusione e il disincanto siano le caratteristiche della maturità e dell’età adulta. Sono invece l’inermità e lo scoprirsi vulnerabili, come anche la disponibilità a parlare, al dialogo, le caratteristiche di chi parte; ed anche una leggerezza rispetto alle cose. Solo chi non ha tutto e sa limitare l’uso stesso delle cose può apprezzare la bellezza e la gioia per le cose più semplici: l’acqua, un riparo, il cibo, il lavoro, gli incontri, un bel libro… è questa la grazia del deserto: il silenzio, l’acqua, il cielo stellato come panorama della notte, invito alla meraviglia e alla gratitudine, a riconoscere che non siamo soli.

Anche Gesù ha vissuto la pasqua con i fianchi cinti: lui che è presentato dai vangeli sempre in cammino, che sulla via ha istruito i suoi discepoli, che sulla strada ha compiuto i suoi gesti più belli, donando il vedere a quel cieco che poi si mise a seguirlo proprio sulla strada. Lui che sulla strada trovava i luoghi della sosta e del riposo nel cammino. Ed erano luoghi di incontro di amicizia, di fraternità. Non dovrebbe essere così anche la chiesa, un luogo di fraternità, dove ci si può ristorare durante il cammino, luogo dove si può passare (fare pasqua, appunto), scoprendo qualcuno che ha cinto per primo i suoi fianchi ed è partito?

Gesù ha vissuto la pasqua con i fianchi cinti e cinti con quel cencio che Giovanni indica nell’asciugatoio. L’ha vissuta dicendoci quindi che la pasqua si vive intendendo la vita come cammino, per sé e per gli altri. Ma con quell’asciugatoio attorno ai fianchi ci ha detto anche che questo cammino raggiunge il suo senso, è ben orientato, è realizzazione di sé se diventa cammino di servizio.

Forse il più bel modo di celebrare la pasqua è proprio fermarci qui e fare nostra quella domanda di Pietro. ‘Signore, tu lavi i piedi a me?’ Non è già la scoperta che questo dovrò farlo anch’io, che dovremo seguire l’esempio di Gesù, che dovremo lavare i piedi agli altri… questo è forse troppo. Ma forse possiamo solo fermarci a vivere lo sconcerto perché… ‘tu, proprio tu, lavi i piedi a me’. e la meraviglia perché quei fianchi cinti per partire sono i tuoi fianchi… e la gratitudine perché quei fianchi sono cinti con il grembiule della cura, dell’attenzione e del servizio. E anch’io e con me tutti noi siamo coinvolti in questo tuo lavare i piedi. E questo forse è già tutto nel tramonto di questo giorno in cui ci troviamo a ripetere ‘Rimani con noi, in mezzo a noi, perché si fa sera…’

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