Catechesi su “Gaudete er Exultate” – Card. Angelo de Donatis

671

“ORANTI E COMUNICANTI” CATECHESI SU “GAUDETE ET EXSULTATE”

DEL CARDINALE VICARIO ANGELO DE DONATIS

Basilica di San Giovanni in Laterano, 11 marzo 2019

Carissimi,

spesso Papa Francesco ci mette in guardia da alcuni rischi e limiti della realtà culturale di oggi che possono avere una ricaduta negativa sul nostro cammino cristiano, con l’effetto di ostacolare e deformare l’opera di santificazione dello Spirito. Egli si riferisce soprattutto alla tendenza pervasiva all’individualismo, all’affermazione esclusiva di sé che minimizza e relega ai margini la relazione con gli altri, insistendo su un concetto falso di autonomia; sul piano della fede, questo porta spesso a ricercare una sorta di “spiritualità del benessere” individuale, a percorsi tutti interiori ed immanentisti che escludono la vita fraterna, l’impegno per i poveri, l’attenzione ai problemi della storia. Questi rischi non sono così remoti, come ci potrebbe sembrare a prima vista. Chi di noi non conosce persone che, pur assetate di Dio, ritengono che la Chiesa non abbia nulla da dire di significativo alla loro ricerca, e si rivolgono ad altri mondi religiosi più “alla moda” o a percorsi meditativi più esoterici… Ma spesso il pericolo è quello di finire in mano a proposte sostanzialmente alienanti, che in nome di un po’ di relax interiore in mezzo alle tensioni della vita, sganciano dalla realtà, dal volto degli altri, dall’impegno nel quotidiano (EG 88-90) e pur trovandosi ‘”in posizione dominante nel mercato religioso attuale” non permettono “di incontrare Dio” (GE 111).

Il cammino della santità cristiana contiene degli antidoti rispetto a queste false spiritualità, e Papa Francesco ne sottolinea due nei numeri 140-157 di GE: la santificazione del discepolo di Gesù non si realizza mai individualmente ma sempre dentro un cammino di comunità; e si alimenta e cresce attraverso la preghiera costante, che ci pone cioè permanentemente davanti allo sguardo di Dio. Grazie a queste due dimensioni della santità cristiana, i discepoli vivono con intensità il dialogo con il Signore e comunicano agli altri quel dono della fede che nella comunità cristiana hanno ricevuto:

sono quindi “oranti” e “comunicanti”, come dice il titolo di questa serata.

Papa Francesco scrive che “la santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due” (GE 141), e questo passaggio già ci rimanda a tanti brani evangelici in cui il Signore Gesù si rivela non al singolo, ma alla sua piccola comunità, formata da almeno due persone: pensiamo alla Trasfigurazione, davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni, o pensiamo ai due discepoli di Emmaus; “dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. L’esperienza dell’incontro con il Risorto può anche avvenire in un momento in cui il discepolo è da solo (pensiamo a Maria di Magdala nel giardino del sepolcro), ma non può mai essere un’esperienza realmente solitaria: ha bisogno di essere raccontata agli altri, di essere confermata, di essere compresa pienamente grazie alla condivisione con i fratelli. Pensiamo alle parole che i due di Emmaus si scambiano dopo l’apparizione del Risorto: “non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre ci spiegava le Scritture?”. Condividono ciò che hanno sperimentato nel cuore durante il cammino, quello che hanno visto mentre il viandante loro ospite spezzava il pane, e nonostante sia notte fonda, sentono immediatamente il bisogno di correre a Gerusalemme per comunicare la notizia agli Undici e agli altri: “Davvero il Signore è Risorto ed è apparso a Simone!” Quando siamo da soli “facilmente perdiamo il senso della realtà e la chiarezza interiore” (GE 140), spesso per colpa delle mille beghe quotidiane si indebolisce il nostro riferimento fondamentale a Gesù e all’evento di grazia del nostro incontro con Lui; da questa dispersione ci salva proprio la dimensione comunitaria della vita cristiana, nella quale la fede di ciascuno nasce, cresce e si sostiene grazie alla fede di tutti.

Per questo la comunità dei discepoli è chiamata a vivere e custodire quello “spazio teologale in cui si può sperimentare la mistica presenza del Signore Risorto”: è una frase di san Giovanni Paolo I l (Es. AP. Postsin. Vita Consecrata). Se le nostre parrocchie o le nostre comunità si appiattiscono ad esempio sui compiti organizzativi e abbassano il livello della vita liturgica, caritativa, spirituale, ecco che tutto si impoverisce, si snatura. Un modo molto efficace per evitare questa deriva è mantenere sempre vivo uno stile comunitario in cui si narra, si testimonia, si condivide l’esperienza della fede. Le vite dei santi sono piene di tanti esempi, Papa Francesco ne ricorda alcuni: dai beati monaci trappisti di Tibhirine, che condividendo il modo in cui ognuno di loro stava affrontando nella fede il pericolo imminente, si sono preparati insieme al martirio (cfr il bellissimo film, Uomini di Dio); al dialogo riportato nell’Esortazione tra S.Agostino e la madre S.Monica, nel giorno della morte di lei; a quello tra S.Benedetto e la sorella S.Scolastica, a cui vi accenno brevemente. È ricordato da San Gregorio Magno, nei Dialoghi. Scolastica visita annualmente Benedetto, raggiungendo la foresteria esterna del monastero; in quell’occasione i due parlano con intensità e fervore di quello che Dio rivela e dona a ciascuno. Il dialogo è talmente bello e fecondo, che Scolastica vorrebbe continuarlo per tutta la notte. Benedetto protesta che egli è tenuto a ritornare al suo monastero; allora Scolastica incrocia le dita sul tavolo, reclina la testa e prega Dio di esaudire il suo desiderio: improvvisamente una pioggia torrenziale, ottenuta dalla preghiera di Scolastica e che dura per tutta la notte, impedisce a Benedetto il ritorno nella sua cella. Questo permette ai due fratelli di continuare il loro scambio spirituale. Gregorio si chiede come mai Dio ascoltò la preghiera di Scolastica e non tenne conto dell’impedimento di Benedetto, e trova così la risposta:

E non c’è da meravigliarsi se in quell’occasione poté di più la sorella, che desiderava trattenersi più a lungo con lui. Secondo la parola di Giovanni, infatti, Dio è amore; per giustissimo giudizio, dunque, poté di più colei che amò di più (Dialoghi, secondo libro, c.33)

È una bella immagine. La volontà di Dio è che noi rimaniamo radicati in Lui, nel suo amore, grazie al racconto reciproco delle meraviglie operate dalla sua salvezza. Scolastica, nel suo amore per il Signore, ha intuito questo desiderio di Dio, che viene prima di ogni altra cosa, prima di ogni regola. Chi custodisce la memoria dell’amore di Dio, è custodito da questo Amore e non deve temere nulla.

Non c’è da sorprendersi, in questa prospettiva, se le storie di santità possono allora diventare storie comunitarie di santità: famiglie intere (Aquila e Priscilla, Mario e Marta, Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi), piccole o grandi comunità (i sette servi di Maria), arrivano insieme a vivere eroicamente il Vangelo o a donare la vita nel martirio. La linfa nuova dello Spirito circola a tal punto tra i membri del gruppo da compiere insieme, quasi con una “naturale scioltezza”, scelte e azioni altissime

Questi esempi straordinari non devono però farci dimenticare che la santità comunitaria vive e si alimenta di piccoli gesti quotidiani, “piccoli dettagli dell’amore” che non sono affatto banali, perché in essi si esprime e vive il cammino di santificazione personale. Scrive Papa Francesco: “La comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre” (GE 145). Pensiamo alla vita di famiglia: può diventare una nuova Nazareth, la cui bellezza consiste nel fatto che le relazioni quotidiane diventano uno specchio della vita stessa di Dio-Trinità. Nei movimenti semplici “dell’amore feriale” che le persone si scambiano nelle Nazareth di oggi (andare incontro all’altro, ritrarsi o svuotarsi per far spazio all’altro, godere del piacere dello stare insieme, ecc.), spesso senza saperlo, si va a sostanziare sempre di più, giorno dopo giorno, una modificazione e trasformazione profonda del nostro essere, per cui diventiamo “ad immagine e somiglianza” della Trinità! Davvero nella concretezza affatto banale e scontata della vita delle nostre famiglie e comunità si realizza la nostra santificazione!

L’altro antidoto, dice il Papa, contro una certa spiritualità immanentistica che perde il riferimento trascendente a Dio, è la preghiera. ln effetti, quando il nostro cammino spirituale si nutre della relazione profonda e quotidiana con il Tu di Dio, del dialogo continuo con Lui, mantiene una dimensione “sana”, incarnata; nel caso contrario, vorrebbe magari alimentarsi della comunione con “energie armonizzanti” (EG 90), o con il “respiro della madre terra”, ma in realtà spesso la direzione che finisce per prendere è un marcato individualismo, un’accentuazione della volontà onnipotente dell’io, confusa con la volontà divina. La relazione con il Tu di Dio e quello dei fratelli ci ricorda che non siamo tutto, ci limita e ci riporta alla misura di noi stessi. La preghiera ci custodisce in questa relazione con Dio, da cui scaturisce per noi energia, esistenza e vita, in una comunione profonda che lascia però intatta la distinzione tra Creatore e creatura.

Nella preghiera (il Papa ne elenca molte forme nei nn. 147-157 di GE) noi ci mettiamo davanti allo sguardo del Padre o al Volto del Signore Risorto, per ricevere un cuore nuovo e perché “la nostra umanità, frammentata per le fatiche della vita o segnata dal peccato” possa essere da Lui ricomposta in unità (GE 151). Ascoltiamo queste parole di Papa Francesco, in cui il linguaggio diventa più confidenziale e si rivolge singolarmente a ciascuno di noi:

“Dunque mi permetto di chiederti: ci sono momenti in cui ti poni alla sua presenza in silenzio, rimani con Lui senza fretta, e ti lasci guardare da Lui? Lasci che il suo fuoco infiammi il tuo cuore? Se non permetti che Lui alimenti in esso il calore dell’amore e della tenerezza, non avrai fuoco, e così come potrai infiammare il cuore degli altri con la tua testimonianza e le tue parole? E se davanti al volto di Cristo ancora non riesci a lasciarti guarire e trasformare, allora penetra nelle viscere del Signore, entra nelle sue piaghe, perché lì ha sede la misericordia divina” (GE 151).

Entrare nelle sue piaghe significa penetrare, attraverso la ferita del costato, nel cuore misericordioso di Dio. ln questo tempo di Quaresima l’ascolto del Vangelo della Passione di Gesù, anche attraverso la pratica della Via Crucis, ci conducono alla contemplazione, attraverso il Volto Santo del Crocifisso, dei segreti di Dio Trinità, ci mettono in relazione e ci fanno partecipare alla potenza rigeneratrice del suo Amore.

Nello stesso tempo, però, niente del nostro cammino spirituale ci sgancia dagli uomini e dalla loro storia. Li portiamo tutti dentro la relazione di preghiera con Dio, perché non c’è dono divino che ci sia fatto solo per noi stessi, ma ogni regalo dall’Alto chiede per sua natura di essere condiviso, donato ai fratelli. Il fuoco dello Spirito che il Volto di Cristo ci dona, per la potenza divina che contiene, spinge dentro di noi perché vuole essere comunicato a tutti nella gioia. L’esperienza stessa ci insegna che in fondo non “comunica davvero” se non l’uomo che lo Spirito ha trasfigurato. I l suo volto umano, già da solo, prima delle parole, esprime e comunica la luce che viene da Dio. Lo sapeva bene il beato Charles de Foucauld che, non potendo evangelizzare i Tuareg con l’annuncio esplicito del Vangelo, decise di testimoniare con la sua vita la bontà divina. Egli voleva che i suoi fratelli Tuareg, vedendolo, dicessero: “Costui è un uomo buono; come deve essere buono il Dio che egli serve!”

Per questo il Papa ricorda e raccomanda, tra le altre forma di preghiera, anche la supplica e l’intercessione per i fratelli. ln questa modalità semplice si esprime e si realizza il duplice comandamento dell’amore di Dio, (esprimiamo la nostra fiducia in Lui) e dell’amore al prossimo (GE 154). Quando ci mettiamo davanti a Dio e diventiamo voce delle sofferenze e delle angosce dei nostri fratelli, “la nostra intercessione è come lievito nel seno della Trinità. E un addentrarci nel Padre e scoprire nuove dimensioni che illuminano le situazioni concrete e le cambiano. Possiamo dire che il cuore di Dio si commuove per l’intercessione, ma in realtà Egli sempre ci anticipa e quello che possiamo fare con la nostra intercessione è che la sua potenza, il suo amore e la sua lealtà si manifestino con maggiore chiarezza nel popolo”, scrive il Papa in EG 283. Ricordiamoci di Santa Scolastica: l’amore del Signore ascoltò lei perché il suo cuore aveva colto con più chiarezza quale fosse realmente la volontà di Dio. Non stanchiamoci quindi di intercedere per i nostri fratelli. Ricordiamo sempre l’abitudine del Papa di chiederci di pregare per lui. La preghiera della Chiesa così lo sostiene, ottiene da Dio ciò che è secondo la Sua volontà, mostra con più chiarezza al mondo che l’Amore del Padre sconfigge ogni timore.

Buona Quaresima

Fonte: Diocesi di Roma