Nel Vangelo di domenica scorsa, Gesù indicava ai suoi compaesani che la fede non è un privilegio per quelli di dentro, ma una responsabilità verso quelli di fuori, soprattutto se bisognosi. Il Vangelo di questo domenica, inizia con Ge
«Beati voi, poveri… Ma guai a voi, ricchi»: davanti alla folla di suoi discepoli e di gente comune, Gesù offre una netta distinzione fra le situazioni umane, lette alla luce della fede. Innanzitutto è necessario precisare che, con il «beati», Gesù non predica la felicità del povero in quanto povero, ma annuncia che in Lui stesso, che vive le situazioni di povertà e di bisogno, queste realtà diventano esperienza del Regno e apertura ad esso. A loro volta, i «guai», tratti dal linguaggio profetico, non sono una condanna o una maledizione, ma l’avvertimento di un giudizio, che può essere ancora evitato con la conversione.
Il povero confida in Dio, perché non può appoggiarsi su se stesso. Invece il ricco confida in sé e in ciò che possiede. E Geremia, nella prima Lettura, dice che chi pone il suo sostegno «nella carne» avrà una vita arida e improduttiva. Mentre colui che pone la sua fiducia nel Signore vedrà rigoglio e fecondità. Gesù non fa dell’ideologia: «Tutti i poveri sono buoni e tutti i ricchi sono cattivi». Però non fa nemmeno una generica raccomandazione del tipo: «Bisogna porre la propria fiducia in Dio e non essere autosufficienti». Egli constata semplicemente la dinamica presente nella società e ne trae l’insegnamento. Se il segreto per avere una vita veramente feconda è quello di vivere una relazione di fiducia con il Signore, è sotto lo sguardo di tutti che chi si trova nel bisogno e nella difficoltà è spontaneamente attratto dalla Grazia, unico e vero appiglio per la sua vita. Chi invece possiede mezzi e capacità fa più fatica a ritrovare in sé il desiderio di Dio.
Ma, in questo modo, si rovesciano totalmente le categorie di valore della società; e i cristiani devono stare molto attenti a non asservirsi alle logiche mondane: «Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate a colui che è vestito lussuosamente e gli dite: “Tu siediti comodamente”, e al povero dite: “Tu mettiti là in piedi”, non fate forse discriminazione e non siete giudici dai giudizi perversi?» (Gc 2,2-4). Rifiutare l’accoglienza dei poveri significa porsi sfavorevolmente nei confronti di coloro che sono i favoriti del Signore. Per un cristiano non si tratta di una concezione semplicemente umanitaria, o addirittura politica – come, anche dentro la Chiesa, certuni accusano -, ma di un riconoscimento o meno della Grazia all’opera, e che ti chiede di essere tu la mano e il volto di Dio per il povero, nei confronti del quale Dio è, in modo particolare, veramente Dio.
Ai poveri Gesù non predica pazienza ne prospetta una rivalsa: promette, invece, un totale ribaltamento: «Vostro è il regno di Dio». Gesù dice ai poveri che loro sono già accolti e già fanno realmente parte del suo Regno: hanno già riconosciuta di diritto la loro cittadinanza.
Il regno di Dio non è un luogo sulle nuvole – più appartenente alle favole che alla realtà – né una condizione spirituale, che lasci fuori la carne umana. Il Regno è il progetto umanizzante del Padre, che possiede questi tratti principali: una vita di fratelli e sorelle, animata da quella cura per l’altro che è l’atteggiamento del Padre verso tutti; un mondo dove si ricercano la giustizia e la dignità di tutti gli uomini, incominciando dagli ultimi; dove si ha l’attenzione verso la vita liberando le persone e la società intera da ogni schiavitù disumanizzante; dove la religione si pone al servizio delle persone; dove si vive accogliendo il perdono di Dio e rendendo grazie per il suo amore insondabile di Padre.
Gesù prospetta anche la situazione opposta: «Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione». Non è una maledizione, ma un avviso. Aver ricevuto la propria consolazione è un’espressione “commerciale”: significa che il dovuto è stato completamente pagato al ricco su questa terra. Gesù lo ribadirà nella parabola del ricco egoista e del povero Lazzaro: «Ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i mali» (Lc 16,25). Il ricco è condannato non per quello che aveva, ma per non essersi interessato del povero Lazzaro gettato alla sua porta, al quale sarebbero bastati anche i rifiuti della tavola del ricco, ma anche quelli gli sono stati negati. Chi non ha avuto in briciolo di misericordia, alla fine della sua vita non può aspettarsi un salario di misericordia dal trono divino sul quale siede il povero Lazzaro fra le braccia del Padre.
Tutti facciamo parte di una società che sembra non conoscere più la misericordia, il prendersi cura del debole. Il Vangelo di questa domenica è un invito e un monito ad essere poveri con i poveri: cioè ad essere gratuiti e senza pretese nei loro confronti. Non rassegniamoci e non chiudiamoci rispetto a un mondo spietato e cattivo. Il mondo inizia a cambiare da noi e dalla nostra apertura ai poveri, per trasformarsi, con la Grazia, nel regno di Dio.
A cura di Alberto Vianello – Monastero di Marango