PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA DEL 8 FEBBRAIO 2019
NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE
Quattro personaggi in cerca dell’Autore
Quattro personaggi in cerca dell’Autore della vita. Il martirio di Giovanni, con l’immagine cruda e desolante dei discepoli che vanno a prendere da soli il suo corpo in cella per dargli una sepoltura, ha suggerito al Papa — nella messa celebrata venerdì 8 febbraio a santa Marta — un appello a saper donare la propria esistenza agli altri. E a non cadere in quella corruzione, tra odio e vanità, di cui satana aveva avvolto il re Erode, Erodìade e sua figlia.
«I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro». È con queste parole — tratte dal passo del vangelo di Marco (6, 14-29) — che, ha fatto notare Francesco all’inizio della sua omelia, «finì la storia di quest’uomo al quale Gesù aveva dato la qualifica di “più grande uomo nato da donna”». Dunque, «il più grande finì così».
«Ma Giovanni — ha insistito il Pontefice — sapeva questo, sapeva che doveva annientarsi, non sapeva come sarebbe morto, ma sapeva che doveva annientarsi». E «dall’inizio lo aveva detto, parlando di Gesù: “Lui deve crescere, io invece diminuire”». Difatti, ha spiegato, Giovanni «si è diminuito fino alla morte. È stato il precursore della venuta di Gesù, l’annunciatore: lo ha fatto vedere ai discepoli, ai primi discepoli». E «poi la sua luce si era spenta poco a poco, poco a poco, fino all’oscuro di quella cella, nel carcere, dove, solo, è stato decapitato».
«Questa è la storia dell’ “uomo più grande nato da donna”» ha rilanciato il Papa, facendo presente che «la vita dei martiri non è facile da raccontare: il martirio è un servizio, è un mistero, è un dono della vita molto speciale e molto grande». E «alla fine le cose si svolgono violentemente, perché in mezzo ci sono atteggiamenti umani che portano a togliere la vita di un cristiano, di una persona onesta, e a farlo martire».
In particolare Francesco ha indicato «alcuni atteggiamenti in questo brano del Vangelo» proposto dalla liturgia. E «il primo è l’atteggiamento del re: si dice che credeva che Giovanni fosse un profeta. Credeva, lo ascoltava volentieri; a un certo punto lo proteggeva, ma lo aveva messo in carcere: metà e metà». Era «indeciso, perché Giovanni rimproverava al re il peccato dell’adulterio e lui rimaneva molto perplesso quando lo sentiva: sentiva la voce di Dio che gli diceva “cambia vita”, ma non riusciva a farlo». Insomma, ha affermato il Pontefice, «il re era corrotto e dove c’è corruzione è molto difficile uscire». Proprio perché «corrotto», il re «cercava di fare equilibri diplomatici, diciamo così, fra la propria vita — non solo quella adultera, ma anche la vita piena di tante ingiustizie che portava avanti questo re — e la santità del profeta che aveva avanti». E «questa era la perplessità, e mai arrivava a sciogliere quel nodo». Dunque, «il primo protagonista di questo finale è un corrotto».
«Il secondo protagonista è la moglie del fratello del re, Erodìade» ha proseguito il Papa. Soltanto di lei «il Vangelo dice che “odiava” Giovanni» e lo «odiava perché Giovanni parlava chiaro». Francesco ha tenuto a rimarcare bene la parola «odiava» perché «noi sappiamo che l’odio è capace di tutto, è una forza grande. L’odio è il respiro di satana: ricordiamoci che lui non sa amare, satana non sa amare, non può amare. Il suo “amore” è l’odio». E «questa donna aveva lo spirito satanico dell’odio» e «l’odio distrugge».
«Il terzo personaggio — ha detto ancora il Pontefice — è la ragazza, la figlia di Erodiade: era brava nel ballare, al punto che piacque tanto ai commensali, al re». E «il re, in quell’entusiasmo — un po’ di entusiasmo, troppo vino e tanta gente lì — a questa ragazza vanitosa fece una promessa: “Ti darò tutto”». Il Papa ha fatto notare che «usa le stesse parole che ha usato satana per tentare Gesù: “Se tu mi adori ti darò tutto, tutto il regno, tutto”». E neppure «sapeva che usava le stesse parole». Perchè «dietro questi personaggi c’è satana, seminatore di odio nella donna, seminatore di vanità nella ragazza, seminatore di corruzione nel re».
In questo contesto l’«uomo più grande nato da donna” finì solo, in una cella scura del carcere, per il capriccio di una ballerina vanitosa, l’odio di una donna diabolica e la corruzione di un re indeciso». Giovanni è «un martire che lasciò che la sua vita venisse meno, meno, meno, per dare il posto al Messia». E «muore lì, nell’anonimato, come tanti martiri nostri». Tanto che «soltanto il vangelo ci dice che i discepoli sono andati a prendere il cadavere per dargli sepoltura».
«Ognuno di noi può pensare: questa testimonianza è una grande testimonianza di un grande uomo, di un grande santo» ha affermato il Pontefice. «La vita — ha fatto notare — ha valore solo nel donarla, nel donarla nell’amore, nella verità, nel donarla agli altri, nella vita quotidiana, nella famiglia». Ma «sempre donarla». E «se qualcuno prende la vita per sé, per custodirla, come il re nella sua corruzione o la signora con l’odio, o la fanciulla, la ragazza, con la propria vanità — un po’ adolescente, incosciente — la vita muore, la vita finisce appassita, non serve». Al contrario, Giovanni «donò la sua vita: “Io invece devo diminuire perché Lui sia ascoltato, sia visto, perché Lui si manifesti, il Signore”».
In conclusione Francesco ha suggerito «di ricordare quattro personaggi: il re corrotto, la signora che soltanto sapeva odiare, la ragazza vanitosa che non ha coscienza di nulla e il profeta decapitato solo in cella». Con l’auspicio che «ognuno apra il cuore perché il Signore gli parli su questo».
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