Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 7 Febbraio 2019

Una manciata di uomini gettati sul terreno del mondo. E il Cristo ne è il Seminatore, che li chiama e li manda. Ma ciò che il testo evangelico pone in risalto in questa chiamata e in questo invio non è innanzitutto una precisa indicazione dei contenuti della predicazione e dell’annuncio: ciò che qualifica prioritariamente la missione dei Dodici non è dell’ordine delle cose da dire. Il semplice “esserci” è il principio di ogni evangelizzazione: “esserci” con un certo “stile”.

A due a due. La chiesa è una compagnia in cammino. Il Signore non manda i suoi ad uno ad uno, ma a due a due: solo con un bastone in mano, per sorreggere il corpo nelle fatiche del viaggio, e con un compagno al fianco, per sostenere il cuore lungo la strada.

La proclamazione del vangelo del Regno non si dà quindi come iniziativa privata o avventura individualistica, ma si deve inscrivere in un tessuto comunitario ed ecclesiale non autoreferenziale.

Il pellegrinaggio dei credenti sulle strade del mondo si caratterizza poi per il suo bagaglio leggero, o meglio per la sua assenza: “Né pane, né sacca, né denaro nella cintura; non due tuniche”. Più che di sobrietà, si tratta di una vera e propria povertà di mezzi, che si innesta su un forte senso di urgenza e di radicalità necessarie per essere testimoni del vangelo.

Gli apostoli sono inviati quodammodo nudos, scriveva Girolamo, “pressoché nudi”, rivestiti di quella nudità che è la nudità del Cristo che “depose le vesti” (Gv 13,4), inginocchiandosi ai piedi dei suoi fratelli, e che depose la sua vita nella spoliazione ultima della croce.

Così, nella vita della chiesa la chiamata e l’invio si danno sempre nello spazio della relazione. Innanzitutto, nello spazio di quella relazione costitutiva con il Signore, cioè con colui che è all’origine della chiamata e dell’invio.

In secondo luogo, vi è la relazione che lega in un vincolo di fraternità coloro che sono inviati: nel loro andare “a due a due” si disegna, per così dire, un campo magnetico della compagnia, dell’affetto ecclesiale, della comunione e della carità.

Vi è, poi, la relazione con gli altri, con ogni altro, con i destinatari dell’annuncio, con coloro che si mostreranno uditori della Parola, capaci di un’accoglienza che fiorisce nell’ospitalità, che apre le porte dei cuori e delle case, per accogliervi quanti vengono nel nome del Signore. Però si tratta anche di una relazione che non cede alle illusioni di facili successi, ma che conosce e accoglie la concreta possibilità del rifiuto.

E anche i segni della cura e della prossimità che la chiesa pone – quei segni che il vangelo descrive nelle azioni terapeutiche di ungere e guarire, volte a far retrocedere il male – non sono manifestazioni di una potenza propria, ma trasparenza sacramentale dell’operare di Dio, di quel Dio che, nella sua condiscendenza, si fa vicino alle ferite dell’uomo, attraverso i gesti e le parole della chiesa.

Che il Dio delle misericordie, con il dono del suo Spirito, continui ad accompagnare la sua chiesa sulle tracce di Cristo, perché essa sappia sempre vivere di questa nudità relazionale e di questa nuda relazionalità, ungendo e guarendo, soffrendo, sperando e amando.

fratel Emanuele

Fonte

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Mc 6, 7-13
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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