Leggiamo oggi la seconda parte dei fatti accaduti alla sinagoga di Nazareth. C’era una profezia di Isaia che Gesù ha letto nella sinagoga e che oggi si sarebbe avverata.
Lectio
In quel tempo, 21Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Il versetto 21 lo abbiamo letto anche domenica scorsa, è il finale della prima parte. La profezia di Isaia, l’anno di grazia del Signore si compie. La Parola non è soltanto parola scritta, ma viene ascoltata, entra nelle vite dei suoi uditori, e diventa realtà.
22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».
Vediamo dunque la reazione degli abitanti di Nazareth. A diversità del brano parallelo di Marco (Mc 6,2) non si scandalizzano all’insegnamento di Gesù. Anzi essi accolgono positivamente la sua parola: tutti gli rendono testimonianza e quindi riconoscono le “parole di grazia”, cioè l’insegnamento colmo di quel favore divino e di quella sapienza che già dimoravano nel fanciullo Gesù e che ora si stanno manifestando nella parola che “esce dalla sua bocca”.
Il termine stupore in greco può significare ammirazione ma anche sgomento, ostilità. Qui si vede in seconda battuta che lo stupore è la reazione di chi non afferra il significato di un evento soprannaturale, o non ne coglie tutta la profondità. I nazareni non afferrano il nesso tra le “parole di grazia” e l’origine di Gesù conosciuta da tutti. Quindi dicono: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”.
23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”».
E’ Gesù stesso che provoca la reazione negativa degli ascoltatori. Comincia così a realizzare la profezia di Simeone: è segno di contestazione, che farà venire a galla i pensieri di molti cuori (Lc 2,34s). Egli cita un proverbio molto conosciuto ai suoi tempi. Il medico prima di curare gli altri dovrebbe guarire se stesso, quindi anche Gesù dovrebbe operare guarigioni prima nel suo paese, e poi negli altri. In verità Luca non ci ha ancora detto niente dell’attività taumaturgica di Gesù. Non si tratta di una svista, ma della presentazione globale che Luca ci sta facendo del mistero di Gesù. Questo brano si distingue dal suo parallelo di Marco. Là Gesù non ha potuto fare miracoli a causa dell’incredulità dei suoi concittadini. Qui sono i nazareni che vogliono i miracoli e lui non li compie. Gesù reagisce contro la pretesa dei nazareni di voler possedere per loro l’attività di Cristo, di farne un proprio monopolio. Gesù invece deve andare a tutte le nazioni.
Inoltre Gesù vuol fare capire ai suoi concittadini che i gesti di guarigione non possono essere separati dalla parola di salvezza. La liberazione dalla prigionia, dalla povertà, dalla malattia è provocata dalla parola e non solo dal potere di Gesù.
24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.
Gesù aggiunge un altro proverbio. Lo introduce in modo solenne Amen amen. In questo modo afferma un aspetto del piano storico- salvifico di Dio. Nessun profeta è propizio alla sua patria. Luca riprende il termine dektos, già utilizzato al v. 19 (un anno propizio del Signore). Quindi si tratta non tanto della sorte di persecuzione e di morte dei profeti, quanto della missione che essi compiono: non è destinata alla propria patria, ma ha valore universale.
25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne.
Di nuovo introduce il suo detto con in verità, questa volta tradotto in greco, mentre precedentemente vi era Amen amen. Ciò rende comunque solenne la sua affermazione. Egli ricorda dunque due episodi della storia dei profeti, in cui Dio è intervenuto a favore di due stranieri. Il primo episodio è quello di Elia e della vedova di Zarepta (1Re 17,7-16). In tempo di siccità e carestia Elia le chiese di cucinargli una focaccia e in cambio le concesse che l’olio nell’orcio durasse per molto tempo.
27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
Luca ama gli esempi doppi, al maschile e al femminile. Naaman il Siro era un comandante affetto da lebbra. Si rivolse ad Eliseo e fu purificato immergendosi nel fiume Giordano (2Re 5,1-27). Ricordando questi due episodi sembra che Gesù voglia dire che i profeti Elia ed Eliseo si fossero rivolti solo ai pagani. Non è proprio vero, anzi questi due esempi sono proprio l’eccezione all’interno dell’attività dei due profeti. Nemmeno Gesù si rivolse molto ai pagani. L’inserimento di queste parole da parte di Luca sono da intendere dunque come il mandato di Gesù ad operare in tutta la Palestina e non solo per i suoi concittadini.
28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno.
La reazione dei presenti non è sufficientemente motivata: il loro furore nei confronti delle parole di Gesù si spiega soltanto se lo si vede come simbolo della reazione dei Giudei nei confronti della predicazione globale di Cristo, che lo porterà alla morte, e ancora del contrasto tra i Giudei e la Chiesa che si apre al mondo non-giudaico.
29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.
Questo è l’inizio di una scena di linciaggio, simile per certi aspetti all’esecuzione di Stefano (At 6,54-60) forse accaduta a qualche cristiano al tempo di Luca. Anche qui è inverosimile sia accaduta e le indicazioni geografiche sono piuttosto imprecise. Nazaret non è posta su un monte, bensì sul fianco di una valle, a nord-est della pianura di Iezreel. L’attenzione dell’evangelista è quella di ricordare al lettore il destino di Gesù Cristo, gettato fuori della città per essere crocifisso.
30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Si può spiegare questo comportamento solo con un miracolo. Ma se manteniamo questa descrizione nella prospettiva lucana di cui abbiamo detto nel versetto precedente comprendiamo che non era quello il momento di essere ucciso. Come anche Giovanni ripete più volte “non era ancora giunta la sua ora” (es. Gv 7,30). Egli riprende il cammino, simbolico e reale verso Gerusalemme.
Meditatio
- Ho mai pensato a Gesù come a un mio bene personale, da non condividere con nessuno?
- Mi sono mai rivolto al Signore solo nel momento del bisogno, della malattia, del dolore?
- Mi sono mai “sdegnato” contro il Signore perché non mi ha dato ciò che gli avevo chiesto?
Preghiamo
(orazione colletta della IV domenica del Tempo Ordinario)
O Dio, che nel profeta accolto dai pagani e rifiutato in patria manifesti il dramma dell’umanità che accetta o respinge la tua salvezza, fa’ che nella tua Chiesa non venga meno il coraggio dell’annunzio missionario del vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
A cura delle Monache dell’Ordine dei Predicatori (domenicane) del Monastero Matris Domini