Il commento alle letture del 1 Febbraio 2019 a cura di Mons. Costantino Di Bruno, Sacerdote Diocesano dell’Arcidiocesi di Catanzaro–Squillace (CZ).
Come un uomo che getta il seme sul terreno
Eb 10,32-39; Sal 36; Mc 4, 26-34
Impazienza e fretta sono le due grandi tentazioni del missionario di Cristo Signore. Contro queste potenti tentazioni San Giacomo esorta i cristiani ad imitare la pazienza del contadino, che sa attendere il tempo di raccogliere i preziosi frutti dai suoi alberi.
Siate dunque costanti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore. Ecco, noi chiamiamo beati quelli che sono stati pazienti. Avete udito parlare della pazienza di Giobbe e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché il Signore è ricco di misericordia e di compassione (Gc 5,7-11).
San Paolo vede la sua vita come una corsa dietro Cristo. Cristo è sempre davanti a Lui. È irraggiungibile. Fino alla morte si deve avere la costanza e la pazienza di correre. La salvezza è fatta di tempo, spesso di lungo, anzi lunghissimo tempo. Per questo Gesù dice che solo quanti perseverano sino alla fine si salveranno.
Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. Tutti noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo. Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose (Fil 3,7-21).
Gli inizi con Dio sono sempre invisibili, come un seme gettato a terra. Il tempo trasformerà il seme in un grande albero. Il tempo farà un chicco di grano spiga matura.
Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
L’insegnamento di Gesù è divino. Lui chiede ad ogni suo discepolo la somma attenzione perché semini solo il buon grano, la sua buona Parola, così come Lui ha seminato nei loro cuori la Buona Parola del Padre. Il seme è portatore di una vita invisibile. Poiché è vero seme, vera vita, crescerà, si svilupperà, diverrà grande albero.
Madre di Dio, Angeli, Santi, fateci perseveranti seminatori della Buona Parola di Gesù.