L’Anno Paolino indetto da papa Benedetto XVI ha provocato la Chiesa, e non solo, a riflettere sull’opera, l’apostolato, il messaggio e l’eredità del grande “Apostolo delle genti”.
Paolo di Tarso ha inaugurato un cristianesimo aperto oltre i confini della cultura giudaica e ha sperimentato l’inculturazione come metodo dell’evangelizzazione. Ma proprio dietro l’opera apostolica di questo grande uomo e apostolo, la chiesa e i credenti hanno ancora molto da imparare. Innanzitutto l’audacia della fede che si manifesta come il rischio di percorrere strade diverse, percorsi nuovi, scelte cariche di rischio ma fruttuose per quella Buona Novella che deve essere portata “sino ai confini della terra”.
E quando parliamo di “confini della terra” non ci riferiamo esclusivamente ai confini geografici ma anche e soprattutto a quelle terre di confine della nostra cultura, del nostro quotidiano, della nostra realtà. Molto spesso i credenti rischiano di vivere il cristianesimo nei luoghi protetti del consenso e della tradizione, senza osare più il dialogo, il confronto e l’inculturazione del messaggio di Gesù Cristo lì dove apparentemente non c’è o è stato messo fuori. Pensiamo alla politica, ai temi sensibili della vita e della dignità della persona, pensiamo a quei contesti pubblici dove si liquida l’esperienza religiosa ad una esperienza del soggetto che non deve avere niente a che fare con la vita pubblica.
È vero che a volte anche il messaggio evangelico può diventare un messaggio ideologico ma questo rischio non deve scoraggiare tutti i credenti, soprattutto i laici, ad offrire con chiarezza le ragioni per cui la proposta cristiana è buona non solo per coloro che hanno e vivono la fede ma per chiunque vuole vivere pienamente e intensamente la propria umanità. Proprio perché il messaggio di Gesù Cristo è per la persona in quanto tale e non semplicemente per coloro che si identificano in un credo e in una istituzione. “Ho altre pecore che non sono di quest’ovile, anch’esse io debbo condurre”, queste parole di Cristo ci ricordano esattamente quello che abbiamo appena sottolineato e cioè che lo sfondo morale, umano e di significato di cui il vangelo si fa portatore e la Chiesa annunciatrice, parla al cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna di “buona volontà”. Ma perché essa parli a tutti deve assumere un linguaggio e un metodo adatto a tutti. Deve avere il coraggio di lasciare la contrapposizione e la logica sterile del dibattito retorico per riprendere le faticose vie del dialogo e del confronto, dello studio e delle ragioni vere e fondanti della verità. Paolo ci insegna esattamente tutto questo. Ci insegna come rimanere ancorati radicalmente al nocciolo del cristianesimo mentre ci esponiamo a quei luoghi e contesti a volte radicalmente (ma solo apparentemente) lontani da Gesù Cristo. Che cos’è vita? Qual è il significato della morte? Ha un senso la sofferenza? Cos’è la laicità? Quale ragione può stare accanto alla fede?
Il cristianesimo è la risposta a queste domande profonde e drammatiche dell’uomo. Ma non ha senso una risposta se innanzitutto manca la domanda. Ecco il ruolo dei credenti: essi, quando proclamano il cristianesimo come ‘risposta’ senza tener da conto se esiste una ‘domanda’ vera, rischiano di far diventare il messaggio di Gesù un manifesto ideologico. Il credente, la Chiesa sono doppiamente a servizio non solo di quel Gesù che si pone come risposta agli interrogativi di senso dell’uomo, ma anche di quel Gesù che pone innanzitutto domande serie a l’uomo. Tutta la Bibbia è piena di domande serie da parte di Dio a l’uomo, a cominciare dalla Genesi: “Adamo dove sei?”; sino ad arrivare a Gesù Risorto che da «forestiero» domanda ai discepoli in cammino verso Emmaus: “di cosa state discorrendo?”.
Le sue non sono domande retoriche, sono quel gesto educativo che Egli usa per rendere consapevole l’uomo di ciò che gli sta innanzi. Le domande pongono l’uomo in atteggiamento di ricerca, di apertura, di accoglienza. È solo in questo atteggiamento che la Verità può essere trovata, accolta, ricevuta. Il problema dell’uomo contemporaneo sta proprio nella mancanza di domande o per lo meno di domande che aspettino davvero una risposta. La nostra cultura, molto spesso, domanda per demolire, per crogiolarsi in quel depresso relativismo delle opinioni che è assenza di Verità. E tutto ciò viene fatto in nome della libertà. E a partire da questo dato, allora, che il cristianesimo deve riproporsi con l’audacia di Paolo, suscitando domande giuste prima ancora di dare risposte giuste.
don Luigi Maria Epicoco