Commento al Vangelo del 20 gennaio 2019 – don Tonino Lasconi

La fede: “vino” che dà allegria al cuore e gioia all’anima

Meno lamentele per coloro che non credono e più gioia in quelli che credono.
Quando il profeta Isaia rivolgeva il suo incoraggiamento a Gerusalemme: «Nessuno ti chiamerà più Abbandonata… ma sarai chiamata Mia Gioia», la situazione della città e del territorio circostante era molto difficile per il degrado del lungo abbandono dell’esilio e per il contrasto con le popolazioni di culture e fedi diverse che nel frattempo vi si erano stabilite. La promessa «come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te», non avrà trovato generale e facile accoglienza, ma un “piccolo resto”, composto da coloro che non rimpiangevano la Gerusalemme di una volta, né tanto meno l’esilio a Babilonia, ci credette, e si diede da fare per realizzare la promessa di Dio.

Anche a Cana, nella casa in cui si celebrava la festa di nozze, la situazione non era facile. Veniva a mancare il vino e la preoccupazione non era sfuggita alla “madre di Gesù”. Poi la gioia tornò con l’intervento di Gesù, provocato dalla madre. Questo episodio, conosciutissimo, non smette di provocare meraviglia ogni volta che lo si ascolta, perché tanti sono gli elementi che colpiscono e stimolano la riflessione:

l’intervento di Maria, compiuto quasi con autorità materna, assicura la sua forza di intercessione, descritta magnificamente da Dante: “Donna, se’ tanto grande e tanto vali, – che qual vuol grazia e a te non ricorre – sua disianza vuol volar sanz’ali” (Canto 33 del Paradiso);
l’inizio dei segni (dei miracoli) compiuti da Gesù per manifestare la sua gloria avviene non in una occasione solenne, quando avrebbe suscitato un’eco clamorosa, ma in una festa paesana di nozze;
il segno del vino. Gesù non anticipa la sua “ora” per fornire pane ad affamati o acqua agli assetati, ma il vino, un elemento per niente necessario per vivere.
Questa fornitura di vino sarebbe sorprendente se dimenticassimo che quelli che noi chiamiamo “miracoli” sono “segni”, cioè fatti che non esauriscono il loro significato in se stessi, ma nelle realtà alle quali rimandano. Nella Bibbia il vino è segno della gioia: «vino che allieta il cuore dell’uomo» (Sal 104, 15); «che vita è quella dove manca il vino?»; «allegria del cuore e gioia dell’anima è il vino bevuto a tempo e a misura» (Sir 31, 27.28). Tenendo presente questo significato, possiamo capire il gesto di Gesù: con il primo dei suoi segni si rivela come colui che porta la gioia nella nostra vita. Che vita è infatti quella dove manca la gioia, dove non ci sono allegria del cuore e gioia dell’anima?

Passiamo a noi. La fede in Lui dovrebbe darci gioia. Ma è così? Non sempre o non così come dovrebbe essere. Rassomigliamo di più ai rimpatriati di Gerusalemme e ai commensali di Cana che stanno per rimanere senza vino, perché su tante nostre posizioni, che ritenevamo assodate e sicure, si sono infiltrati altri modi di pensare e di vivere, che non accettano più le nostre idee e i nostri valori. Siamo preoccupati per la diminuzione della pratica religiosa e, cosa ancora più triste, per il rifiuto delle nostre tradizioni e convinzioni da parte anche delle persone a noi più care: figli, nipoti, amici. Ci mancano la Gerusalemme di una volta. Ci manca il vino come a Cana.

Come possiamo rimediare? Sicuramente non con una fede triste e malinconica, ma con la testimonianza che la fede è “vino” che dà allegria al cuore e gioia all’anima. Questo non significa andare in giro con il sorriso stampato in volto, ma vivere la fede senza complessi, “gloriandoci di professarla” con libertà e serenità dovunque la vita ci tiene e ci porta; e come indica san Paolo, dando vita a comunità dove la varietà e la diversità dei “doni” diventa ricchezza, superando quello che papa Francesco chiama clericalismo, cioè chiese dove «i preti si sentono superiori e sono molto distanti dal popolo», e dove i laici sono passivi e disinteressati, perché «credono che il loro contributo alla vita della Chiesa non sia che di second’ordine, o che in qualunque campo “il prete ne sappia per forza di più”».

Fonte: Paoline

ALTRO COMMENTO

“Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino»”.

Tutti ci cercano per quello che abbiamo, ma chi ti vuole davvero bene non tiene da conto di ciò che hai, ma di ciò che ti manca. L’amore vero è prendere a cuore la mancanza dell’altro, perchè in quella mancanza si gioca il meglio e il peggio della vita. Sono infatti le nostre mancanze la causa prima dei nostri peccati, ma sono altresì proprio le mancanze i punti di svolta dei grandi santi. Ritrovare il vino che manca non serve a riempire un vuoto, ma a cambiarne la sostanza.

Gesù non crea il vino dal nulla, ma cambia l’acqua in vino, cioè prende ciò che c’è e a partire da questo opera un cambiamento radicale. Quello che fino a ieri ti faceva peccare può cominciare ad essere il punto di forza della tua santità. Assurdo! Ma questo è il miracolo: il Signore è l’unico che può prendere sul serio la mia mancanza e trasformarla in santificazione.

Da cosa ce ne accorgiamo? Dal fatto che cominciamo a sentire un’inspiegabile letizia che non trova altra ragione se non nella Grazia di Dio.

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