Il commento al Vangelo di domenica 20 Gennaio 2019 (il brano del Vangelo è a fine articolo) – Anno C, a cura di Paolo Curtaz. Qui di seguito il testo ed il video.
Riempire le giare
Venuto a mancare il vino.
Quante volte facciamo questa esperienza, nelle nostre vite.
Partiamo, entusiasti, convinti, determinati poi, cammin facendo, viene a mancare il vino.
Una sofferenza, un fallimento, un’esperienza negativa. E ci rendiamo conto che manca qualcosa di importante. Il vino, simbolo della gioia, della festa, della gratuità.
Ve la immaginate una festa di nozze senza vino? No. Esatto.
Manca il vino, manca la voglia di vivere, di andare avanti, di fare festa.
Allora tutto diventa grigio, faticoso, rancoroso. E cresce la rabbia, l’aggressività, la depressione.
Abbiamo concluso il tempo di Natale e fatto memoria del nostro Battesimo.
E, subito, con duro realismo, la Liturgia ci consegna il vangelo di Giovanni, il miracolo numero uno come scrive l’evangelista, quello che sta alla base di ogni altra esperienza di fede.
Maria si accorge dell’assenza.
Maria, figlia di Israele, in questo strano matrimonio in cui mancano gli sposi e protagonisti sono i camerieri e lo sconosciuto Gesù, si rivolge a noi. Sono le uniche parole rivolte ai discepoli.
Ha parlato con gli angeli. E con Elisabetta. E con suo figlio, custode del mistero.
Ora parla a me.
Fate quello che vi dirà.
Riempire le giare
Manca il vino. Già.
Nella vita di ciascuno di noi. Nella vita di coloro che abbiamo accanto. Spesso, purtroppo, anche nelle nostre comunità che vivono in un perenne lutto.
E Maria se ne accorge. Lei è la prima che vede che manca qualcosa alla nostra vita. E ne informa il Figlio. E a noi intima: fate. Non: aspettate. Non: pregate. Non: pazientate. Non: rassegnatevi.
Fate.
La gioia di costruisce, mica si attende. Si plasma.
Dobbiamo riempire le giare fino all’orlo. Con l’acqua, non abbiamo altro.
Dal poco al tutto. Dall’insignificante al miracolo.
Giare di pietra che certamente non erano presenti in quella festa. Ma all’ingresso del tempio di Gerusalemme, contenenti acqua per la purificazione.
In pietra e sei, una in meno del numero della perfezione che è sette.
Simbolo di una fede stanca, impietrita, trascinata. Come spesso è la nostra.
Eppure proprio questa fede va riempita. Non snobbata. Non abbandonata.
Ma vissuta con tutto ciò che siamo.
Il sommelier
Obbediscono, i camerieri.
Obbediamo, noi servi inutili.
Quante altre cose dovevano fare in quel servizio matrimoniale! Con quanto poco entusiasmo avranno preso le piccole anfore per attingere acqua e colmare di oltre seicento litri quelle giare! E quanti improperi avranno mandato a quel giovane taciturno e bislacco.
Quante volte vorrei mollare, anch’io.
Quando nella mia comunità ci troviamo i soliti due gatti. Quando, nonostante tutti gli sforzi, vedo l’oratorio svuotarsi. Quando servo i poveri riconoscendo in essi il Cristo e vengo insultato dai nuovi razzisti che si sono fatti forza.
Ma tengo duro. E riempio le giare, anche se sono di pietra.
Quell’acqua attinta e servita al sommelier diventa un vino straordinario.
Tale da entusiasmare il maestro di tavola che si complimenta con lo sposo.
E da servo divento sommelier.
Anch’io faccio i complimenti a Cristo, lo sposo, per tutta l’acqua che ho visto trasformarsi in vino. Litri. Ettolitri. Intere botti di ottimo vino.
Perché questo matrimonio, questa festa, questo segno numero uno, è la storia d’amore fra lo sposo, Dio, e la sposa, Israele. E dei servi, noi, che partecipano a questa festa.
E della madre del Signore, prima fra i discepoli, prima fra i credenti, che discretamente si accorge dell’assenza della gioia. E provvede, spingendo ad agire il Signore. E noi.
Numero due
Inizia così il nostro anno civile.
Annotando, con amarezza, quanto sia faticosa la nostra vita quando manca il vino della gioia.
E guardando avanti. Offrendo un percorso.
No, non stiamo precipitando nel caos. E nemmeno nella disperazione più cupa.
Alcuni aspettano la fine della festa, incuranti di quanto accade.
Altri si lamentano con l’imperizia dello sposo.
A noi è chiesto di riempire le giare fino all’orlo. Anche se solo di acqua.
L’incontro con Dio è una festa di nozze. Una grandiosa festa di nozze.
Il segno numero uno, diventa per noi, in questa domenica, il segno numero due. E tre. E quattro…
Eccomi, Signore.
Pronto a riempire le giare.
ALTRO COMMENTO
“Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino»”.
Tutti ci cercano per quello che abbiamo, ma chi ti vuole davvero bene non tiene da conto di ciò che hai, ma di ciò che ti manca. L’amore vero è prendere a cuore la mancanza dell’altro, perchè in quella mancanza si gioca il meglio e il peggio della vita. Sono infatti le nostre mancanze la causa prima dei nostri peccati, ma sono altresì proprio le mancanze i punti di svolta dei grandi santi. Ritrovare il vino che manca non serve a riempire un vuoto, ma a cambiarne la sostanza.
Gesù non crea il vino dal nulla, ma cambia l’acqua in vino, cioè prende ciò che c’è e a partire da questo opera un cambiamento radicale. Quello che fino a ieri ti faceva peccare può cominciare ad essere il punto di forza della tua santità. Assurdo! Ma questo è il miracolo: il Signore è l’unico che può prendere sul serio la mia mancanza e trasformarla in santificazione.
Da cosa ce ne accorgiamo? Dal fatto che cominciamo a sentire un’inspiegabile letizia che non trova altra ragione se non nella Grazia di Dio.