Alcune espressioni forti di papa Francesco nell’udienza generale di ieri hanno suscitato un audace paragone tra “cristiani ipocriti” e “atei”. In realtà il papa ha insistito soprattutto sull’incoerenza di quanti “vanno in chiesa … e poi vivono odiando gli altri”. È per loro che sarebbe “meglio non andare in chiesa: vivi così, come fossi ateo!”. L’accento dell’esortazione papale non cade tanto sul comportamento più o meno retto da parte di chi si professa ateo e sul suo paragone con la coerenza di vita dei credenti, quanto piuttosto sull’intollerabile ipocrisia religiosa di chi “è capace di tessere preghiere atee, senza Dio”. E si comprenda bene ciò che dice il papa: c’è chi prega senza sentirsi davanti a Dio, senza ascoltare Dio, senza essere veramente toccato dalla presenza e dalla voce di Dio.
La condanna dell’ipocrisia, vizio tipico delle persone religiose di ogni tempo, è uno degli ammonimenti più presenti già nei profeti di Israele, mentre nei Vangeli è uno dei tratti più marcati della predicazione di Gesù. Per questo il riprenderla oggi, applicandola ai comportamenti di chi non segue la fede che professa ma l’esteriorità delle apparenze, è semplice attualizzazione dell’insegnamento di Gesù. In quelle “preghiere atee” – espressione inedita ma di rara efficacia – papa Francesco denuncia preghiere, liturgie, gesti religiosi in cui Dio è nominato e invocato ma, in realtà, misconosciuto. E nel chiamare in causa l’ateo coerente con i suoi principi, con la sua coscienza Francesco riconosce che chi si professa ateo e segue la sua coscienza è più retto di chi si dice cristiano ma ha un cuore doppio e viva nell’ipocrisia.
Il duro ammonimento del papa ricorda a tutti, a cominciare proprio da chi si professa cristiano, una dimensione costante della dottrina cattolica: principio ultimo resta la coscienza autentica, provata, confrontata di ciascuno, che è superiore a ogni autorità e ogni legge. Proprio per questo papa Francesco accosta così sovente l’ipocrisia alla corruzione: se altri peccati “chiamano” alla conversione, ipocrisia e corruzione tendono per loro natura a soffocare la coscienza, a farne tacere la voce, a violentarla nella sua dimensione più intima. È allora davvero motivo di “scandalo” l’atteggiarsi a persona di preghiera e poi non amare il prossimo, pretendere di dialogare nella preghiera con il “Dio che non si vede” e disprezzare “il fratello che si vede”. Allora meglio vivere “come ateo”, senza professare la fede cristiana, piuttosto che contraddire con il comportamento ciò che si professa con le labbra.
Il papa ancora una volta confessa che i cristiani cadono in peccato come gli altri, riafferma che le beatitudini proclamate da Gesù non sono moralismo ma buona notizia e rivelazione. Nella catechesi sul “Padre nostro” papa Francesco non ha rivolto alcun invito all’ateismo ma ha espresso ancora una volta una forte condanna dell’ipocrisia di chi usa atteggiamenti e addirittura la preghiera cristiana come simboli da ostentare, come autocelebrazioni identitarie ma resta incoerente con il messaggio del vangelo, nutrendo in sé l’indifferenza se non l’astio per il povero e il sofferente, l’ostilità verso chi è diverso e straniero. Ecco perché questa di papa Francesco è risultata un’esortazione appassionata e convincente per credenti e non credenti, per persone “pensanti” di qualsiasi o nessuna appartenenza religiosa. Papa Francesco ha semplicemente ridetto l’espressione del grande padre della chiesa Ignazio d’Antiochia: “Meglio essere cristiani senza dirlo ed esibirlo piuttosto che proclamarsi cristiani senza esserlo”.
Pubblicato su: La Repubblica – FONTE