Commento al Vangelo del 30 dicembre 2018 – Clarisse di via Vitellia, Roma

Il commento al Vangelo di domenica 30 dicembre 2018 a cura delle Clarisse di via Vitellia a Roma.

Nel vangelo che oggi ci è donato per celebrare la Santa famiglia di Nazaret sembrerebbe non esserci in realtà molta gioia.

La festa a Gerusalemme, celebrata come ogni anno, si rabbuia in tre giorni di angoscia per aver smarrito Gesù. Il sollievo di ritrovarlo nel tempio lascia subito il posto ad una richiesta di senso che alla fine resta con una risposta non compresa. La manifestazione brillante dell’intelligenza del fanciullo Gesù, che nella solenne ufficialità del tempio – cuore della vita religiosa del popolo – ascolta e interroga i maestri, si esaurisce presto nel ritorno all’anonimato di una cittadina di nessun conto della Galilea…

Dov’è la vera gioia di questo vangelo? Qual è la buona notizia per la festa che oggi celebriamo?

Mettendoci in ascolto del racconto – un testo importante, che conclude la sezione dedicata alla nascita e all’infanzia di Gesù -, accogliamo almeno tre luci che in queste righe si accendono sulla famiglia di Nazaret e lasciano intravedere la gioia del sorgere di una famiglia più grande, chiamata a radunarsi attorno al Figlio Gesù.

1. Una prima luce si accende su Gesù stesso e non finirà mai di suscitare in noi meraviglia e gioia.

Nel nostro passo sono contenute le prime parole che Gesù pronuncia nel vangelo di Luca e in esse Dio è chiamato per la prima volta Padre.

Da quello che abbiamo letto sin qui, dall’inizio del vangelo, di Gesù si è detto che è santo e che sarà chiamato Figlio di Dio; dalle parole dell’angelo sappiamo che la sua origine è lo Spirito Santo e la potenza dell’Altissimo; è stato annunciato come Salvatore e Cristo Signore; è stato accolto e additato come luce per illuminare le genti e compimento delle promesse fatte ad Israele.

Ma ora è Gesù a rivelare qualcosa di se stesso parlando di Dio come del Padre mio. Ben al di là dell’analogia del rapporto affettivo per il quale finora il popolo o il singolo fedele poteva chiamare Dio Padre, ora questa parola risuona sulla nostra terra con una pregnanza unica di vera e propria generazione: «generato, non creato, della stessa sostanza del Padre», diciamo nella confessione di fede. Nel momento in cui sulle labbra del fanciullo Gesù fiorisce, riferita a Dio, la parola Padre, inizia dunque a risuonare per noi il mistero soave di un Dio che si riconosce e si fa conoscere come Figlio.

La luce che si accende quando Gesù inizia a parlare del Padre suo, ci dà la possibilità di vedere Dio dalla prospettiva di un Figlio amato, da quella prospettiva che sembrava perduta in Adamo con il sospetto, la paura, l’appropriazione. Il fanciullo che parla del Padre suo inizia dunque ad accompagnarci, come fratello, a riscoprire il nostro essere figli amati. Potremo finalmente vedere ogni giorno Gesù farsi nostra via nel ricostruire e custodire la relazione di amore con Dio, nello spirito e nella libertà dei figli e non più da schiavi e da stranieri.

2. Un’altra luce si accende nel vangelo quando Gesù afferma con decisione la sua missione: «Perché mi cercavate? … devo occuparmi delle cose del Padre mio». Maria e Giuseppe, temendo di aver perduto Gesù, lo hanno cercato tra amici e conoscenti, nella carovana che tornava tra le cose di ogni giorno, nel piccolo villaggio. Eppure, poco più avanti, il vangelo ci mostra che proprio quell’ambiente familiare di Nazaret non saprà riconoscere Gesù e la sua missione!

A partire da questo nostro passo, con Maria e Giuseppe, impariamo a ricollocare la nostra ricerca di Gesù nella direzione giusta. La ricerca di Gesù coincide con le cose del Padre, con la ricerca di Dio, che ora avviene seguendo i passi di Gesù, fissando lo sguardo nel suo volto, tendendo l’orecchio alla sua parola. Nella casa del Padre – nello spazio sacro del tempio – inizia d’ora in avanti il dibattito di Gesù con le istituzioni religiose che tramandano, interpretano, applicano la Legge di Mosé. Sarà un confronto sempre più faticoso e sofferto da parte di Gesù; sempre più chiuso e conflittuale da parte delle autorità, fino alla condanna. In questo cammino la nostra ricerca di Dio attraverserà l’inganno delle tentazioni, metterà a nudo le nostre ipocrisie, farà i conti con le paure e le fragilità, ma ad ogni passo sarà sempre più chiaro il significato delle parole che oggi l’evangelista Luca fa dire a Gesù. L’occuparsi delle cose del Padre mio (e vale anche se si sceglie la variante della casa del Padre mio), consiste principalmente nel ristabilire l’immagine di Dio ricollocandola tra i poveri, gli emarginati, i malati, i perduti, tra coloro che invocano e attendono salvezza. Inutile cercare Gesù per riportarlo nelle nostre carovane: il Figlio ci attende laddove la nostra relazione con Dio, con la vita, con i fratelli è più fragile, ferita e faticosa. Luce sul nostro cammino sarà seguirlo e ascoltarlo.

3. Una terza luce si accende delicatamente sulla quotidianità della famiglia a Nazaret, nella quale il cuore di Maria e il silenzio di Giuseppe ci generano nell’identità di discepoli. I genitori – è detto nel vangelo di oggi – non compresero, ma questo non li chiude in una pretesa di sapere. Nell’incomprensione delle cose divine c’è lo spazio per vivere nella fiducia. Maria ci insegna che il non capire ciò che Dio sta facendo germogliare nelle nostre vite non si risolve con lontananze deluse, tristi o arrabbiate. C’è un’intelligenza fatta di silenziosa attesa, di rilettura degli avvenimenti lasciati sedimentare nel cuore con l’aiuto della Parola; c’è un capire che prende forma nel nostro cuore quando lo lasciamo aperto e libero al manifestarsi dell’amore di Dio. La sorpresa più luminosa sarà scoprire che Dio è già accanto a noi, piccolo e silenzioso come noi alla scuola della vita.

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