I Vangeli di Natale ci accompagnano dalla notte, all’aurora, al pieno giorno facendoci fare esperienza di tre sguardi diversi sulla stessa scena. Nella messa della notte c’è lo sguardo cieco di Cesare Augusto che ordina un censimento su tutta la terra per contare i cittadini del suo impero.
Cesare conta i numeri ma non sa che non serve a nulla contare se non sai riconoscere i volti di quei numeri. Chi nella vita calcola troppo si perde ciò che conta: le persone, gli affetti, l’amore, la felicità.
Diverso è il caso dei pastori che all’albeggiare “vanno senza indugio” e trovano Gesù così come gli angeli avevano annunciato loro.
Solo i semplici credono agli angeli, i superbi sorridono alle storie degli angeli, a loro piace credere ai ragionamenti, mentre le persone semplici credono ai fatti, anche quando non ne sanno dare una spiegazione.
Per questo è più facile parlare alla povera gente, non perché è più credulona, ma è più disposta ad ascoltare ciò che non capisce. I cosiddetti intelligenti, invece, tutto ciò che non capiscono dicono che non esiste.
E più che intelligenti sembrano solo molto miopi. Ma per fortuna non tutti gli intelligenti sono uguali, infatti c’è quello sguardo così “intelligente” del prologo del Vangelo di Giovanni, che riesce a intuire che dietro quel bambino c’è “il Verbo fatto carne”, praticamente l’oceano della Sapienza fatta bambino e adagiato in una mangiatoia.