Questo brano dell’Evangelo di Luca costituisce la parte conclusiva di ciò che viene considerata la “grande apocalisse” lucana (21, 5-36). Differentemente dalla “piccola apocalisse” (7, 20-37), in cui il discorso è rivolto quasi esclusivamente alla cerchia dei discepoli, qui Gesù allarga il suo sguardo al destino dell’umanità intera rivolgendosi al popolo ed esortandolo come figli di Dio.
Il brano è presente anche in Mt e Mc ma con una differenza che riguarda l’accento qui posto in particolar modo sulla venuta trionfale di Cristo, volta a sottolineare la prospettiva squisitamente cristologica del nostro evangelista.
La grande apocalisse lucana segue i racconti delle diatribe in cui Gesù è stato messo alla prova da più parti e precede l’epilogo della sua storia terrena col racconto delle vicende occorse nell’imminenza della passione e della sua morte. L’azione si svolge nel tempio e il discorso è rivolto al popolo ivi presente. I nostri versetti seguono gli annunci relativi alla distruzione del tempio, alle persecuzioni, alla testimonianza e al giudizio su Gerusalemme.
Breve analisi del testo
Il brano può essere suddiviso in tre nuclei tematici:
- Prima parte (vv 25-26): annuncio di eventi che accadranno in futuro;
- Seconda parte (vv 27-28): proclamazione della venuta del Figlio dell’uomo e promessa di liberazione;
- Terza parte (vv 34-36): ammonimenti e consigli sulla modalità corretta (veglia, preghiera) per la gestione dell’attesa di questi eventi nel tempo presente.
La prima parte contiene delle immagini di tipo cosmico, carattere tipico dell’apocalittica giudaica. Il tono è deciso e definitivo nella descrizione dei sentimenti di angoscia, paura e di morte che coglieranno gli uomini che si troveranno ad affrontare questi segni inquietanti del cielo e gli sconvolgimenti della terra con la prospettiva oscura e misteriosa di ciò che ancora di terribile dovrà accadere. Si percepisce in questi versetti l’influenza esercitata dai testi dell’antica Scrittura, con l’annuncio profetico di Isaia circa l’ora del giudizio di Babilonia (Is 13, 10) o il momento del giudizio universale (Is 34,4), con il lamento sulla fine del faraone di Ez 34 o il ruggito del Signore che giudica le nazioni di Gioele 4 o l’ira di Dio in Siracide 16 nei confronti degli empi. Il dramma è inevitabile. Ma il fine di questa narrazione non è quello di creare paura e angoscia nell’uomo, bensì quello di suscitare impegno, vigilanza, fiducia.
Infatti, il dramma svanisce di fronte a quanto viene descritto nella seconda parte, cioè di fronte alla venuta del Figlio dell’uomo con gloria e potenza. Nel cuore della nostra storia si accende una speranza che però può essere contemplata e vissuta solo dai credenti nel Signore, i quali avranno le capacità, nella dimensione di fede e di affidamento alla promessa di Dio, di intravedere in quei segni terribili la luce della salvezza che si avvicina. Nella stessa profezia di Gioele, dopo la descrizione della voce ruggente del Signore che fa tremare cieli e terra (4,16a), è scritto che tutto ciò non costituirà alcun problema per il credente perché “Il Signore è un rifugio al suo popolo, una fortezza per gli Israeliti” (4,16b). Il versetto seguente, il 28, rinforza questa speranza del credente tramite l’esortazione ad alzare gli occhi e a contemplare gli accadimenti descritti con uno sguardo diverso e originale, con lo sguardo profetico di colui che si affida e spera in Dio e nella realtà della sua promessa di vita e che pertanto riesce a scorgere la presenza di Dio, della sua Parola e del suo Regno già dall’interno della debolezza, della miseria e della caducità della realtà umana, già durante la sua storia fragile e piena di macerie. Perché la realtà ultima a cui guarda il credente, nella prospettiva della sua fede, è quella della liberazione da ogni male e dalla morte operata dal Signore con la sua venuta nella storia.
Questo annuncio e la proclamazione che segue ha valore per tutti gli uomini, perché ogni uomo è soggetto a queste realtà, ogni uomo rischia di restarne travolto e schiacciato, sia il non credente che il credente. A meno che coloro che credono non avranno saputo ascoltare e vivere secondo quanto esorta a fare Gesù nella terza parte del nostro brano, in cui il Signore ci confida che il segreto per sopravvivere a tutto ciò e riconoscerlo veniente nella storia sta nella vigilanza e nella preghiera. Vivendo secondo queste due dimensioni, i credenti potranno acquisire la forza necessaria, la capacità di sottrarsi alla rete, alla trappola della paura, dell’angoscia e della morte e potersi così preparare per l’incontro con il Signore.
Spunti di meditazione
Sta scritto in Ef 5,15-17: “Fate dunque molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere quale è la volontà del Signore”. In questa esortazione di Paolo possiamo trovare una sintesi perfetta di quanto leggiamo nel brano di Luca: siamo tutti invitati a vivere con saggezza il tempo, nello sforzo di discernere il progetto di Dio in ogni giorno, anche quando il giorno è cattivo.
Gesù, venendo nel suo giorno, carico di gloria, getta una luce nuova su questo mondo tormentato dove l’uomo è schiacciato dalla paura. In quel giorno, le potenze dei cieli saranno sconvolte ed una nuova potenza, quella del Figlio dell’uomo, si insedierà nel mondo: la luce vera giungerà ad illuminare le tenebre. Gli uomini di Dio, redenti, potranno finalmente alzare il capo e risorgere, ormai liberati, salvati. Con la seconda venuta di Gesù Cristo la salvezza entra definitivamente nel mondo.
Ma questa offerta richiede, da parte dell’uomo, il desiderio di prepararsi ad accoglierla e la pronta disponibilità.
E’ evidente l’invito alla vigilanza.
Per vigilare è necessario un cuore quieto e libero, umile, orante; stare svegli, mantenersi sobri, comportandosi come in pieno giorno (cfr. Rm 13,13) per evitare di cadere vittime di tutto ciò che, appesantendo il cuore, potrebbe immettere l’uomo nello spazio della morte. Vigilare significa mantenere lo spirito agile al punto da riuscire a destreggiarsi abilmente tra le prove dell’esistenza terrena, mantenendo salda la fede e perseverando in essa.
La vigilanza impone ed insegna la responsabilità; essa viene esercitata prima di tutto su se stessi, sul proprio cuore, sui propri desideri, sulle proprie pulsioni. L’uomo che vigila impara l’arte del discernimento responsabile senza illusioni, senza attese. Dice E. Bianchi: “Tipo del vigilante è il profeta, colui che cerca di tradurre lo sguardo e la Parola di Dio nell’oggi del tempo e della storia.”
Ma soprattutto, l’uomo che vigila è l’uomo che prega: non è possibile, infatti, mantenersi svegli da soli. L’uomo di Dio sa bene che l’unico modo per vegliare su se stesso è quello di mantenersi in relazione con Dio, attraverso la ricerca della compagnia di Cristo nella preghiera. In tal senso, la preghiera è relazione, è ricerca di comunione con Dio.
L’agire cristiano non può prescindere dalla preghiera. “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione (Mt 26,41): Gesù ci esorta tutti a pregare sempre; dunque, la preghiera cristiana è la forma con cui l’uomo risponde positivamente all’unico Dio che lo cerca e desidera incontrarlo e conoscerlo attraverso l’incontro col Figlio. La vita cristiana, in sostanza, non può trascorrere in altro modo che in stato di preghiera permanente.
È in questo dialogo amoroso che Dio investe tutte le sue speranze; ed invita l’uomo a fare altrettanto, ad investirvi la sua vita. Così intesa, questa relazione, con l’amore che ne scaturisce, renderà saldo il cuore dell’uomo: “Il Signore poi vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti, per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.” (1Ts 3,12-13)
Pertanto, l’uomo, forte di questa appartenenza al Signore consolidata nella veglia e nella preghiera, non avrà difficoltà a riconoscere il momento in cui potrà alzare il capo e sollevarsi; di contro, grazie a questa conoscenza d’amore, egli sarà riconosciuto dal Figlio dell’uomo quando questi verrà nel suo giorno.
Il senso ultimo, in fondo, è comprendere che solo restando saldamente legati a Cristo nella preghiera, mantenendo il nostro sguardo vigile sulla nostra vita e sulla realtà, possiamo dare a Gesù Cristo libero accesso alla nostra vita, permettendogli di costruire giorno per giorno la nostra liberazione, aprendo il nostro cuore all’amore di Dio e alla viva speranza di venire, alla fine, considerati santi davanti al Padre.
Giovanni
Fonte: Comunità Kairos (Palermo)
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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
I DOMENICA DI AVVENTO – ANNO C
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- Colore liturgico: Viola
- Ger 33, 14-16; Sal.24; 1 Tes 3, 12-4,2; Lc 21, 25-38.34-36
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 21,25-28.34-36
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 02 – 08 Dicembre 2018
- Tempo di Avvento I,
- Colore Viola
- Lezionario: Ciclo C
- Anno: III
- Salterio: sett. 1
Fonte: LaSacraBibbia.net
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