14 marzo 2010 – Il Padre sciupone – anno C – IV DOMENICA DI QUARESIMA
- Prima lettura: Gs 5,91.10-12
- Salmo Responsoriale: Dal Salmo 33
- Seconda lettura: 2 Cor 5,17-21
- Vangelo: Lc 15,1-3.11-32
Nel deserto della Quaresima diventiamo capaci di accogliere la novità assoluta del vangelo, del volto di Dio che emerge dalla rivelazione di Gesù.
Un Dio bellissimo ci attende sul Tabor, quando riusciamo a lasciare la pianura della quotidianità e della mediocrità.
Un Dio che non manda le disgrazie e che non teniamo buono sennò chissà che iattura ci colpisce. Un Dio che è un padre affettuoso che ci ama e ci rispetta.
Luca costruisce il suo vangelo intorno a tre parabole. Concentra in questi tre capolavori la sintesi del suo annuncio, la logica stringente della sua vita. Una di queste parabole, forse la più conosciuta del vangelo, è quella erroneamente chiamata del “figliol prodigo”.
Maschere
I due figli protagonisti della parabola hanno una pessima idea di Dio. Entrambi.
Il primo figlio, scapestrato, pensa che Dio sia un concorrente, un avversario: se c’è io non posso realizzarmi. Dio è un censore, un preside severo, uno che non mi aiuta. Gli chiedo il mio, quello che mi deve (e da quando un padre “deve” l’eredità?), quello che mi spetta. Chiedere l’eredità significa augurare la morte. E il figlio va in un paese lontano, vuole porre una grande distanza fra sé e il padre, e conosce la vita. Ha molti amici, sperpera tutto il patrimonio. Quando finiscono i soldi gli amici se ne vanno, ovvio.
È tutta qui la vita? In pochi mesi ha già conosciuto tutto, bruciato tutto?
Si ritrova a pascolare i porci. I porci: l’animale impuro per eccellenza. E patisce la fame.
Rientra in sé stesso e ragiona: “Sono un idiota. In casa di mio padre anche il più umile dei servi ha pane in abbondanza! Ora torno e mi trovo una scusa…”
Sì, avete letto bene: contesto radicalmente l’interpretazione buonista del brano. Il figlio non è affatto pentito: è affamato e ancora pensa che il padre sia un tontolone da manipolare.
L’altro figlio torna dal lavoro stanco e si offende della festa che il padre ha fatto in onore del figlio minore. Come dargli torto?
Il suo cuore è piccolo ma la sua giustizia grande: sì, è vero, il Padre si comporta ingiustamente nei suoi confronti. Giusto: lui lavora da anni e non ha mai osato chiedere nulla. Il figlio maggiore pensa che Dio sia uno da tenere buono, che ora fatichiamo ed obbediamo ma che, alla fine, avremo il premio, ci verrà riconosciuta la fatica che abbiamo vissuto e tutte le messe che ci siamo sciroppate.
Lui è uno mortificato, senza grilli per la testa, lui è il bravo figlio che tutti vorrebbero: perché il padre si comporta in quel modo?
Happy end?
Bene, fermatevi qui, ora.
Niente bei finali, Luca si stoppa.
Non dice se il primo figlio apprezzò il gesto del Padre e, finalmente, cambiò idea.
Né dice se il fratello, inteneritosi, entrò a far festa.
No: la parabola finisce aperta, senza scontate soluzioni, senza facili moralismi e finali da Principe Azzurro.
Puoi stare col Padre senza vederlo, puoi lavorare con lui senza gioirne, puoi lasciare che la tua fede diventi ossequio rispettoso senza che ti faccia esplodere il cuore di gioia.
Il vangelo ci dice ancora una volta che Dio ci considera adulti, che affida alle nostre mani le decisioni, che non si sostituisce alle nostre scelte.
Lo sciupone
E ora, per favore, smettetela di guardare questi due idioti, così simili a noi.
Piccoli e meschini, come noi. E guardate al Padre, per favore.
Io vedo un Padre che lascia andare il figlio anche se sa che si farà del male (l’avreste lasciato andare?). Vedo un Padre che scruta l’orizzonte ogni giorno. Vedo un Padre che corre e abbraccia, atteggiamento sconveniente per un Padre cui è dovuto rispetto. Vedo un Padre che non rinfaccia né chiede ragione dei soldi spesi (“te l’avevo detto io!”), che non accusa, che abbraccia, che smorza le scuse (e non le vuole), che restituisce dignità, che fa festa.
Vedo un Padre ingiusto, esagerato, che ama un figlio che gli augurava la morte (“dammi l’eredità!”) che vaneggiava nel delirio (“mi spetta!”), un Padre che sa che questo figlio ancora non è guarito dentro ma pazienta e fa già festa.
Vedo un Padre che esce a pregare (sic!) lo stizzito fratello maggiore, che tenta di giustificarsi, di spiegare le sue buone ragioni. Ecco: vedo questo Padre che accetta la libertà dei figli, che pazienta, che indica, che stimola. Lo vedo e impallidisco.
Dunque: Dio è così? Fino a qui? Così tanto? Sì, amici. Dio è questo e non altro. Dio è così e non diversamente.
E il dio in cui credo è finalmente questo?
Gesù sta per morire per affermare questa verità, è disposto a farsi scannare pur di non rinnegare questa inattesa rivelazione.
Dio è prodigo, scialacquone, sciupone, non il figlio.
Perché di esagerato, di eccessivo, in questa storia, c’è solo l’amore di Dio.
Paolo Curtaz