Pensare e pregare ogni frase del Padre Nostro con i bambini

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La preghiera di Gesù

Gesù pregava spesso.

Un giorno i suoi amici gli chiesero: «Signore, insegnaci a pregare».

Gesù rispose: «Quando pregate, dite così:

Padre Nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo Nome,
venga il tuo Regno,
sia fatta la tua Volontà
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo
ai nostri debitori,
e non c’indurre in tentazione,
ma liberaci dal Male.
Amen».

La preghiera di tutti i cristiani

Il Padre Nostro è diventato la preghiera più importante dei cristiani di tutto il mondo.

Perché è stata donata da Gesù stesso. Molte persone la recitano al mattino e alla sera.

Gli incontri dei cristiani incominciano spesso con questa preghiera. Tante famiglie, alla sera, la recitano tutti insieme. Alcuni la meditano in silenzio in campagna, in città, per la strada o durante il lavoro.

È una preghiera bellissima, ma non sempre facile da comprendere.

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PADRE

IL PRIMO FIORE

In un paesino di montagna c’era  un’usanza molto bella. Ogni primavera si svolgeva una gara fra tutti gli abitanti. Chi riusciva a trovare il primo fiore sarebbe stato il re di tutte le feste dell’anno. Per questo partecipavano tutti, giovani e vecchi. Un anno, appena la neve cominciò a fondere, partirono tutti alla ricerca del primo fiore. Per ore e ore, cercarono in alto e in basso. Stavano già abbandonando l’impresa, quando udirono la voce di un bambino. «È qui! L’ho trovato!». Corsero tutti da lui. Il bambino indicava con il dito il primo fiore. Era sbocciato in mezzo alle rocce, qualche metro sotto il ciglio di un terribile dirupo. La bocca spalancata del burrone faceva paura. Il bambino scoppiò in pianto. Voleva il fiore, ma aveva paura del precipizio. Tutti gli altri erano gentili, lo volevano aiutare. Cinque uomini forti portarono una corda. «Ti legheremo e ti caleremo giù», dissero. «No, no», piangeva il bambino. «Ho paura!».

Si misero in quindici, i più forti del paese:

“Ti terremo noi!». Niente da fare. Poi, ad un tratto, il bambino smise di piangere. Con una mano si asciugò le lacrime. Tutti fecero silenzio. «Va bene», disse il bambino. «Andrò giù… andrò giù se terrà la corda mio padre». Avere un papà è sapere che c’è qualcuno vicino, pronto ad aiutarci perché ci vuole bene.

Quando diciamo papà e mamma, pensiamo a parole calde, braccia accoglienti, profumo di buono, sguardi teneri e sicurezza e aiuto. A qualcuno che ci dice: «Qualunque cosa capiti, puoi sempre contare su di me». Così vuol essere Dio per noi. «Dio è un papà che ci vuole bene come una mamma», ha scritto una bambina sul suo quaderno di catechismo.

NOSTRO

I DUE UOMINI CHE VIDERO DIO

In un villaggio, che sorgeva ai piedi di un’alta montagna, vivevano due vicini di casa che litigavano dal attino alla sera. Si facevano dispetti, vendette, ripicche. Erano veramente insopportabili: per colpa loro, nel villaggio non c’era mai un giorno di pace.

Un anziano decise di mettere fine alla cosa. Prese in disparte uno dei due e gli disse: «Vai sulla montagna a incontrarti con Dio». L’uomo si mise in marcia e, dopo molti giorni di fatica, giunse in cima alla montagna. Dio era là che lo aspettava. Fu proprio una sorpresa: l’uomo si stropicciò gli occhi invano; non c’era alcun dubbio: Dio aveva la faccia del suo vicino antipatico e rissoso. Ciò che Dio gli disse, nessuno lo sa.

Ma al ritorno nel villaggio non era più lo stesso uomo. L’altro però continuava ad inventare pretesti per litigare. Cosi gli anziani si dissero: “E meglio che anche lui vada a vedere Dio». Così anche il secondo uomo salì sulla montagna. E lassù scopri che Dio aveva il volto del suo vicino… Da quel giorno tutto è cambiato e la pace regna nel villaggio.

Quando diciamo che Dio è Padre nostro» riconosciamo che apparteniamo a Lui in un modo speciale e che facciamo parte della sua famiglia. E che tutti gli esseri umani sono nostri fratelli e sorelle. E siccome tutti i figli assomigliano un po’ al papà, nel volto di tutti quelli che incontriamo, se lo vogliamo, possiamo vedere un po’ di Dio.

CHE SEI NEI CIELI

DOVE ABITA DIO

una comitiva di zingari si fermò al pozzo di un cascinale. Un bambino di circa cinque anni uscì nel cortile, osservandoli incuriosito. Uno zingaro in particolare lo affascinava. Era gigantesco: aveva attinto un secchio d’acqua dal pozzo e beveva direttamente dal secchio, reggendolo come fosse una tazza. Un filo d’acqua gli scorreva giù per la barba di fuoco. Finito che ebbe, si tolse la fusciacca multicolore e con quella si asciugò la faccia. Poi si chinò e scrutò in fondo al pozzo. Incuriosito, il bambino si alzò in punta di piedi per guardare anche lui oltre l’orlo del pozzo.

Il gigante si accorse del bambino e sorridendo lo prese in braccio. «Sai chi ci sta laggiù?», chiese. Il bambino cosse il capo.

«Ci sta Dio», disse lo zingaro. «Guarda!», aggiunse, e tenne il bambino sull’orlo del pozzo. Là, al fondo, nell’acqua ferma come uno specchio, il bambino vide riflessa la propria immagine. “Ma quello sono io!». «Ah!», esclamò lo zingaro, rimettendolo con dolcezza a terra. «Ora sai dove sta Dio».

«Gesù è in cielo», dice la mamma. Domenico, sette anni: «No, Gesù non sta in cielo. E nel mio cuore».

La mamma gli spiega che il cielo non è un luogo e che Gesù sta anche nel suo cuore.

«No, mamma. Gesù non sta in cielo, sta nel mio cuore, e nel mio cuore è il cielo». Dio abita dove viene accolto, dove lo si lascia entrare. E dove Dio è accolto sboccia sulla terra un pezzo di Cielo.

SIA SANTIFICATO IL TUO NOME

LA CITTÀ SMEMORATA

Una volta, in una piccola città, uguale a tante altre, cominciarono a succedere dei fatti strani. I bambini dimenticavano di fare i compiti, i grandi si dimenticavano di togliersi le scarpe prima di andare a dormire, nessuno si salutava più. Le porte della chiesa rimanevano chiuse. Le campane non suonavano più. Nessuno sapeva più le preghiere.

Un lunedì mattina, però, un maestro domandò ai suoi alunni: «Perché ieri non siete venuti a scuola?».

«Ma ieri era domenica!», risposero gli scolari. «La domenica non c’è scuola».

«Perché?», chiese il maestro. Gli alunni non seppero che cosa rispondere. Si avvicinava il Natale. «Perché suonano questa musica dolce?». «Perché sull’albero ci sono le candele?». Nessuno lo sapeva.

Due amici avevano litigato: si erano insultati, fino a diventare rauchi. «Ora non ho più nessun amico», pensava tristemente uno di loro il giorno dopo. E non sapeva che cosa fare. La piccola città si faceva sempre più grigia e triste. La gente diventava ogni giorno più egoista e litigiosa.

“Ho l’impressione di aver dimenticato qualcosa», ripetevano tutti. Un giorno soffiava un forte vento tra i tetti, così forte da smuovere le campane della chiesa. La campana più piccola suonò. Improvvisamente la gente si fermò e guardò in alto. E un uomo per tutti esclamò: «Ecco che cosa abbiamo dimenticato: Dio!».

Se c’è speranza in questo mondo è solo perché risuona ancora il nome di Dio. Milioni e milioni di persone gettano su questo nome le gioie e le paure della propria esistenza. È l’unico nome che porta su di sé il peso dell’umanità e che dà un senso a tutto. Anche per questo non possiamo rinunciare a pronunciarlo con rispetto e fiducia.

VENGA IL TUO REGNO

IL SEME PIÙ PICCOLO

Non si sa come fosse capitato là, ma nella manciata di grossi e lucidi grani di frumento c’era un granellino nero nero, cosi piccolo che era quasi invisibile. II contadino buttò la manciata di semi nella terra aperta dall’aratro. I semi di grano si sistemarono con molta dignità nei loro lettini di buona e profumata terra.

Ma quando arrivò il semino nero, scoppiò tra le zolle una gran risata. «Pussa via, sgorbietto inutile!», brontolò stizzito un grasso seme di frumento che si era ricevuto il semino proprio sulla pancia.

«Chiedo Scusa, signore», mormorò il granellino. «Sono spiacente».
«E’ il seme più ridicolo che mi sia capitato di vedere!», sbraitò il bulbo di una cipolla selvatica.

Il piccolo seme si senti avvilito da quelle voci di disprezzo. Ma mentre gli altri semi si crogiolavano pigramente prendendolo in giro per la sua piccolezza, affondò subito le radici nel terreno umido.

Fu un inverno faticosissimo per lui. Gli altri semi si godevano il tepore profumato della terra, giocavano a carte o agli indovinelli per passare il tempo. II piccolo seme si impegnava con tutte le sue forze.

Venne l’estate.

I viandanti che percorrevano la stradina accanto al campo di grano si fermavano e additavano meravigliati una pianta alta e rigogliosa che dominava la distesa del grano.

Un mattino dorato passò anche Gesù. Chiacchierava con i suoi amici, ma giunto davanti alla pianta si fermò e la guardò con intensità. I passerotti smisero di far chiasso e anche il vento, che si divertiva a far frusciare gli steli del grano e ad arruffare l’erba del fosso, tacque sospeso. Gesù sapeva l’enorme fatica del piccolo seme nell’inverno e volle coronare la fiducia che aveva avuto in se stesso. Disse: «Guardate il granello di senape. È il più piccolo di tutti i semi, ma quando è cresciuto, è più grande di tutte le piante dell’orto. Diventa un albero, tanto grande che gli uccelli vengono a fare il nido in mezzo ai suoi rami».

Il frumento che si aspettava qualche elogio sulla sua importanza, quasi seccò per l’invidia. Il piccolo seme, là sotto, moriva di gioia.

II Regno di Dio è un seme piccolo affidato a tutti gli uomini. È il più piccolo di tutti, ma ha dentro la forza per diventare la pianta più grande. Quando sei stato battezzato hai ricevuto anche tu il seme del Regno di Dio. Se intorno a te aumentano il perdono, l’amore e la pace, il piccolo seme sta crescendo.

SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ COME IN CIELO COSÌ IN TERRA

IL RAGNO DISTRATTO

Una bella mattina di settembre, dei fili leggeri, lucidi come seta, ondulavano nell’ aria. Solo il vento sapeva da dove venivano. Uno di quei fili approdò in cima ad un albero e l’aeronauta, un ragnetto giallo e nero, lasciò la sua leggera navicella e si attaccò alle foglie. Si mise subito al lavoro e costruì una bella ragnatela, tutta ricamata.

Il giorno dopo, la rugiada ornò i nodini della ragnatela con i suoi diamanti iridescenti. Mosche e moscerini, curiosi e sventati, vi incapparono in gran numero. Così il ragnetto si fece grande e grosso. Un mattino, però, si svegliò di cattivo umore o forse scese dal letto con le quattro zampe sbagliate.

Fece un giro della ragnatela per far colazione con qualche moscerino, ma non ne trovò. Decise di ispezionare la sua tela e, gira e rigira, fini col notare un filo strano. Apparentemente non si attaccava da nessuna parte. Sembrava finisse nelle nuvole. Più Io guardava, più si arrabbiava.

«Sta a vedere», brontolò, «che da quel filo vengono giù dei concorrenti a mangiarsi le mie prede… È uno stupido filo buono a nulla!».

E con un colpo secco Io tagliò. Subito la sua meravigliosa tela cedette e si trasformò in un misero cencio che lo avviluppava. Troppo tardi il povero ragnetto si ricordò che, in un sereno giorno di settembre, era sceso giù proprio da quel filo e che solo partendo da quel filo aveva costruito la sua ragnatela.

La volontà di Dio unisce la terra con il cielo e fa sì che l’uomo possa compiere la sua meravigliosa missione quaggiù. “Senza di me non potete far nulla», ha detto Gesù.

DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO

LA RONDINE E LO SPAVENTAPASSERI

Una volta una rondine fu ferita da un cacciatore. Quando arrivò l’autunno non poté cosi partire con le altre sue compagne per paesi più caldi. Per qualche tempo riuscì a sopravvivere con quello che trovava nei campi. Poi, terribile e gelido, arrivò l’inverno. Un freddo mattino, cercando qualcosa da mettere nel becco, la rondine si posò su uno spaventapasseri. Era uno spaventapasseri molto distinto, grande amico di gazze, cornacchie e volatili vari. Aveva il corpo di paglia infagottato in un vecchio abito da sera; la testa era una grossa zucca arancione; i denti erano fatti con granelli di mais; per naso aveva una carota e due noci per occhi.

«Che ti capita, rondinella?», chiese Io spaventapasseri, gentile come sempre. «Va male», sospirò la rondine. «Il freddo mi sta uccidendo e non ho un rifugio. Per non parlare del cibo. Penso che non rivedrò la primavera».

«Non avere paura. Rifugiati qui sotto la giacca. La mia paglia è asciutta e calda».

Cosi la rondine trovò una casa nel cuore di paglia dello spaventapasseri. Restava il problema del cibo. Era sempre più difficile per la rondine trovare bacche o semi. Un giorno in cui tutto rabbrividiva sotto il velo gelido della brina, lo spaventapasseri disse dolcemente alla rondine:

«Rondinella, mangia i miei denti: sono ottimi granelli di mais».

«Ma tu resterai senza bocca».

«Sembrerò molto più saggio».

Lo spaventapasseri rimase senza bocca, ma era contento che la sua piccola amica vivesse. E le sorrideva con gli occhi di noce.

Dopo qualche giorno, fu la volta del naso di carota.

«Mangialo. È ricco di vitamine», diceva lo spaventapasseri alla rondine.

Toccò poi alle noci che servivano da occhi. «Mi basteranno i tuoi racconti», diceva lui. Infine, lo spaventapasseri offrì alla rondine anche la zucca che gli faceva da testa.

Quando arrivò la primavera, lo spaventapasseri non c’era più. Si era sacrificato per far vivere la rondine.

Come ogni papà, Dio provvede che non manchi mai ciò che ci serve per vivere. Lo fa attraverso il lavoro di tanti uomini. A Lui chiediamo il coraggio di guadagnare insieme il nostro pane e di condividerlo con quelli che non ne hanno. Ma Dio ha fatto di più. Perché capissimo quanto ci vuole bene, ha voluto Lui stesso diventare pane per noi, nell’Eucaristia.

RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI

LA CIPOLLA DELLA SIGNORA AVARA

Una signora ricca ma molto avara, appena morta, si trovò davanti un diavolaccio che la gettò nel mare di fuoco dell’inferno. Il suo angelo custode cominciò disperatamente a pensare se per caso non esisteva qualche motivo che poteva salvarla. Finalmente si ricordò di un lontano avvenimento e disse a Dio:

«Una volta la mia signora regalò una cipolla del suo orto ad un mendicante».

Dio sorrise all’angelo: «Bene. Grazie a quella cipolla si potrà salvare. Prendi la cipolla e sporgiti sul mare di fuoco in modo che la signora possa afferrarla, poi tirala su. Se la tua signora rimarrà saldamente attaccata alla sua unica opera buona potrà essere tirata fino in paradiso».

L’angelo si sporse più che poté sul mare di fuoco e gridò alla signora: «Presto, attaccati alla cipolla».

La donna si aggrappò alla cipolla e subito cominciò a salire verso il cielo. Ma uno dei condannati si afferrò all’orlo del suo vestito e fu sollevato in alto con lei; un altro si attaccò al piede del primo e salì anche lui. Presto si formò una lunga coda di persone che salivano verso il paradiso aggrappate alla signora che si teneva alla cipolla tenuta dall’angelo.

I diavoli erano preoccupatissimi, perché l’inferno si stava praticamente svuotando. La lunghissima fila arrivò fino ai cancelli del paradiso. La signora però era proprio un’avaraccia incorreggibile e, in quel momento, si accorse della fila di peccatori attaccati al suo vestito e strillò irritata:

«La cipolla è mia! Solo mia! Lasciatemi…».

In quel preciso istante la cipolla si spappolò e la donna, con tutto il suo seguito, precipitò nel mare di fuoco. Davanti ai cancelli del paradiso, sconsolato e in lacrime, rimase solo l’angelo custode.

Dio pensa agli uomini come ad una grande famiglia. Una famiglia di persone che si vogliono bene e si aiutano. Come fossero una lunga fila che si tiene per mano.

Sa che la cosa più importante di cui abbiamo bisogno è la capacità di perdonarci gli uni gli altri e ci insegna a chiederla dopo il pane quotidiano. Perché ne abbiamo bisogno come del cibo.

E NON CI INDURRE IN TENTAZIONE

COME SI CATTURANO LE SCIMMIE

I cacciatori di scimmie hanno inventato un metodo infallibile per catturarle. Quando hanno scoperto la zona della foresta dove più spesso si radunano, affondano nel terreno delle noci di cocco in cui hanno praticato una piccola apertura, sufficiente a lasciar passare la mano delle scimmie.

Poi mettono nelle noci qualche manciata di riso e bacche, che per le scimmie sono ghiottonerie prelibate.

Appena i cacciatori se ne sono andati, le scimmie ritornano. Curiose come sono, esaminano le noci di cocco e, quando si accorgono delle buone cose che contengono, infilano la mano dentro il piccolo foro e abbrancano una grossa manata di cibo, la più grossa possibile. Ma il foro nella noce di cocco è praticato in modo astuto. Una mano vuota vi scivola dentro, una mano piena non può assolutamente venire fuori. E le scimmie tirano, tirano.

Si dibattono con tutte le loro forze, ma non le sfiora neppure per un attimo il pensiero di aprire la mano e abbandonare ciò che stringono in pugno. E il momento atteso dai cacciatori, nascosti nei paraggi. Si precipitano sulle scimmie e le catturano facilmente.

Quanta gente smarrisce la vera vita per la paura di allentare i pugni con cui stringe ciò che crede indispensabile e che invece è inutile. Eleganti e sorridenti, i cacciatori sono sempre in azione: nascondono le loro trappole sulle riviste colorate, nei teleschermi e agli angoli delle strade. È così che nasce un popolo dai pugni chiusi e il cuore spento. Ma i figli di Dio non cadranno in trappola.

MA LIBERACI DAL MALE

I DUE SPECCHI

Una volta, il diavolo passò davanti ad uno specchio. Vedendo la sua brutta faccia riflessa, cominciò a farsi ogni sorta di smorfie e boccacce. La cosa Io divertiva moltissimo, tanto che cominciò a sghignazzare.

Si contorceva tanto per il gran ridere che urtò Io specchio e lo fece cadere. Lo specchio che rifletteva l’immagine del diavolo piombò sulla terra e si frantumò in milioni di pezzi. Un uragano potente e maligno fece volare i frammenti dello specchio del diavolo in tutto il mondo. Alcuni frammenti erano più piccoli di granelli di sabbia ed entrarono negli occhi di molte persone.

Queste persone cominciarono a vedere solo più ciò che era cattivo e maligno. Altre schegge diventarono lenti per occhiali. La gente che usava quegli occhiali non riusciva più a vedere ciò che era giusto. Altri pezzi diventarono vetri di finestre. I poveretti che guardavano da quelle finestre vedevano solo vicini di casa antipatici e delinquenti per la strada. Altri frammenti dello specchio del diavolo si ficcarono negli schermi televisivi, che cominciarono a trasmettere solo catastrofi e delitti.

Quando il Signore vide questo disastro decise di aiutare gli uomini. Buttò sulla terra uno specchio che rifletteva la sua immagine di Bontà e di Giustizia. Lo specchio si ruppe in miliardi di frammenti e il vento buono dello Spirito li soffiò dappertutto.

Chi riceve anche una piccolissima scintilla di questo specchio negli occhi comincia a vedere il bene e la bontà; vede negli altri la giustizia e la generosità, la gioia e le speranze. E se si accorge di qualche male, vede il modo di eliminarlo.

È Gesù lo specchio di Dio, la sua immagine vera. Se ascoltiamo le sue parole e facciamo come Lui sapremo vincere sempre il male.

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