Il brano di Vangelo di questa domenica non segue immediatamente quello di domenica scorsa. Tra i due vi è Marco 10,32-24, nel quale è narrato il terzo annuncio della passione. In questi versetti Gesù sta andando verso Gerusalemme, seguito da un gruppo di discepoli sempre più impauriti. Egli li chiama a sé e racconta loro una terza e ultima volta ciò che gli accadrà nella città santa. Il racconto è vivo e molto più preciso dei due precedenti annunci della passione (Marco 8,31 e 9,31) e sembra un vero e proprio riassunto della passione di Gesù così come poi verrà raccontata da Marco nei capitoli 14 e 15. Dopo i primi annunci della Passione, i discepoli mostrano di non aver capito molto né di quanto Gesù aveva detto loro, né dello stile con cui è necessario seguirlo. Dopo il primo annuncio Pietro rimprovera Gesù, dicendogli forse che non era così che poteva finire un vero messia. Pietro in questo modo si guadagna il titolo di Satana e di pietra di inciampo. Dopo il secondo annuncio i discepoli avevano discusso chi di loro fosse il più grande, portando Gesù a ricordare che il più grande è colui che serve. Al termine di questo terzo annuncio la reazione dei discepoli è molto simile ed è raccontata nel vangelo scelto per questa domenica: Giacomo e Giovanni chiedono di sedere a destra e a sinistra di Gesù nella sua gloria.
Lectio
In quel tempo, 35si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli:
«Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo».
Giacomo e Giovanni sembrano avere un atteggiamento non appropriato a quello che Gesù ha appena finito di dire. La mancata comprensione di quanto sta per avvenire aumenta man mano i discepoli si avvicinano a Gerusalemme. Giacomo e Giovanni erano i figli di Zebedeo, soprannominati “figli del tuono” e insieme a Pietro erano i discepoli privilegiati, ammessi a particolari momenti della vita di Gesù (la guarigione della figlia di Giairo, la trasfigurazione, la preghiera nel Getsemani). Essi sembrano voler approfittare di questa loro vicinanza e presentano a Gesù la loro domanda con un certo fare arrogante. L’espressione “che tu faccia per noi quello che ti chiederemo” è simile alla promessa che Erode fece alla figlia di Erodiade (Mc 6,22), la quale a sua volta si ispira al modo di fare dei grandi re dell’Antico Testamento (cf. Est 5,3; 7,2). Sono loro che si comportano come fossero davanti a un grande re, ma gli vogliono suggerire il modo in cui agire.
36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?».
Gesù sta al gioco e prepara i suoi interlocutori alla sua risposta. Come si è visto nei brani precedenti, il suo modo di fare è quello dei rabbini che non rispondono subito e direttamente alle domande, ma sondano il terreno, cercando di capire meglio le intenzioni di chi le interpella. Questa risposta/domanda sarà rivolta da Gesù al cieco Bartimeo (Mc 10, 51) che fuori da Gerico si era messo a chiamare Gesù a gran voce. Allora Gesù gli chiese “Cosa vuoi che io faccia per te?”.
37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Alcuni autori pensano che Giacomo e Giovanni volessero essere i primi collaboratori di Gesù nel momento in cui avrebbe instaurato il suo regno su Israele (una delle idee nei confronti del messia era infatti che dovesse essere un capo politico e che cacciasse i dominatori romani dal paese). Però Gesù ha appena parlato della sua risurrezione e i due figli di Zebedeo avevano assistito alla trasfigurazione di Gesù. Quindi è più plausibile che essi volessero i primi posti nel giudizio delle nazioni alla fine dei tempi, giudizio di cui Gesù aveva parlato in Mc 8,38 e 13,26. Praticamente i due figli di Zebedeo volevano arrivare alla gloria senza passare attraverso la passione e la croce di Gesù.
38Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?».
Marco riporta anche in altre occasioni il fatto che i discepoli non capiscano ciò di cui si sta parlando e Gesù lo dice apertamente (4,13; 9,6; 14,40). La mancanza di comprensione però non è una condanna bensì una possibilità. Essi possono capire, se si aprono alla grazia, allo Spirito Santo. Gesù parla di un calice e di un battesimo. Il calice è una figura molto ricorrente nell’Antico Testamento. E’ il calice che Dio porge al singolo, al suo popolo o alle nazioni in generale. Il calice viene offerto e deve essere vuotato. E’ immagine del destino, inteso in senso buono o cattivo. In quest’ultimo caso viene detto anche “calice della sua rabbia” (Is 51,17), “pieno di vino d’ira” (Is 25,15), significa sventura, infelicità e indica al tempo stesso giudizio divino e punizione destinata ai malfattori. In un secondo momento il calice significherà la passione e la morte del martire. Così con il calice Gesù indica non solo la propria passione e morte, ma anche il giudizio divino che egli prende su di sé al posto dei malfattori. Il battesimo va letto in senso analogo. Spesso nell’Antico Testamento le sofferenze, le persecuzioni e le avversità sono indicate come inondazioni che minacciano di inghiottire una persona. Calice e battesimo indicano dunque il destino di morte e di sofferenza che Gesù sta per affrontare. Gesù rimette le cose a posto. I figli di Zebedeo devono rendersi conto che per giungere alla gloria bisogna passare per la passione e la morte. La “carriera” del regno dei cieli è un po’ diversa da quella dei regni terreni.
39Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati.
I due fratelli rispondono molto prontamente, con una certa presunzione. Certo al tempo in cui scriveva Marco, Giacomo era già stato ucciso in odio alla fede (At 12,2) e Giovanni stava già soffrendo la persecuzione.
40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Anche se Giacomo e Giovanni saranno pronti a soffrire per il Vangelo non sta a Gesù concedere loro promozioni e nemmeno sa a chi spettino certi onori. Di fatto i discepoli non devono pensare a particolari ricompense, ma essere disponibili alla sequela fino alla croce.
41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni.
Il brano continua con un allargamento agli altri discepoli. Costoro si erano indignati con i figli di Zebedeo e questo dà a Gesù l’occasione per un nuovo insegnamento.
42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono.
Gesù infatti li chiama a sé e parla loro. Sembra inutile questo chiamare a sé i discepoli, erano già insieme, ma sottolinea la solennità dell’atto dell’insegnare. Per parlare loro della vera autorità prende a paragone i governanti di questo mondo e non senza ironia dice “coloro che sono considerati governanti”, cioè coloro che sembrano governare. Il vero sovrano è Dio! Infatti coloro che sembrano governare i popoli, di fatto li tiranneggiano. I lettori di Marco avevano conosciuto il dispotismo e le pazzie dell’imperatore Nerone.
43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti.
Nella comunità dei discepoli non è così. Si tratta di un dato di fatto, non di un’esortazione. All’interno della comunità non vi è posto per arrivismo, carriera, ambizione a posizioni di privilegio. Chi guida la comunità deve avere la completa disponibilità a farsi servitore degli altri. Questa insistenza acquista maggior significato se si ricorda che nella comunità di Marco vi erano delle tensioni sociali tra persone libere e schiavi che avevano abbracciato la fede. Qui il termine diakonos (servo) non è ancora un ufficio specifico ma pone l’accento sui servizi della direzione, dell’annuncio, della cura dei poveri e anche la servizio a mensa nelle assemblee comunitarie.
45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Le parole di Gesù trovano un’autenticazione nel suo esempio personale. Questa frase è come un riassunto della missione del Verbo. E’ Lui il più grande, eppure non è venuto per farsi servire. Anzi, lui stesso ha voluto diventare servo di tutti. Questo aspetto si comprende se si conosce la pagina di Isaia 53,10-12, il servo di Jahwè (che non a caso è stata scelta come prima lettura di questa domenica). Ma mentre il servo di Jahwè è stato sacrificato per iniziativa di Dio, Gesù offre la propria vita di sua spontanea volontà. Un accento particolare va messo sulla parola “riscatto”. La parola greca lytron indica la somma di denaro che veniva versata per riscattare una persona divenuta schiava per debiti oppure fatta prigioniera di guerra. Con la sua vita il Figlio dell’uomo paga a favore e al posto di molti che sono prigionieri del peccato e della morte. Con il termine molti si può intendere la totalità, tutte le genti della terra, cf. 1Tm 2,6.
Meditatio
- In quali termini può essere tradotta nella mia vita l’ambizione di Giacomo e Giovanni? Mi è mai capitato di pretendere una ricompensa o un posto di privilegio per la mia fede o per la mia attività a favore del Vangelo o della Chiesa?
- Cosa è significato per la mia vita, la mia esperienza, bere il calice della sofferenza?
- Ho mai conosciuto dei capi che davvero erano disposti ad essere servitori di tutti? In cosa si manifesta questo loro atteggiamento?
Preghiamo
Orazione colletta della 29a domenica del Tempo Ordinario
Dio della pace e del perdono, tu ci hai dato in Cristo il sommo sacerdote che è entrato nel santuario dei cieli in forza dell’unico sacrificio di espiazione; concedi a tutti noi di trovare grazia davanti a te, perché possiamo condividere fino in fondo il calice della tua volontà e partecipare pienamente alla morte redentrice del tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
A cura delle Monache dell’Ordine dei Predicatori (domenicane) del Monastero Matris Domini
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B
Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 21 Ottobre 2018 anche qui.
- Colore liturgico: Verde
- Is 53,2.3.10-11; Sal. 32; Eb 4, 14-16; Mc 10, 35-45
Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti.
Mc 10, 35-45
Dal Vangelo secondo Marco
35Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». 39Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 21 – 27 Ottobre 2018
- Tempo Ordinario XXIX
- Colore Verde
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 1
Fonte: LaSacraBibbia.net
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