REGNO DI DIO NELL’AMORE
Cristo, sommo sacerdote
Liberazione e gioia sono dono di Dio, Signore e Padre nostro. Dono che non abbiamo meritato, ma ci è stato procurato da Gesù, il sommo sacerdote “sempre vivo per intercedere in nostro favore” (Eb 7,25). Già nella scorsa domenica siamo stati invitati a ricorrere con fiducia a lui per ottenere misericordia e aiuto. “Sommo sacerdote così grande che è assiso alla destra del trono della maestà nei cieli” (Eb 8,1; cf 10,12), egli nella Chiesa “esercita ininterrottamente la sua funzione sacerdotale in favore nostro nella liturgia, per mezzo del suo Spirito”, soprattutto nella “sinassi eucaristica… centro della comunità dei cristiani presieduta dal presbitero”, nella quale i fedeli sono invitati “a offrire la divina vittima a Dio Padre nel sacrificio della Messa, e a fare, in unione con questa vittima, l’offerta della propria vita” (Presbyterorum ordinis, 5).
“Non sei lontano dal regno di Dio”. L’elogio fatto da Gesù allo scriba che “aveva risposto saggiamente” c’invita a riflettere su questa risposta per avvicinarci anche noi al regno di Dio, anzi per entrarvi mettendo in pratica ciò che lo scriba aveva capito della legge divina e delle parole del Maestro. C’invita ad “ascoltare”, come il Signore chiedeva a Israele, con sincera volontà di comprendere, a tener fissi nel cuore i suoi precetti e farne la norma della nostra vita.
“Amerai il Signore Dio tuo”
All’ebreo che dall’insegnamento dei rabbini aveva appreso che la legge contiene 613 comandamenti, 365 negativi e 248 positivi, distinti in “gravi” o “grandi” e “leggeri” o “piccoli”, interessava certamente sapere se c’è un comandamento che debba considerarsi “il primo di tutti”. Gesù, venuto non per abolire la legge ma per darle compimento (cf Mt 5,17), risponde con le parole del Deuteronomio, leggermente amplificate: “Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”.
La risposta era particolarmente appropriata per uno scriba, che aveva come impegno professionale lo studio e l’insegnamento della legge divina. Ma la risposta è valida, è essenziale anche per noi.
Per il cristiano che non trova posto per Dio in una vita tutta presa dal lavoro e dagli affari, dalle distrazioni e dai piaceri. Per il cristiano che quando ha “ascoltato un pezzo di Messa” si ritiene in credito con Dio, senza nemmeno domandarsi se la Messa lo impegni in qualche modo nella vita. Per il cristiano che, consapevolmente e polemicamente, giudica inutile la preghiera, il contatto personale e il colloquio con Dio, pretendendo di ridurre il cristianesimo a impegno sociale. Per il cristiano, infine, che, attento e docile, come lo scriba, all’insegnamento del Maestro, ripete col salmista: “Ti amo, Signore, mia forza; Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo, mia potente salvezza” (Sal 17,1-2); “Amo il Signore perché ascolta il grido della mia preghiera” (Sal 114,1), e apre a Dio il suo cuore nella preghiera di lode e di ringraziamento nella supplica umile e fiduciosa con cui Gesù c’invita a rivolgerci al Padre.
Amare Dio, perché “il Signore Dio nostro è l’unico Dio”. Non è lecito sostituire a lui gli idoli creati da una mente fuorviata dall’orgoglio, dalla sete di potere e di piacere, dalla moda del momento a cui conviene piegarsi perché è scomodo andare contro corrente. Amare Dio: la misura indicata da Gesù: “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”, mostra che l’amore impegna tutta la persona, stimolandoci a uno sforzo incessante, attuato nella fede, nell’umiltà e nella pace, per rimanere nell’amore (cf Gv 15,9-10), conservarsi nell’amore di Dio (Gd 21), camminare nell’amore (Ef 5,2).
“Amerai il prossimo tuo come te stesso”
Gesù va oltre la domanda dello scriba, dichiarando qual è, dopo il “primo”, il “secondo” comandamento: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Lo scriba non poteva ignorare questo comandamento, espresso chiaramente nella legge: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18; cf v. 34). Ma Gesù voleva fargli capire che non si può amare Dio senza amare il prossimo. “Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?” (1 Gv 3,17); “Se uno dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (4,20-21).
Fratelli siamo tutti, quindi a tutti siamo debitori di un amore sincero e operoso. Cominciando dai più vicini, i membri della nostra famiglia, della medesima comunità civica ed ecclesiale, la parrocchia e, a raggio più ampio, della diocesi, passando attraverso la zona che riunisce un gruppo di parrocchie per un’azione pastorale comune. Non sono cose che interessano soltanto il vescovo, i preti, gli uffici e gli organismi riconosciuti, ma toccano ogni fedele, perché l’adempimento della missione propria della Chiesa si attua anche valendosi di questi strumenti. Prenderne coscienza e darsi da fare perché essi rispondano sempre meglio al loro scopo è dar prova di senso di responsabilità e di maturità cristiana.
Lo scriba mostra d’aver capito. In bocca a un ebreo, educato a vedere nel culto del tempio, eseguito con puntualissima fedeltà, l’espressione suprema della pietà religiosa, l’affermazione che amare Dio e amare il prossimo “vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”, è molto significativa.
Due tentazioni opposte stanno sempre in agguato: o impegnarsi per gli altri mettendo da parte Dio, o illudersi d’amare Dio dimenticando i fratelli. (C’è anche il pericolo di far a meno sia dell’amore di Dio sia dell’amore del prossimo, chiudendoci in un sordido e sterile egoismo). Anche per l’amore del prossimo la legge di Dio dà un criterio, ripreso da Gesù: “come te stesso”. Non si può dire che sia una richiesta poco esigente: non è facile trattare gli altri con lo stesso amore con cui tratto me stesso. Vogliamo provare a confrontare come ci comportiamo verso gli altri e come ci comportiamo verso noi stessi? Eppure Gesù andrà più avanti, chiedendoci un modo di amare ancora più impegnativo: amarci come ci ha amato lui. “Vi do un comandamento: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12).
Non è questo un ideale troppo alto? Certo, se si pensa a quella perfezione dell’amore che non è di questo mondo, ma si realizzerà solo nell’al di là, poiché “la carità non avrà mai fine” (1 Cor 13,8). Ma quanti cristiani s’impegnano seriamente per rispondere all’invito del Signore?
Anche oggi la 2ª lettura ci presenta Gesù Cristo come “il sommo sacerdote che ci occorreva”, che ha offerto se stesso per i nostri peccati. Prova suprema di amore per tutti gli uomini: “Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per voi offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5,2); per ogni uomo: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20); invito all’amore riconoscente: “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?” (Sal 115,12); stimolo all’imitazione generosa.
Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno A” – a cura di M. Gobbin – LDC
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XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B
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- Colore liturgico: Verde
- Is 53,2.3.10-11; Sal. 32; Eb 4, 14-16; Mc 10, 35-45
Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti.
Mc 10, 35-45
Dal Vangelo secondo Marco
35Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Eg