Seconda domenica di Quaresima, anno di Luca
Gn 15,5-12.17-18/ Fil 3,17-4,1/Lc 9,28-36
Al Tabor
Gesù entra nel deserto della vita, solidale con noi, con l’umanità, e viene tentato dal diavolo.
La tentazione, la cui parola significa “passare attraverso”, è la dimensione abituale in cui viviamo e ci colpisce proprio perché credenti e pieni di Spirito Santo. Paradossalmente, è buon segno essere tentati, significa che siamo nella logica della conversione.
In un giorno di nebbia, non si vedono le ombre, solo alla luce della Parola si stagli anche la nostra tenebra.
Gesù supera la tentazione di un messianismo spettacolare, intrallazzone, magico: Gesù sarà un Messia discreto perché vuole che Dio sia amato per ciò che è, non per ciò che da.
Noi, ogni anno, ci diamo un tempo per mettere a fuoco le tentazioni che, continuamente, siamo chiamati a superare.
La tentazione del pane, che riduce la vita a cose o obiettivi, credendo che la felicità consista nel conseguire dei risultati.
La tentazione di possedere gli altri, dell’esercitare su di loro un potere.
La tentazione di manipolare Dio che, bontà nostra, deve fare ciò che noi pensiamo essere essenziale.
Solo con la Parola possiamo superare la tentazione e inoltrarci nel deserto.
L’obiettivo della quaresima non è quello du lucidare la nostra bella immagine spirituale, ma di salire sul Tabor.
Sul Tabor
Siamo entrati nel deserto della quaresima per arrivare fino a lì, su quella piccola collina di Galilea, arsa dal sole, disseminata di alberi frondosi e battuta dal vento del mare.
Vogliamo riscoprire e scegliere che uomini essere, come Gesù ha scelto che Messia diventare, per potere salire, come gli apostoli, quel piccolo monte che ad ogni credente dice la bellezza di Dio.
Sì, perché di bellezza, si tratta.
Tabor evoca il momento in cui Gesù, grande Rabbì, carismatico profeta, svela la sua vera identità, supera il limite e si dona alla vista sconcertata e stupita degli apostoli. Tabor dice l’assoluta diversità di Dio, la sua immensa gloria, la sua indescrivibile bellezza.
Tabor è la meta della quaresima.
E questo occorre dirlo e ridirlo a noi cattolici inclini all’autolesionismo, che associamo la fede al dolore, che raffiguriamo sempre Gesù come il crocifisso, scordandoci del Risorto, e che già pensiamo alla quaresima come al tempo della rinuncia e non al tempo dell’opportunità e della conversione, del combattimento e della lotta interiore per vincere la gara.
Verrà il tempo del dolore, e su un altro monte, una piccola cava di pietra in disuso chiamata Golgota, vedremo l’appeso, volgeremo lo sguardo a colui che hanno trafitto.
Il bellissimo
Ma prima – assolutamente – occorre ricordarci della bellezza di Dio, della sua inebriante presenza. La liturgia, provocatoriamente, pone la trasfigurazione all’inizio del cammino penitenziale, per indicarci il luogo da raggiungere. Se pongo dei gesti di conversione e di solidarietà, di rinuncia e di digiuno, di preghiera e di essenzialità è solo per poter essere libero e vedere la gloria del Maestro.
Siete già saliti sul Tabor nella vostra esperienza di fede?
Dio ci dona – a volte – di assistere alla sua gloria.
“Raptim”, diceva il grande Agostino. Fugacemente.
Un momento di preghiera che ci ha coinvolto, una messa in cui siamo stati toccati dentro, una giornata in quota in mezzo alla neve con la bellezza della natura che diventa sinfonia e ci mozza il fiato. Attimo, barlumi, in cui sentiamo l’immenso che ci abita.
E il sentimento diventa ambiguo: talmente grande da averne paura, talmente infinito da sentircene schiacciati, talmente immenso da restarne travolti.
È la paura che prende Pietro e compagni, è il terrore che abita Abramo prima di incontrare il suo Dio. Il sentimento della bellezza di Dio, la percezione della sua maestà ci motiva e ci spinge. Pietro lo sa: “È bello per noi restare qui”.
Finché non giungeremo a credere grazie alla bellezza che ci avvolge, ci mancherà sempre un tassello della fede cristiana.
Sapete perché sono cristiano, amici?
Perché non ho trovato nulla di più bello di Cristo.
Dovremo forse ricuperare questo aspetto nella nostra vita cristiana, ripartire dalla bellezza. Le nostre periferie sono orrende, orrende le città, orribili le finte-vacanze che ci vengono proposte in mezzo a finti paesaggi immacolati. Orribile il linguaggio e le persone che ci raggiungono dal mondo della politica e dello spettacolo. Orribile la vita caotica e tesa che siamo costretti a vivere, sempre spronati alla concorrenza, alla lotta, alla sfida. Orribile il dolore che nasce quando l’amore esplode, quando il dolore che ci creiamo e alimentiamo, ci travolge.
Abbiamo urgente bisogno di bellezza, della bellezza di Dio che è verità e bene e bontà.
Mission possible
Non è forse questa la fragilità della nostra fede contemporanea?
Non è forse questa la ragione di tanta tiepidezza della nostra comunità?
Non abbiamo forse smarrito la bellezza nel raccontare la fede? Nel celebrare il Risorto?
È noioso credere. Giusto – certo – ma immensamente noioso.
Il Vangelo di oggi ci dice, al contrario, che credere può essere splendido.
Varrebbe la pena di ricuperare il senso dello stupore e della bellezza, l’ascolto dell’interiorità che ci porta in alto, sul monte, a fissare lo sguardo su Cristo.
Facciamo delle nostre messe dei luoghi di bellezza: il silenzio, il canto, la fede, il luogo in cui preghiamo, può riportare un briciolo di bellezza nella nostra quotidianità.
Facciamo delle nostre vite delle profezie di bene e di armonia, pronti a donare, a sorridere, a perdonare con matura e sofferta consapevolezza. Tiriamo fuori tutto il bello che c’è in noi.
Sogno e lotto per la rivoluzione della bellezza, la conversione all’amore, come discepoli di questo bellissimo Dio che stiamo cercando.
Dio, lo splendido, ci rende splendidi, se lo lasciamo fare.