Commento alle letture del 5 Ottobre 2018 – Dehoniane

Il commento alle letture del 5 Ottobre 2018 a cura del sito Dehoniane.

XXVI settimana del tempo ordinario II settimana del salterio

Tacere, ascoltare, parlare

Abbiamo ascoltato ieri la preghiera con la quale Gesù benedice    il Padre per la sua rivelazione che ha raggiunto chi si abbassa, mentre è rimasta nascosta a tutti coloro che si innalzano nella  loro pretesa sapienza. Il duro rimprovero che oggi Gesù rivolge alle città del lago, riprende la stessa immagine spaziale. Chi pretende di innalzarsi fino al cielo, verrà invece fatto precipitare fino agli inferi. È la sorte terribile che Gesù annuncia in particolare a Cafarnao, la città dove egli ha fissato inizialmente la sua residenza, dove ha operato molti segni e miracoli, e che non ha saputo accogliere l’annuncio del Regno. «E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!» (Lc 10,15). Più precisamente, l’accoglienza che Gesù attendeva del suo operato, doveva esprimersi nella conversione. Un atteggiamento questo, aggiunge Gesù, che città pagane come Tiro e Sidone avrebbero saputo assumere, e che invece non ha toccato città religiose come Corazin e Betsaida, o la stessa Cafarnao. Ritroviamo un comportamento, o un modo di essere, che Gesù spesso stigmatizza nei suoi uditori.

Quello di chi, come affermerà nel Vangelo   di Giovanni, rimane cieco proprio a motivo della sua pretesa di vedere. «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane» (Gv 9,41). Gli abitanti di Corazin, di Betsaida, di Cafarnao hanno visto ciò che Gesù ha operato in mezzo a loro, hanno soprattutto  potuto  vedere Gesù stesso, ascoltare la sua parola, condividere le sue giornate, eppure lo hanno fatto non con l’atteggiamento di chi riconosce di dover essere guarito nella propria cecità, di dover essere salvato nel proprio peccato, di dover lasciarsi convertire nel proprio cuore. Al contrario, sono rimaste chiuse nel loro innalzamento, che poi le fa sprofondare nell’incapacità di accogliere la grazia di Dio. È proprio in una casa di Cafarnao, quella del pubblicano Levi, che Gesù ha rivelato la propria identità affermando: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto    a chiamare i giusti, ma i peccatori, perché si convertano» (Lc 5,3132). Ed è sempre a Cafarnao che Gesù, di fronte alle parole di   un pagano, non potrà trattenere la sua meraviglia ed esclamerà (unica volta nei vangeli): «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!» (7,9). Probabilmente, gli abitanti   di Cafarnao e delle altre città sulla sponda del lago avrebbero dovuto vedere i gesti operati da Gesù ascoltando queste sue parole.

Ieri Matteo ci svelava l’umiltà stessa di Gesù, dalla quale dobbiamo tutti imparare. La ritroviamo oggi, nelle parole conclusive che egli pronuncia in Luca: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato» (10,16). Gesù non vive una solitudine chiusa, autoreferenziale. Non assolutizza se stesso e la sua opera. Sa di essere stato mandato da qualcuno, il Padre, dal quale tutto riceve e al quale deve rispondere; sa anche di non poter fare tutto da solo, ma di dover affidare la propria opera ai discepoli, che invia come lui stesso si sa inviato. Sa che la sua parola risuona in quella dei discepoli, come nella sua risuona quella del Padre. È bella  e significativa questa apertura e questa dipendenza relazionale, che si dischiude verso ogni direzione, verso il Padre e verso i discepoli. Ecco una conversione importante da vivere. Dobbiamo impararla da Gesù, dobbiamo impararla dallo stesso Giobbe, il quale, di fronte ai numerosi interrogativi che Dio gli pone, giunge a riconoscere come il proprio dolore lo abbia portato a eccedere e a non riconoscere più l’affidabilità di Dio e del suo mistero     di vita, capace di suscitare e governare ogni realtà creata: «Mi metto la mano sulla bocca» (Gb 40,4). Occorre imparare a tacere per ascoltare. Occorre imparare ad ascoltare per dire parole vere. Quelle che Gesù riceve dal Padre e quelle che noi, a nostra volta, riceviamo da Gesù.

Signore Gesù, in molti modi, e attraverso molte mediazioni, tu continui a renderti presente nei nostri paesi e nelle nostre città. Vi fai risuonare la tua parola, operi i tuoi gesti di liberazione dal male, anche grazie a coloro che tu hai inviato, perché, ascoltando loro, possa tu essere ascoltato e accolto. Non pronunciare su di noi parole di condanna, ma di misericordia, perché sia la possibilità di gustare il tuo perdono a convertire la durezza dei nostri cuori.

Vangelo

Lc 10, 13-16
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse:
«Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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