Commento al Vangelo del 27 settembre 2018 – Monastero di Bose

Il racconto della cosiddetta moltiplicazione dei pani, tra i segni compiuti da Gesù il più narrato nei Vangeli – addirittura sei volte con solo qualche variante numerica significativa – ci stupisce per un’assenza particolare: quella dello stupore da parte delle folle beneficiate dal pane condiviso e abbondante. Mentre dopo ogni altro segno compiuto da Gesù è sempre riferita nel Vangelo la reazione stupefatta dei testimoni beneficiati, qui non è narrato nessuno stupore della folla affamata e sfamata.

Questo ci induce a riflettere.

Ciò che a noi appare come un miracolo straordinario – saziare con abbondanza la fame delle moltitudini –, fino ad oggi il più urgente dei miracoli, qui è un segno raccontato non per stupire, come un prodigio che solo Dio può fare, come fu il dono della manna nel deserto ma, al contrario, è raccontato per insegnarci a praticarlo. Infatti, non si parla di moltiplicazione, né di trasformazione come il prodigio suggerito da Satana a Gesù nel deserto della tentazione, ma di spezzare il poco pane per la condivisione: è condividere il poco – invece di trattenerlo per sé soltanto- che lo rende sufficiente ai molti.

Gesù confida nella condivisione, e li spinge a questa modalità inusitata dicendo: ”Date voi loro da mangiare”.

I discepoli, proprio come noi ancora oggi, pensavano occorresse procurarsi enormi quantità di pane per sfamare quella folla, e che dunque solo un ricco lo avrebbe potuto, non loro – ma sappiamo che i ricchi la creano la fame, non la guariscono.

Poi è raccontato un pasto presieduto da Gesù, che, come ogni altro pasto presieduto da lui, richiama il racconto dell’ultima cena coi discepoli. E proprio per questo è modello di ogni eucaristia per i discepoli. Perché è proprio nel mangiare insieme lo stesso pane, pane che Gesù dona e che è la sua stessa vita vissuta e spezzata a nostro favore, che si realizza la comunione e si rinnova l’alleanza con Dio e tra di noi.

“Gesù prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al Padre che è nei cieli, li benedisse, li spezzò, e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla.” Tutti si saziarono, e ne avanzò in abbondanza anche per gli assenti: il Vangelo si ricorda sempre di loro, di chi, malato o escluso, non è stato accompagnato da Gesù, e di chi arriverà all’ultima ora, perché ne ricevano come i primi.

Ma questo racconto di pani e pesci, che spezzati e condivisi bastano e avanzano, è introdotto da un’annotazione: Erode sentiva parlare di Gesù, e cercava di vederlo, perché aveva la coscienza lurida riguardo a Giovanni Battista che gli assomigliava così tanto. E poiché la gente diceva che Gesù fosse Giovanni risuscitato, Erode voleva scoprire se davvero la propria potenza omicida si fosse rivelata così impotente. E sappiamo che poi, rassicurato dalla realtà, darà man forte a uccidere Gesù.

E il testo quasi costringe al confronto tra Erode e Gesù: Erode che, preso al laccio della propria parola arrogante e strafottente in uno dei suoi quotidiani banchetti coi cortigiani, ha paura e uccide. E Gesù che, con poveri e ben più numerosi commensali, invece di dare la morte dà la vita, la propria, come pane. Si rivela essere lui stesso il pane per le moltitudini. Parlando e vivendo, Gesù è per noi parola e pane che ci fa vivere della sua vita, una vita spezzata in benedizione per le moltitudini, la stessa vita che siamo chiamati a vivere con lui e dietro a lui.

sorella Maria della comunità monastica di Bose

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Lc 9, 7-9
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti».
Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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