Commento al Vangelo del 21 settembre 2018 – Monastero di Bose

Gesù passa e vede un uomo: non passa mai senza vedere, non è assente, distratto, preso dai suoi pensieri, le persone che incontra le vede. Vede un uomo, non vede un pubblicano, anche se è evidente che si tratta di un esattore, perché è seduto al banco delle imposte (gli esattori erano persone giudicate disoneste, che si arricchivano alle spalle della gente, erano considerati peccatori). Gesù è attento e sa incontrare, e il suo vedere non è mai un rinchiudere l’altro nella casella di un pregiudizio.

“Gli disse: ‘Seguimi’. Ed egli si alzò e lo seguì”: estremamente scarna come descrizione della scena, che probabilmente nella realtà si deve essere svolta in modo un po’ più articolato. Ma come sappiamo i vangeli non hanno interesse a descrivere i fatti fornendone tutti i particolari come in un film. L’evangelista Matteo, protagonista oltre che narratore di questa scena, nel raccontare la propria vocazione vuole suscitare la fede. E allora cosa capiamo dalla prontezza con la quale si mette a seguire Gesù? Quello che emerge è una grandissima fiducia in colui che è passato e gli ha detto: “Seguimi”. Colui che passa è affidabile, è uno sul quale si può contare, nel quale si può riporre la fiducia. La fede è questo: fiducia nel Signore.

Gli amici di Matteo, pubblicani e peccatori, si ritrovano con Gesù alla stessa tavola, ed è festa, la festa dell’accoglienza e dell’ascolto reciproco: “Se ne stavano a tavola e sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori…”. Nessuna presa di distanza, nessun imbarazzo, una grandissima naturalezza, da entrambe le parti. La tavola è luogo di comunione e di accoglienza. Mangiare insieme alla stessa tavola è un segno di comunione molto forte: ne siamo ancora coscienti noi oggi?

I farisei restano scandalizzati: “Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?”. È la logica della separazione. La logica dell’uomo religioso che si crede migliore degli altri. La logica di quelli che vanno a fare sacrifici al tempio (la vita del culto, della liturgia) e poi trascurano la misericordia, misericordia che Gesù vive anche a tavola, semplicemente come uno “stare accanto”, come un combattere la logica della separazione.

Infine le parole di Gesù: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. I giusti, o per lo meno quelli che si credono giusti a Gesù non interessano: questo è il Vangelo, da una parola greca che significa “buona notizia”. A volte anche a noi cristiani fa bene chiederci se il vangelo è veramente “buona notizia” per noi, e questa frase di Gesù – “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” – è un ottimo banco di prova per capirlo. Perché dobbiamo chiederci da che parte ci mettiamo, da quella dei giusti o da quella dei peccatori, da quella di chi aspira alla salvezza, o da quella di chi pensa di avercela già in mano pronta per essere dispensata agli altri. Se pensiamo di essere dalla parte dei peccatori grande è la gioia di fronte a questa pagina: è “buona notizia” anche per noi, anche noi siamo invitati a quel banchetto e Gesù, medico delle nostre vite, può fare qualcosa anche per noi.

sorella Laura della comunità monastica di Bose

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Mt 9, 9-13
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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