Meditazione Mattutina di Papa Francesco del 18 Settembre 2018 a casa Santa Marta

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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA DEL 18 Settembre 2018 NELLA CAPPELLA DELLA  DOMUS SANCTAE MARTHAE

Nelle difficoltà il pastore, come Gesù, soffre e prega

La capacità di Gesù di stare «vicino alla gente», di averne «compassione» con «tenerezza», di fondare la sua «autorità» sulla «mitezza», è la stessa che dovrebbe avere ogni pastore nella Chiesa. Nell’omelia della messa celebrata martedì 18 settembre a Santa Marta, Papa Francesco è tornato a soffermarsi sul ruolo e sull’identità del vescovo. Lo ha fatto grazie a una riflessione sul vangelo del giorno (Luca, 7, 11-17) che gli ha permesso di «contemplare» Gesù, il suo stile, per prenderlo a modello.

Il Signore infatti, ha immediatamente sottolineato il Pontefice, «aveva autorità, era autorevole». Una caratteristica che emerge dai racconti evangelici nei quali si legge che «la gente lo seguiva perché parlava “con autorità”, ma non con l’autorità con la quale parlavano i dottori della legge: loro non avevano autorità davanti al popolo. Invece, Gesù sì». Ecco allora la domanda che ha indirizzato l’intera meditazione: «Cosa conferiva a Gesù autorità?». Cosa lo poneva sotto una luce diversa agli occhi del popolo, visto che, in fondo, «la dottrina che predicava era quasi la stessa degli altri»?

La risposta si trova in un altro passo del Vangelo in cui lo stesso Gesù dice: «Imparate da me, che sono umile e mite di cuore». È questa, secondo il Papa, la chiave per comprendere: «lì, in quella umiltà di Gesù si trova la spiegazione della sua autorità». Quale era infatti lo stile di Gesù? «Lui non sgridava, lui non diceva “io sono il messia” o “sono il profeta”; non faceva suonare la tromba quando guariva qualcuno o predicava alla gente o faceva un miracolo come la moltiplicazione dei pani. No. Lui era umile. Lui agiva».

Questa umiltà, ha aggiunto il Pontefice, «si vedeva in un atteggiamento molto speciale: Gesù era vicino alla gente». In ciò si distingueva: «I dottori della legge si allontanavano dalla gente, insegnavano dalla cattedra: “Voi dovete fare questo, quest’altro…”. A loro non interessava la gente. A loro interessava invece dare alle gente comandamenti che moltiplicavano, moltiplicavano fino a più di 300… Ma non erano vicini alla gente». Invece Gesù «era tra la gente, vicino alla gente». E, si legge nel Vangelo, quando non era con la gente «era con il Padre, a pregare».

A dargli l’«autorità» che tutti gli riconoscevano fu proprio questo comportamento di Gesù, che spese la maggior parte del tempo della sua vita pubblica «sulla strada, con la gente»; furono la sua «vicinanza», la sua «umiltà». Il Signore, ha continuato il Papa, «toccava la gente, abbracciava la gente, guardava la gente negli occhi, ascoltava la gente.

Questi tratti emergono chiaramente nel brano evangelico proposto dalla liturgia del giorno, in cui si racconta l’episodio della vedova di Nain. Francesco lo ha ripercorso: «C’è una parola che appare qui, in questo passo, quando vede la bara, la madre vedova, sola, il ragazzo morto… “Vedendola — la madre — il Signore fu preso da grande compassione”». La nota dell’evangelista è fondamentale per capire: «Gesù aveva la compassione», aveva «questa capacità di “patire con”. Non era teorico, no. Si può dire — un po’ esagerando, ma si può dire — pensava con il cuore, non staccava la testa dal cuore, no, era tutto lì». Umile, vicino alla gente, con compassione: tutto questo «gli dava autorità, l’autorità del pastore»

Soffermandosi su tale aspetto, il Pontefice ha voluto sottolineare «due tratti di questa compassione»: la «mitezza» e la «tenerezza». Del resto, è Gesù stesso che dice: «Imparate da me che sono umile e mite di cuore». Il Signore, ha spiegato Francesco, «era mite, non sgridava. Non puniva la gente. Era mite. Sempre con mitezza». Non che non si arrabbiasse: pensiamo, ha aggiunto Francesco, a quando ha visto il tempio, la casa di suo Padre diventata luogo di «shopping, per vendere delle cose», con i cambia-monete e quant’altro: «lì si arrabbiò, prese la frusta e cacciò via tutti. Ma perché amava il Padre, perché era umile davanti al Padre, aveva questa forza. E la gente applaudiva». Ma, fondamentalmente Gesù era caratterizzato dalla «mitezza: quella umiltà che non è aggressiva, è mite».

C’è poi l’altro tratto, quello della tenerezza. Emerge chiaramente dal racconto evangelico. Quando Gesù vide la vedova le si avvicinò e disse: «Non piangere». Il Papa ha provato a immaginare la scena ipotizzando che il Signore non abbia avuto un semplice atteggiamento di circostanza: «No. Si è avvicinato, forse le ha toccato le spalle, forse l’ha accarezzata. “Non piangere”. Questo è Gesù». Ed egli, ha aggiunto, «fa lo stesso con noi, perché è vicino, è in mezzo alla gente, è pastore».

Anche la scena successiva è indicativa: «Poi, si avvicinò e toccò la bara. I portatori si fermarono. Poi disse: “Ragazzo, dico a te: alzati!”. Il morto si mise seduto e incominciò a parlare. Ha fatto il miracolo». Anche qui emerge la vicinanza: Gesù non disse semplicemente «Festeggiate, addio». No, prese il ragazzo e «lo restituì a sua madre”. Un gesto di tenerezza». Quella stessa tenerezza che si ritrova nell’episodio del matrimonio di Giairo: dopo aver risuscitato la ragazza, Gesù si preoccupò: «Datele da mangiare, ha fame». Emerge chiara «quella tenerezza di sapere le cose della vita».

Questo era Gesù: «umile e mite di cuore, vicino alla gente, con capacità di compatire, con compassione e con questi due tratti di mitezza e di tenerezza». E soprattutto, ha sottolineato Francesco, quello che Gesù «ha fatto con questo ragazzo, con la mamma vedova, lo fa con tutti noi, con ognuno di noi quando si avvicina a noi».

Così, nella vita quotidiana di Gesù, è disegnata la vera «icona del pastore». Ha detto il Pontefice: «Noi pastori dobbiamo imparare così: vicini alla gente, non ai gruppetti dei potenti, degli ideologi … Questi ci avvelenano l’anima del pastore, non ci fanno bene! Il pastore deve avere la potenza e l’autorità che aveva Gesù, quella dell’umiltà, quella della mitezza, della vicinanza, della capacità di compassione, della tenerezza». Atteggiamento che vale anche nei momenti di difficoltà. Infatti, si è chiesto Francesco, «quando le cose sono andate male a Gesù, cosa ha fatto lui? Lo stesso. Quando la gente lo insultava, quel Venerdì santo, e gridava “crucifige”, rimaneva zitto perché aveva compassione di quella gente ingannata dai potenti del denaro, del potere… Stava zitto. Pregava». Ugualmente, ha spiegato il Papa, «il pastore, nei momenti difficili, nei momenti in cui si scatena il diavolo, dove il pastore è accusato, ma accusato dal Grande accusatore tramite tanta gente, tanti potenti, soffre, offre la vita e prega». Gesù, infatti, pregò: «La preghiera lo portò anche alla croce, con fortezza; e anche lì ebbe la capacità di avvicinarsi e guarire l’anima del ladrone pentito».

A conclusione dell’omelia, Francesco ha invitato a pregare per i vescovi dopo aver riletto questo brano di Luca: «Prendere il Vangelo e leggere, e vedere Gesù, dove è l’autorità di Gesù. E chiedere la grazia che tutti i pastori abbiamo questa autorità: un’autorità che è una grazia dello Spirito Santo».

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