Il Salmo 120 è una supplica. Inizia con il ricordo della preghiera esaudita (v. 1); ad essa seguono due richieste che l’orante presenta attendendo la risposta di Dio: la liberazione dalla persecuzione delle parole (vv. 2-4) e la liberazione dall’odio e dalla guerra, da cui chi prega si sente circondato (vv. 5-7).
È difficile dare un nome all’«io» che sta «a monte» dei Salmi. Anche quando nella Bibbia un salmo viene attribuito a un personaggio (a Davide, per esempio), l’identificazione non oltrepassa il valore simbolico. Colui che prega «nel salmo», infatti, parla di sé profondamente, ma senza dire chi è: senza protagonismi, offre la sua esperienza in modo tale che altri vi possano entrare o vi si riconoscano.
Da quale esperienza, dunque, scaturiscono le parole del Salmo 120? La situazione dell’orante è quella di chi risiede in terra straniera, esposto all’ostilità dei suoi abitanti. Può trattarsi di un esilio reale o di una immagine poetica. Dato che Mesec, popolo di mercanti (Ez 27,12), e Kedar, popolo di beduini che commerciano bestiame (Is 21,17), sono due popoli geograficamente distanti, sembra improbabile che l’orante viva esiliato in mezzo agli uni e agli altri. I due popoli, quindi, potrebbero essere figure simboliche e l’esilio potrebbe essere una metafora che esprime quella sensazione di estraneità, che talora capita di sperimentare quando si è abitati da grandi desideri di bene, che contrastano con orizzonti ristretti e corrotti della mentalità comune.
In questa situazione l’orante prega, ma la prima sua parola, nel testo ebraico, non è l’angoscia, ma il nome di Dio, chiamato per nome: «Al Signore, nella mia angoscia ho gridato». Nello stesso tempo, però, il nome di Dio che viene invocato è il nome proprio di Dio, l’indicibile nome rivelato a Mosè (Es 3,14). Il salmo allora si apre col silenzio: non è un silenzio vuoto, ma pieno della presenza di Dio liberatore. Tale presenza è così reale che l’orante subito può dire di aver ricevuto risposta: «Ho gridato… mi ha risposto». L’audacia di chi vive l’esperienza dell’angoscia e osa entrare così com’è in preghiera diventa un modo per incontrare il Signore: Dio è presente nel grido di chi prega.
Il v. 1 presenta la dinamica di ciò che nella tradizione spirituale si chiama «ingresso in preghiera». Si tratta di una fase (può anche durare parecchi minuti), in cui si prende consapevolezza della situazione in cui ci si trova e ci si dispone all’incontro con Dio, chiedendo la grazia di poter stare alla sua presenza.
Alla presenza di Dio, può poi iniziare la preghiera: l’orante chiede ciò che gli sta a cuore, cioè di essere liberato (v. 2). Usa immagini che ruotano attorno alla bocca, spesso usate nei Salmi per esprimere simbolicamente il male e il suo progetto. I denti, la lingua e persino le parole vengono paragonati a frecce e spade (Sal 57,5b; 64,4), che possono uccidere, al pari della spada reale (Sir 28,22). L’attacco più temibile, reso possibile dalla bocca, dalle labbra, dalla lingua, infatti, è la menzogna, l’inganno (Sal 5,10; 10,7; 12,3-5; 31,19; 35,20-21; 50,19-20;
52,4-6; 63,12b; 78,36; 109,2-3; 120,2-3; 144,11), che spesso porta alla rovina l’uomo con false testimonianze. La menzogna gioca sulle apparenze per trasformarle, dando al male l’aspetto del bene e viceversa e ottenebrando le coscienze. L’attualità del salmo è evidente.
Davanti a Dio, colui che prega si sente straniero in un mondo che vive di menzogna; alla fine della preghiera vede con lucidità il pericolo di assumere gli stessi criteri del mondo violento in cui vive e trova il coraggio di fare la sua scelta: come un bambino, che senza troppe costruzioni verbali cerca di dire che cosa vuole, decide, taglia col resto: «Io pace».
L’«io» che sta «a valle» di questo salmo, ovvero colui che «esce» dalla preghiera di questo salmo, trasformato dalla preghiera stessa, è colui che, alla presenza di Dio, è riuscito a fare verità, vedendo le cose nella giusta prospettiva. Attratto dal bene, dalla giustizia, dalla pace, li sceglie anche a rischio di essere bersagliato e frainteso. Questo è il primo passo del cammino.
Alcune domande:
- Qual è la situazione in cui mi trovo ora accingendomi a pregare? Da quale contesto invoco la presenza di Dio?
- Come posso in un contesto di menzogna conservare la parola della verità e della vita? Chi vive tra menzogne non finirà prima o poi per adottare lo stesso linguaggio? Quale dono desidero chiedere al Signore?
- Quali emozioni, sentimenti, pensieri, desideri, decisioni suscita in me la preghiera attraverso questo salmo?
Fonte – Chiesa di Milano
Salmo 120
1 Canto delle salite.
Nella mia angoscia ho gridato al Signore
ed egli mi ha risposto.2 Signore, libera la mia vita
dalle labbra bugiarde,
dalla lingua ingannatrice.3 Che cosa ti darà,
come ti ripagherà,
o lingua ingannatrice?4 Frecce acute di un prode
con braci ardenti di ginestra!5 Ahimè, io abito straniero in Mesec,
dimoro fra le tende di Kedar!6 Troppo tempo ho abitato
con chi detesta la pace.7 Io sono per la pace,
ma essi, appena parlo,
sono per la guerra.