Conversione e rinascita
Il Mercoledì delle Ceneri costituisce la soglia iniziale della Quaresima e ci introduce nel tempo della conversione e della rinascita.
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I segni della cenere e del digiuno che la caratterizzano, infatti, sono nello stesso tempo sintesi di tutto il cammino quaresimale e anticipazione della meta pasquale. Nel rito romano, il mercoledì che precede la prima domenica di Quaresima, è il giorno in cui il cristiano riceve i segni dell’inizio del pellegrinaggio quaresimale: la cenere e il digiuno. La cenere parla di morte, di fuoco, di dissoluzione; l’acqua ricorda la vita, la trasparenza, la pulizia, la rigenerazione. La cenere cosparge il capo della Chiesa pellegrina verso il monte Sion; l’acqua della vita che sarà aspersa sul popolo nella veglia di Pasqua è pegno di risurrezione e segno di vita nuova. Il messaggio della cenere è dunque chiaro: dalla polvere del pentimento rinasce la vita nuova; dalla penitenza, la gioia del perdono.
Tra il vestibolo e l’altare (Gl 2,17) si apre il tempo della conversione, un tempo favorevole (2 Cor 5,2) in cui la liturgia, prendendoci per mano, ci accompagna e guida verso i giorni ardenti della Pasqua. Nella notte più santa dell’anno liturgico, l’amore di Dio incendierà per sempre il peccato e la morte, accendendo nel cuore di ogni credente il desiderio del cielo (cfr. formula di benedizione del fuoco nella Veglia pasquale).
Lasciamoci dunque guidare dalla mano ferma e sicura della Chiesa che nella santa liturgia ci conduce verso la meta pasquale, con le armi della penitenza e il passo agile e leggero della conversione. Ogni viandante, infatti, nell’intraprendere un viaggio si alleggerisce per favorire il cammino. Questa esigenza di sobrietà dovrebbe essere come il buon profumo che si diffonde e si espande nella celebrazione liturgica e in ogni ambito pastorale.
Anche la liturgia dovrebbe indossare l’abito di sacco e coprire il capo di cenere. Una immagine per richiamare la necessità di un mutamento, di una spogliazione.
La liturgia quaresimale, infatti, dovrebbe deporre i vestiti della festa, per indossare quelli della conversione: l’ascolto, il silenzio, il digiuno, il ritmo calmo della meditazione, il canto sobrio, la musica discreta, l’uso della parola ridotta all’essenziale. Un deserto per gli occhi e per il cuore.
Occorre, tuttavia, accompagnare la spogliazione con una maggiore cura e intensità che non lasci spazio alla vacuità e alla mediocrità. Se il canto tace, il silenzio deve vibrare; se la parola è moderata, il gesto deve essere eloquente, se i fiori o le immagini vengono tolte, occorre valorizzare lo spazio dell’ambone, l’altare, la croce, il fonte battesimale. Anche l’uso della parola dovrebbe conoscere una cura tutta particolare: la qualità della proclamazione delle letture, la cura per l’omelia, l’attenzione ad una preghiera dei fedeli autentica, la scelta accurata di testi per i canti.
Suggeriamo di valorizzare alcuni momenti rituali spesso trascurati:
- il canto del Kyrie eleison e dell’Agnello di Dio, (con una litania più lunga e possibilmente cantata, vd. RN 37-40);
- la proclamazione meno affrettata della Parola di Dio con lettori preparati e non improvvisati;
- il canto del salmo responsoriale;
- una processione offertoriale silenziosa;
- l’acclamazione al mistero della fede con la terza formula (Tu ci hai redenti con la tua Croce, vd. RN 30).
- Infine, raccomandiamo l’osservanza del silenzio prima dell’inizio della celebrazione, evitando le prove di canto eccessivamente lunghe, il chiacchiericcio dell’assemblea e la frenesia dei preparativi dell’ultimo minuto.
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